Silvia Rosa


È quel gesto che resta sospeso a metà,
la dirittura d’arrivo di un progetto
per un niente mancata, il filo di capelli
appeso come un sonaglio reattivo
al primo dente del pettine,
la velatura di madreperla che omette
le evidenze familiari del corpo, precisamente
è questa la dolenza che lasciano in sorte
quelli che se ne vanno, di spalle:
si avventurano dentro un budello argenteo
di zinco e fosfeni, fino a un risucchio lattiginoso
di luce, non sentono i nostri richiami
a voltarsi, a rientrare, oltre le soglie
di vetroresina da cui li osserviamo
perdere consistenza, diventare ricordi.

Dove ritrovare le loro orme di odori,
le ragioni della distanza, i loro commiati?

Tutta la terra che ci resta (Vydia, 2022)

Silvia Rosa


Fino al cuore

I giorni, questi animaletti bizzarri
chiassosi che dormono con palpebre
brevi quando mi scrivi un saluto
messi a tacere non abbastanza
disciplinati, corrono tutte le strade
verde cinabro dei miei pensieri,
hanno fame, hanno sete, sono curiosi
scavano senza sosta giù a ritroso
dove il passato è una figura scomposta
lo scheletro di quello che eri, i giorni
che miagolano un canto, un lamento
come se tutta la terra fremesse in un coro,
sono troppi da perdere il conto: potessi
almeno metterli in fila, distrarli, portarli
a pascolare altrove mentre mi graffia
un’unghia di vento sulla schiena, sono così
in quest’attesa che domani è già ieri e
il calendario si muove al contrario
si morde la coda, gira in tondo, sbrana
i minuti lentamente spolpandomi
fino al cuore.

Tempo di riserva (Ladolfi, 2018)