Silvia Bre

Ph. Dino Ignani

Cimiteri di campane via dal mondo
fanno l’unione della terra all’erba, vegliano
sulla diaspora dei morti, trame dell’insaputo,
nessuna luna ha una febbre così fredda
di rimanere ferma nelle notti, devota al vuoto.
Ma un’aria protesa è un fulmine, il venire meno
al loro patto insegnando senza luogo la disfatta
e non è alta la nota della fine ma si immagina tremenda,
la sua ferita fino in cielo è non morire.

Le campane (Einaudi, 2022)

Silvia Bre


Beato il mio vicino

Beato il mio vicino che dalle sue finestre
coglie con gli occhi i fiori che io curo,
i colori che veglio dal buio della casa.
Io penso a togliere le foglie secche
a dare l’acqua ai vasi appena serve,
devo sempre patire quando un giorno
vedo che sono morti eternamente.
Per lui sono soltanto vivi, solo belli,
non ha bisogno di saperne i nomi
per imparare come amarli meglio.
Beato lui, il vicino,
che chiama il mio balcone il suo paesaggio
e che di fronte a sé tra strada e cielo
vede distintamente il mio destino.

Marmo (Einaudi, 2007)

Ph. Dino Ignani

Silvia Bre


La parola è un impiglio, poi crolla
come ogni monumento
e l’incontro si scioglie
(nell’ingorgo dei suoni s’incaglia
un attimo di senso
e l’attimo nel suono pare eterno

smette quando
di colpo lo convince
la deriva del tempo lì attorno)

non esiste altro evento che questo

che la vita di ognuno apparsa
nella croce che la toglie.

Le campane (Einaudi, 2022)

Foto di Dino Ignani

Silvia Bre


Lo si sa sempre
che verrà un momento
– è già qui in agguato è sotto è dentro –

in cui il disordine l’avrà avuta
vinta a tutto campo
senza neanche un superstite

un abc, un qualunque fondamento
generale, un solo gesto.

Ma forse anche le cose come stanno
hanno un ordine

tanto più vasto
da uscire dall’inquadratura

da non entrare mai
in nessuna mente

così il massimo di reale combacia
con l’astrazione pura

come quando la notte
essere e non essere
niente
si equivalgono.

La fine di quest’arte (Einaudi, 2015)

Foto di Dino Ignani

Silvia Bre


Ognuno vuole avere il suo dolore
e dargli un corpo, una sembianza, un letto,
e maledirlo nel buio delle notti,
portarlo su di sé tenacemente
perché si veda come una bandiera,
come la spada che regala forze.
Ma c’è persa nell’aria della vita
un’altra fede, un dovere diverso
che non sopporta d’esser nominato
e tocca solamente a chi lo prova.
È questo. È rimanere
qui a sentire come adesso
l’onda che sale nelle nostre menti,
le stringe insieme in un respiro solo
come fosse per sempre,
e le abbandona.
Ma nemmeno la pupilla d’un cieco
dimentica l’azzurro che non vede.

 

Marmo (Einaudi, 2007)

© Foto di Dino Ignani