Luis García Montero

Ricordati che esisti soltanto in questo libro,
la tua vita ringrazia i miei fantasmi,
la passione che pongo in ogni verso
per ricordare l’aria che respiri,
gli indumenti che indossi e a me li togli,
i taxi dove viaggi in ogni notte,
la sirena ed il cuore dei tassisti,
i bicchieri che al bar hai condiviso
con la gente che vive in quei banconi.
Ricorda che dall’altra parte io aspetto
di quei tram quando tu sei in ritardo,
che, sentinella scomoda, il telefono
si trasforma in un ospite ignaro,
che c’è un vacuo fragore d’ascensori
che da soli si litigano e convocano,
in salita o in discesa, nostalgia.
Ricorda che il mio regno sono i dubbi
di questa città che ha solo fretta,
e che la libertà, cigno terribile,
non è l’uccello notturno dei sogni,
bensì complicità, il suo serbarsi
ferita dalla sciabola che fa
il saperci personaggi letterari,
delle vere menzogne, verità menzognere.
Ricordati che esisto se esiste questo libro,
che strappando una pagina posso suicidarci.

 

da Poesia spagnola del secondo novecento (Vallecchi, 2008), trad. it. F. Luti

Robert Lowell

Epilogo

Quelle beate strutture, intreccio e rima –
perché non mi sono d’aiuto ora
che voglio fare
qualcosa di immaginato, non ricordato?
Sento il suono della mia stessa voce:
“La visione del pittore non è una lente,
trema nell’accarezzare la luce”.
Ma a volte tutto ciò che scrivo
con l’arte logora del mio occhio
sembra un’istantanea
livida, rapida, vistosa, folta,
più intensa della vita,
eppure paralizzata dal fatto.
Tutto è mésalliance,
eppure perché non dire ciò che accade?
Prega per la grazia accurata
che Vermeer diede all’illuminazione del sole
che muove come marea sulla carta
fino alla sua ragazza solida di struggimento.
Noi siamo poveri fatti passeggeri,
da ciò ammoniti a dare
a ogni figura nella fotografia
il suo nome vivente.

 

Giorno per giorno (Mondadori, 2001)

Beppe Salvia

beppe salvia

 

A scrivere ho imparato dagli amici

A scrivere ho imparato dagli amici,
ma senza di loro. Tu m’hai insegnato
a amare, ma senza di te. La vita
con il suo dolore m’insegna a vivere,
ma quasi senza vita, e a lavorare,
ma sempre senza lavoro. Allora,
allora io ho imparato a piangere,
ma senza lacrime, a sognare, ma
non vedo in sogno che figure inumane.
Non ha più limite la mia pazienza.
Non ho pazienza più per niente, niente
più rimane della nostra fortuna.
Anche a odiare ho dovuto imparare
e dagli amici e da te e dalla vita intera.

 

Cuore (Rotundo, 1988)