Roberto R. Corsi

Mio padre di ottant’anni e qualche giorno
è un pulcino incazzato,
sta tornando nel guscio
perché fuori, in cantiere, spira il freddo
di giovani che spingono che irridono che sputano.
Un vecchio è come carne quando cade
l’unghia che le sta sopra, o come Dafne
quando lenta si muta in una pianta d’alloro.
Attorno nasce un velo
corneo o ligneo; s’ispessisce pian piano,
sempre più impermeabile
ai miei gesti e parole.
Gli accarezzo le spalle
mentre dorme in poltrona e sbava e scalcia e sogna.
Guardo nella penombra il volto che è già maschera
e faccio il Mitridate col vuoto soffocante di domani.

La perdita e il perdono (Pietre Vive Editore, 2020)

Foto di Laura Albano

Roberto R. Corsi


Mi narra il turbamento dinanzi a una coppia molto giovane
Che si bacia sulla panchina; vistosa lei muove la mano sulla patta
Dei jeans di lui. Scrivine, gli dico: perfino Larkin s’è appropriato
Di simile visione, stemperandola nel dolce rimpianto.
L’amico invece esita, trova volgare il tutto. Eppure
C’è tanta brezza dentro quel primo impulso, che stacca il frutto
Dal ramo dell’adolescenza ansiosa, desiderante
Sul ritmo binario di un gesto semplice, innato,
Forse destato, sferzato dall’agone con amiche più esperte.
Finestre altissime cui, solo col pensarci,
Hai già perduto il tempo per poterti inerpicare.

 

(8 giugno 2018)

Foto di Laura Albano