Roberta Dapunt


Tu mia stanza,
paziente angolo di questa casa.
Mia cattiva abitudine, mio vizio capitale.
Tu mia triste passione, mia poesia.
Tu mio orto misericordioso,
mio terreno fertile, mia arsura.

Tu grande orecchio che ascolti
il mio eco mille volte uguale.
Tu mio confessionale, mia direzione.

Tu mio tabernacolo,
custode della mia anima.
Tu mia cappella, che in te conservo
le immagini dei santi e dei miseri dannati.
Tu mio venerdì santo, mia Pasqua.

Tu mio rifugio, mia arca
quando tra le mani diluviano gli inchiostri.
Tu mia stanza, mio spazio fisso,
mio enorme foglio bianco.

Tu mia certezza, mio feretro,
mio funerale.
In te rientra in silenzio
il mio rito quotidiano,
la mia tempesta, il mio silenzio.

La terra più del paradiso (Einaudi, 2008)

Roberta Dapunt

dapunt

A chi pensa che io non sia di oggi,
io dico che il mio stare ad ascoltarlo è oggi.
Non è ieri, non sarà domani la mia attenzione,
bensí oggi. Oggi sono e sto qui davanti al foglio di carta,
sente forte il graffio di ogni mia parola.
Che da esse parte l’intimità quotidiana del mio corpo,
il suo nudo guardarmi è aderenza indubitabile alla realtà.
Da lui soltanto la mia vista, da lui il mio udito,
nelle sue mani l’umido nero degli orti in questo luogo
e sotto i piedi il fruscio verde e nel dicembre
il freddo a mostrare chiare le stelle.

Dunque, so di non errare. Non mi perdo,
finché posso tenermi forte a questo.

 

Le beatitudini della malattia (Einaudi, 2013)