Vivian Lamarque

Lamarque-Vivian
Preferisco Szymborska II

Preferisco Szymborska
preferisco Szymborska in riva al fiume Warta
che preferisce i Paesi conquistati
a quelli conquistatori, preferisco i vivi
preferisco i morti, preferisco i morti caduti
i loro nomi scritti sul monumento in piazza
che i figli “su leggi” dicono ai figli e ai figli
dei figli ma poi un giorno alt
nessuno in piazza indica più niente a nessuno
preferisco saperlo che siamo formichine
che ci spazzerà via il vento che ci spazzerà via
il tempo, preferisco tutto, preferisco tutti
tutti i fiori dei prati, portarli ai giovani
caduti, preferisco la parola camposanto
fare giustizia togliere l’acqua piovana
ai fiori finti che tanto non la bevono
e darla a quelli veri che la bevono subito
che la bevono fino all’ultima goccia
come bambini con la cannuccia
preferisco la pioggia, la voce della pioggia
e quella del mare, preferisco sedermi guardare
preferisco saperlo che siamo formichine
che ci spazzerà via il vento che ci spazzerà via
il tempo, preferisco i madrigali, preferisco le ali
preferisco la parola ridere preferisco la parola
piangere che in polacco si dicono circa smiac e puakac
preferisco Szym che “sei bella dico alla vita”
preferisco Szymborska, preferisco Wisława
che in polacco si dice Visuava.

 

Madre d’inverno (Mondadori, 2016)

© Foto di Dino Ignani

Vivian Lamarque

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Poesia malata

Ci deve essere un’epidemia
anche questa mia poesia appena nata
si è già bell’e malata.
Appena tu l’hai letta distaccatamente
senza fermarti e senza dirle niente
si è sentita girare un po’ la testa si è appoggiata
si è svestita si è messa a letto
dice che è malata
ha guardato un po’ le cose intorno distrattamente
poi ha chiuso gli occhi e non ha più detto niente
come Mimì finge di dormire
per poter con te sola restare
sta lì così melodrammaticamente
sta lì così senza dire niente
già così ridicola e disperata
appena appena nata.

 

Poesie 1972-2002 (Mondadori, 2002)

Gaia Boni

gaia boni

Dolomiti

Siedono assorte come immense donne
offrendo alla sera l’orlo delle spalle,
-irti fiori i colli di neve ammantati-
un perpetuo chinarsi alla vita
un’attesa che tacita e costretta rimane-
si addolciscono i pendii e scioglie,
stillando silenzi
il ghiacciaio-
Mantengono nel ventre eternamente
gli uniti -e distanti- corpi di aprile e gennaio,
il respiro innevato di vedetta
la tiepida carezza fiorita in ventre.
I petrosi palmi s’asciugano al sole,
le ginocchia discendono dolci
ai verdi richiami dei rododendri
che fraternamente sussurrano
alle sopite genziane
Primavera.

 

© Inedito di Gaia Boni