Faraj Bayraqdar


Visita

Alla fine
a differenza del
solito
il mio amore sorride
al suo nome.
L’universo festeggia
due nuovi cieli
le farfalle indossano ali
di libertà pura.
Grazie dicono i boschi
sciogliendo al vento i capelli.
Grazie dicono i gabbiani
scrollando dalle ali
la stanchezza del primo migrare.
Grazie dicono le onde
eseguendo una danza
su un’aria marina d’amore.
Galoppano i campi di grano
i sogni domano le tempeste
e Dio si raddrizza
sul suo trono.
Alla fine
come al solito
gorgoglia la voce del poliziotto
che annuncia la fine della visita
le finestre del carcere chiudono gli occhi
e le pareti si coprono di
un colore di estremo pudore.

Carcere di Sednaya, 26 gennaio 1993

Rivista “Smerilliana” (18, 2015), trad. it. E. Chiti

Osama Esber


Nella terra della Rivelazione

Dante,
Ispiratore, tu illumini le mie parole sulle strade dell’inferno.

Leggo il tuo poema epico
portando sulle spalle il peso di un altro inferno,
in una nazione dove la Rivelazione Divina sceglie
di comparire in proiettili e lame.

Dante,
Il mio inferno è dentro di me
E fa esplodere la lingua del qui ed ora,
Le fiamme si alzano illuminando le strade dell’esilio.

Dante,
Non vedo ora animali nella foresta,
solo bambole imbottite di idee,
idee che svaniscono come vapore.

Dante,
Ho messo da un lato il tuo libro
E nel suo messaggio per me io viaggio
Sulle strade di un altro inferno.

Da un inferno dove scorrono cinque fiumi,
sono venuto.
Ogni fiume con la propria storia da raccontare:
Il primo sgorga da ferite invisibili.
Il secondo sgorga da dolori
E bagna le guance della terra come lacrime.
Il terzo emana dalle urla della folla,
frantumando le mura di città indifferenti.
Il quarto viene da preghiere disperate,
bussando, invano, alle porte del cielo.
Il quinto è un fiume di parole morte
nelle cui acque i poeti vedono dissolversi i propri volti.

Sotto tetti che crollano
Dai loro detriti si alzano nubi nere,
Estendendo il lutto a un cielo,
Fra improvvisi bagliori,
Da cui s’irradiano luci che illuminano le strade per i funerali,
su un terreno macchiato di sangue che colora le acque
il mio inferno si trova lì.

Non è una storia, né metafore, neppure fantasie
Che gesticolano nell’oscurità dell’immaginazione.
Non ho bisogno di una guida.
Non è un mondo separato
Come nella lingua del Corano o della Bibbia.
Si annida nelle celle di città e nelle loro anime sconfitte.
È:
Nella strage dei bambini
Nei lividi dei corpi
In preghiere rosse che splendono intorno alle bare
Nei petti di giovani uomini che pendono dai soffitti di stanze
Con buchi di proiettili

Nella più antica città abitata del mondo
Sulle più antiche coste,
Inferno getta i suoi semi:
Crescono alberi di fuoco
Piovono nubi di fuoco
Scorrono fiumi di acido
Animali di fuoco vagano in un bosco in fiamme.

Qui,
Nella città dalle spalle larghe,
La città del poeta che ha visitato l’inferno
E che da lì ha fatto ritorno molte volte,
La città di una mucca che ha causato un inferno
Non possiamo dormire
Perché l’inferno apre le sue porte nei nostri sogni
Oscilla nei lampadari dell’insonnia
Brilla nelle luci quando guardiamo da finestre,
Nel sole, nella luna e nelle stelle.
Non perché è tutto comprende ed è passaggio
Ma perché brucia così nei piccoli dettagli
come nei grandi,
Perché è l’inferno che ci caccia
Che ha fatto la nostra immaginazione e le nostre idee,
Che ha preso dimora nei nostri occhi.
E nella profondità delle nostre anime
I suoi fiumi ruggiscono.

Lo sento crepitare
Nei colori esiliati della pelle
Nella mano che mendica
Negli occhi abbassati
Negli sguardi distratti
Nei gemiti dei malati dietro i muri
Nei sogni abortiti di letti mobili
Nei cuori che pulsano nella solitudine
I loro battiti campane risonanti
Appese nella cupola della vacuità.
In città che non vedono nulla nei loro specchi
Se non il loro paradiso momentaneo.

Senza sacche o vestiti
Ce ne andiamo.
Andiamo dall’auto dentro la tomba
O dentro la tenda del confine,
La barca della fuga verso altre spiagge
Che avevamo rifiutato e nuotiamo perdendo la direzione.
Abbiamo ingoiato l’esca,
Strappati dalla nostra vita monotona
E gettati, senza desiderio, nel cesto
Dell’esilio.

O farsa celeste,
Farsa degli odi,
Dove l’inferno è fabbricato
Il paradiso è fabbricato
Dove l’inferno è una prigione
Il paradiso è una prigione
E le parole perdono il loro gusto
E i ritmi sono persi nel
Nostro sangue.

Il mio inferno si biforca
Numerose sono le sue strade e le città
Sparsi i villaggi
Da quando ho preso coscienza
Sono stato carbonizzato dal suo fuoco
Sono stato fatto risorgere più di una volta con una nuova pelle
Ho visto l’occhio sadico di Dio
Ho visto i miei amici sulle sue braci
Con le loro poesie che grondavano sudore
Un fuoco che illumina le strade degli inizi
Dove i passi continuano a muoversi senza mai arrivare
E il corpo resta felice nonostante la disperazione.
Ed eccomi per le sue vie: incapace di
Raccogliere i segnali della salvezza,
Perchè sotto la potenza del raggio della realtà
Abita il nostro paradiso fugace.

Oh inferno
Nel tuo nome annuncio la mia storia
Con il tuo lessico
Faccio una poesia per il futuro
Una collana di parole che
Pianta la speranza
Io appendo al collo del tempo.

 

© Traduzione in italiano di Franco Nasi, revisione di Amarji

 

*

 

 

في أرض الوَحي

أسامة إسبر

دانتي
تُضيء كلماتي مُلهماً ورائداً.

دانتي،
قرأتُ كتابكَ حاملاً على كتفيَّ أعباءَ جحيمٍ آخر
في بلادٍ اختارَ فيها الوَحْيُ
أن يتجسّدَ في رصاصٍ وأنصال.

دانتي،
جحيمي في داخلي
يُفَجِّر لغةَ الآن وهنا،
ويعلو اللهبُ كي يضيءَ أفقَ العذاب.

دانتي،
لا أرى حيواناتٍ في الغابة الآن.
أرى دُمى محشوة بالأفكار
وأفكاراً متلاشيةً كبخار الآلات.

دانتي،
أضعُ كتابَك جانباً
وأسافرُ في رسالتهِ إليَّ
على طرقات جحيم آخر.

أجيءُ من جحيمٍ تجري فيه خمسةُ أنهار
لكلِّ نهر حكاية:
الأوّلُ ينبع من جراحٍ غير مرئية.
الثاني ينبعُ من الأحزان،
ويجري على خدودِ الأرض كالدموع.
يتبجّسُ الثالث من صرخاتِ حشودٍ
تقرعُ جدرانَ مدنٍ لامبالية.
يخرجُ الرابع من صلوات يائسةٍ
عبثاً تقرعُ أبوابَ السماء.
الخامس نَهْرُ كلماتٍ ميتة
يتمرأى في مائه الشعراء.

تَحْتَ سَقْفٍ ينهارُ
ترتفعُ منه غيومٌ سوداء
تُوسِّع سماءً للنَدْب،
في لهبٍ مفاجئٍ،
تنبثقُ منه أضواءٌ
تُشكّل شَمسْاً
تُضيءُ طُرقَ الجنازات،
فوق ترابٍ يصطبغُ بدمٍ
يُلوِّن المياه
يَتوضَّع جحيمي.

ليس قصّةً، أو استعارات،
أو صوراً متخيّلة
تُومئ في عزلة الخيال.
ليس عالماً آخر منفصلاً
روايةَ إنجيلٍ أو قرآن،
جحيمي يُعشّش في مسامِّ المدن
وأرواحها المهزومة.
أراه:
في أشلاء الأطفال
في كدمات الجثث
في صلواتٍ حمراءَ
تتوهّجُ حول التوابيت،
في صدور شبّان
يتدلّون من سقوف الغرف
مُثقّبين بالرصاص.

في أقدم مدينةٍ مَأْهولةٍ في العالم
على أقدمِ شطآن
ينثرُ الجحيم بذاره
فتنمو أشجارٌ من لهب
تُمطرُ سحبٌ من لهب
تتدفّق أنهارٌ من الأحْماض
وتتجوّل حيواناتٌ من لهب
في غابة محترقة.

هنا،
في مدينةِ الأكتاف الكبيرة،
مدينةِ الشاعر الذي زارَ الجحيم
وعادَ منه مرات كثيرة،
مدينةِ البقرةِ التي صَنَعتْ جحيماً،
لا نستطيع أن ننام
ذلك أنَّ الجحيم يفتحُ بوّاباته في أحلامنا،
يتدلّى في ثريات اليقظة،
يلمعُ في الأضواء حين ننظرُ من النوافذ،
في الشَمْس والقمر والنجوم،
يحرقُ في التفاصيل الصغيرة،
كما يحرقُ في التفاصيل الكبيرة،
صنعَ أخيلتنا وأفكارنل
سكن أعيننا.
وفي أرواحنا
تهدر أنهاره.

أراهُ:
في لون البشرة المنفيِّ
في اليد التي تتسوّلُ
في العين المُنَكَّسة
في الملامح الذّاهلة
في صرخات المرضى خَلْف الجدران،
في الأحلام المُجْهَضَة للأسرّة المُتنقّلة،
في مدنٍ لا ترى من نفسها في مراياها
سوى فراديسها اللحظويّة.

وها نحن
نرحلُ بلا حقائب أو ثياب،
نترجّلُ من السيارة إلى القبر،
أو خيمةِ الحدود،
ينقلبُ بنا قاربُ الهرب
إلى شواطئ أخرى،
ونسبحُ فاقدين للاتجاه.
نبتلع الطَّعْم
نُرْفَعُ من حياتنا الرتيبة
ويُقذف بنا،
دون إرادة،
في سلّة المنفى.

أيّتها المَهْزلة الإلهية
يا مهزلة الأحقاد
حيث الجحيم مُمتلكٌ
الفردوس ممتلكٌ
حيث الجحيم سجنٌ
الفردوس سجنٌ
الكلماتُ تفقد طعْمها
وتضيع الإيقاعات في الدم.

جحيمي مُتَشعِّبٌ
منذ أن وَعيْتُ على الدنيا
كَوَتْني ناره وتَفَحَّمْتُ في أرجائه.
وُلدْتُ أكثر من مرة
بعد أن صرتُ رماداً واحترقتُ من جديد.
رأيتُ أصدقائي يتقلّبون على جماره
والعرق يتصبّبُ من قصائدهم.
جحيمي في داخلي يستعرُ
ناراً تضيء طرق البدايات
وتظلُّ الخطى سائرة دون أن تصل
ويظلُّ الجسد سعيداً رغم شقائه.
وها أنذا على طرقاته غير قادر
على التقاط إشارات الخلاص
ففي سطوة شعاع الواقع
يسكنُ فردوسنا العابر.

باسمكَ أيّها الجحيم
أعلنُ حكايتي،
بمفرداتك
أصنعُ قصيدةً للمستقبل،
قلادةً من كلماتٍ
تزرعُ الأمل
أُعلِّقها على عنقِ الوقت.

Faraj Bayrakdar


Trattieni l’azzurro,
cielo.
Trattieni le rocce,
terra.
Trattieni i flauti,
vento.
Trattenete le date,
direzioni.
Trattenete le elegie,
minareti.
Trattenete le ali,
uccelli.
Trattenete le ragazze,
sorgenti.
E tu, Mamma,
trattieni le ombre e le preghiere.
Chi ama canta
e non c’è canto
che non sia di libertà.

 

Specchi dell’assenza (Interlinea, 2017), a cura di Elena Chiti

Nizàr Qabbàni


Ti ho lasciato scegliere… quindi scegli
tra morire sul mio petto
o sui quaderni delle mie poesie.
Scegli l’amore… o il non-amore.
Viltà è non scegliere,
non esiste terra di mezzo
tra inferno e paradiso.

Getta via tutti i tuoi fogli
e accetterò qualunque scelta.
Parla, agisci, esplodi,
ma non rimanere immobile come un chiodo.
Io non posso rimanere per sempre
come un fuscello sotto la pioggia.
Scegli uno tra i due destini
e quanta violenza il mio destino…

Sei stanca e spaventata
e la strada che porta a me è ancora molto lunga.
Immergiti nel mare… o vai via,
non esiste mare senza vortici.
L’amore è una grande sfida,
un navigare controcorrente.
L’amore è crocifissione… condanna… e lacrime,
una migrazione tra le lune.
Donna, la tua codardia mi uccide
e tu… ti diverti dietro una cortina.

Io non credo nell’amore
che non ha l’irruenza delle rivoluzioni,
che non frantuma tutti i muri,
che non si abbatte come un uragano.
Oh… se il tuo amore mi inghiottisse,
se mi sradicasse… come gli uragani.

Ti ho lasciato scegliere… quindi scegli
tra morire sul mio petto
o sui quaderni delle mie poesie.
Scegli l’amore… o il non-amore.
Non esiste terra di mezzo
tra inferno e paradiso…

 

Le mie poesie più belle (Jouvence, 2016), a cura di Nabil Salameh, Silvia Moresi

Faraj Bayrakdar


Richiamo

Il tuo richiamo di colomba mi insegue la sera.
Inseguimi, allora.
E’ come il vino della poesia quando mi chiami
e io per causa tua
spingo i cavalli alle lacrime
piego le ali agli uccelli
sfioro il canto.
Il tuo richiamo è un’altalena
quando lo spazio si restringe
si restringe nell’assenza.
L’albero del cuore basta
se cade la nostra brezza
e noi cadiamo con lei?
E’ fatto del nostro sangue l’albero del cuore
o è solo illusione?
Una domanda che mi tormenta meteora dopo meteora
una rosa due rose
mi dormono sul braccio
e l’alba s’insinua azzurra
perché si bagni la rugiada
perché io la veda.
Per questa domanda gazzella
per quel che ci terrà imprigionati
nella rete della risposta
perché il cielo non si restringa.
Libererò uno stormo di giovani colombe
e aprirò le mie mura al loro domani.
Se mi annegheranno nel richiamo
annegherò
e se mi sveglieranno
lascerò aperta la finestra del sogno
e dormirò.

Sezione Palestina, 1987

 

Il luogo stretto (Nottetempo, 2016), a cura di Elena Chiti

Adonis


Oggi ho la mia lingua

Ho distrutto il mio regno
ho distrutto il mio trono, le mie piazze e i miei portici
e con la forza dei polmoni ho iniziato
a insegnare al mare le mie piogge, regalargli
il mio fuoco e le mie braci
a scrivere il tempo che verrà sulle mie labbra.

Oggi ho la mia lingua
ho le mie frontiere, la mia terra, il mio aspetto
ho popoli che mi nutrono con la loro incertezza
e si illuminano con le mie rovine e le mie ali.

 

I canti di Mihyar il Damasceno (Mondadori, 2017), trad. it. Fawzi Al Delmi

Adonis

La rosa dell’alchimia

Dovrei viaggiare nel paradiso della cenere
tra i suoi alberi nascosti,
nella cenere vi sono fiabe, diamanti e un vello d’oro.
Dovrei viaggiare nella fame, nelle rose, verso la mietitura
dovrei viaggiare, riposare
sotto l’arco delle labbra orfane,
nelle labbra orfane, nella loro ombra ferita
è l’antica rosa dell’alchimia.

 

Libro delle metamorfosi e della migrazione nelle regioni del giorno e della notte (Mondadori, 2004), trad. it. F. Al Delmi