Dejan Aleksić


ŠEŠIR

Nije lako čekati
Glavu po meri

Visiti od rođenja
U izlogu stare radnje
Čiji vlasnik odavno
Leži pod zemljom
Eshatološki gologlav

Još teže je
Biti filcano zvono
Nad poprištem misli
Hladnih kao prsti kasirke
Što broji sitninu

Ako neko i zastane
Pred zamašćenim oknom
To je tek da oslušne
Dečaka s harmonikom
I spusti novčić

U šešir koji zeva
Okrenut ka nebu

 

*

 

Il cappello

Non è facile aspettare
la testa della misura giusta

Pendere dalla nascita
Nella vetrina della vecchia bottega
Il cui proprietario da tempo
Giace sotto terra
Escatologicamente a testa nuda

Più difficile ancora
Essere una campana di feltro
Sopra l’arena dei pensieri
Freddi come le dita della cassiera
Che sta contando gli spiccioli

E anche se qualcuno si ferma
Davanti all’untuoso vetro
È solo per porgere orecchio
Al ragazzo con la fisarmonica
E gettare la monetina

Nel cappello che sbadiglia
Rivolto verso il cielo

Traduzione di Marija Bergam Pellicani

Alen Bešić


purgatorio

Ti supera la verità su te stesso,
quell’aggregato di piccole e grandi oscurità. Steso
da un muro all’altro, come il filo della biancheria
nella camera dei poveri, il desiderio fiacco: bisogna
riconciliarsi con la propria infanzia
. Permettere
al ricordo feroce di dirsi: ti raccogli intorno
alle estati monche senza il padre, il vuoto generosamente
colmato dagli zii, nonni, nonne o lo stucchevole gusto di tulumbe
della pasticceria cittadina. Intorno al respiro sommesso
del quattrenne che lungo una ripida scala scende
come in purgatorio nella bettola fumosa e tra
i giocatori di tavla, da sotto in su, si sforza
di distinguere il viso familiare. E la sua vergogna
aghiforme, mentre ritorna da solo, compito non assolto,
per trasmettere alla madre un messaggio inventato: «Ha detto
di fare un altro giro.» Fra te
e lui – un’intera lingua. È una giornata di maggio.
Nella nassa delle costole si dibatte il cuore.

 

Golo srce [Cuore nudo], 2012 – Traduzione Marija Bergam

Foto di Ciprian Hord

Ivan Lalić

kul-ivan-v.-lalic

 

Ciò che ogni albero sa

Impara, cuore, ciò che ogni albero sa:
Disporre la radice, infliggerla con giusto orientamento
Nel buio sparso; non dentro il sasso, bensì
Attorno al sasso; non dentro l’argilla
Bensì verso l’acqua non lontana;
Non nella ripulsa, ma nell’amore pronto
A rendere alla pressione di radice angusta ascesa
Fu per l’asse anulare, dritto, fino alla forcella,
E oltre, per l’erta obliqua delle fronde ripetente
L’ordine della sete sottostante nella luce, nel vento,
In simmetria, nell’equilibrio che accoppia
Nadir e zenit; e infine sino al frutto
Che vorrebbe arrotondare col suo peso
Movimento in misura appassionata. Così non agendo
Vantaggio del suo danno, rachitica sarà la chioma
Gibboso lo sforzo di rizzarsi, brutta la corteccia,
Partito il frutto e rado. Ogni albero lo sa.
Non imparare, cuore, dal folle albero di olivo
Che ricorda gli dei ellenici, innamorato della pietra
E del serpe che custodisce alla radice.

 

da Poesie (Jaca Book, 1991), trad. it. Eros Sequi.