È rimasto l’odore
della tua carne nel mio letto.
È calda così la malva
che ci teniamo ad essiccare
per i dolori dell’inverno.
È fatto giorno (Mondadori, 1954)
È rimasto l’odore
della tua carne nel mio letto.
È calda così la malva
che ci teniamo ad essiccare
per i dolori dell’inverno.
È fatto giorno (Mondadori, 1954)
Un treno partì in orario.
La destinazione non era mai stata nostra.
Scegliemmo il tragitto più lungo.
La distanza nella distanza.
Nessuna fermata nel raggio dello sguardo.
Partimmo per restare nell’altro.
La partenza nella partenza.
Arrivare non è più importante.
Il luogo da raggiungere è dovunque qui.
Qui dove tutto è rimasto identico
i profumi i rumori sono gli stessi. Chi li percorre?
Li percorriamo al contrario
senza memoria ciechi senza risposta.
No. Non riuscimmo a fermarlo il vento.
Entrò nel passato.
Spazzò le foglie dal paesaggio. Spazzò i volti.
Entrò per restare un’ombra.
Per diverse ragioni (Passigli, 2017)
Lucania
Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi,
a chi scende per la stretta degli Alburni
o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra,
al nibbio che rompe il filo dell’orizzonte
con un rettile negli artigli, all’emigrante, al soldato,
a chi torna dai santuari o dall’esilio, a chi dorme
negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante,
la Lucania apre le sue lande,
le sue valli dove i fiumi scorrono lenti
come fiumi di polvere.
Lo spirito del silenzio sta nei luoghi
della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto,
sofistico e d’oro, problematico e sottile,
divora l’olio nelle chiese, mette il cappuccio
nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce
con l’erba alle soglie dei vecchi paesi franati.
Il sole sbieco sui lauri, il sole buono
con le grandi corna, l’odoroso palato,
il sole avido di bambini, eccolo per le piazze!
Ha il passo pigro del bue, e sull’erba,
sulle selci lascia le grandi chiazze
zeppe di larve.
Terra di mamme grasse, di padri scuri
e lustri come scheletri, piena di galli
e di cani, di boschi e di calcare, terra
magra dove il grano cresce a stento
(carosella, granoturco, granofino)
e il vino non è squillante (menta
dell’Agri, basilico del Basento!)
e l’uliva ha il gusto dell’oblio,
il sapore del pianto.
In un’aria vulcanica, fortemente accessibile,
gli alberi respirano con un palpito inconsueto;
le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo.
Cumuli di macerie restano intatti per secoli:
nessuno rivolta una pietra per non inorridire.
Sotto ogni pietra, dico, ha l’inferno il suo ombelico.
Solo un ragazzo può sporgersi agli orli
dell’abisso per cogliere il nettare
tra i cespi brulicanti di zanzare
e di tarantole.
Io tornerò vivo sotto le tue piogge rosse
tornerò senza colpe a battere il tamburo,
a legare il mulo alla porta,
a raccogliere lumache negli orti.
Vedrò fumare le stoppie, le sterpaie,
le fosse, udrò il merlo cantare
sotto i letti, udrò la gatta
cantare sui sepolcri?
L’ellisse. Poesie 1932-1972 (Mondadori, 1974)
Poco fa sentivo il cuore di mia moglie
sulla mia guancia.
Il cuore di mia moglie
è una cesta dove dormono i gatti,
un forno dove lievitano
le crostate.
Il cuore di mia moglie
è una luminosa chiesa di campagna,
un arcobaleno posato
sui campi.
Cedi la strada agli alberi (Chiarelettere, 2017)
© Foto di Enrico Minasso
A scrivere ho imparato dagli amici
A scrivere ho imparato dagli amici,
ma senza di loro. Tu m’hai insegnato
a amare, ma senza di te. La vita
con il suo dolore m’insegna a vivere,
ma quasi senza vita, e a lavorare,
ma sempre senza lavoro. Allora,
allora io ho imparato a piangere,
ma senza lacrime, a sognare, ma
non vedo in sogno che figure inumane.
Non ha più limite la mia pazienza.
Non ho pazienza più per niente, niente
più rimane della nostra fortuna.
Anche a odiare ho dovuto imparare
e dagli amici e da te e dalla vita intera.
Cuore (Rotundo, 1988)
Lettera
Viene la sera, è vero, silenziosa
piove una luce d’ombra e come
fossero i nostri sensi inevitabili
improvvisi, noi lamentiamo
una più vasta scienza.
Aver di quella il frutto
appariscente, la bella brama,
e l’ombra perfino, di sussurri
e di giochi, come bimbi.
Ma io lo so Serena io non posso,
in questi tempi segnati dal segreto
di cui s’invade
la nostra intimità,
vivere adesso se non con tale affanno
e così lieve.
Di questo amaro stento già si fa più vero
un sentimento pago di letizia, al modo
che alla sera insieme
andando per le strade
chiare, l’ho visto, d’ombra
e di segreto,
noi siamo tra i perduti lumi
esseri più miti di chi
venuto prima di noi
ebbe solo a soffrire
salvi quasi per caso, e in questo prodighi.
I baci sono bellissimi doni.
da Cuore (Rotundo, 1988)
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