Guido Cupani

Introduzione al pollaio

Le vostre ali ricordano
di quando sapevano volare?

Hai sbagliato domanda.
Io comincio da questa penna
e finisco in quest’altra.
Le mie compagne mica le conosco.

Dalle nostre parti è forte
l’urgenza a comunicare.

E sia, non posso escludere
che l’universo abbia forma d’uovo
e proprio al centro
una promessa di tuorlo
perfettamente tonda

Una risposta degna
di chi tiene il becco fisso
lasciando che il corpo si muova attorno

Credete che non abbiamo anche noi
un nostro Einstein
un nostro Spinoza?
Li conoscereste se sapeste
leggere lo zampettio nel guano

Vuol dire che abbiamo cercato
forme di vita intelligente
nel luogo sbagliato?

La mia crestina sfiora
il tetto di lamiera
Non conosco altro vertice
della creazione e non so come
come
come

co co co
guarda un po’ che cos’ho trovato qui

Inedito

Giovanna Cristina Vivinetto

Autoscatto

I papiri curvano la luce del pomeriggio,
fanno come un muro all’orizzonte.
Un albero pare buchi l’acqua
salendo dalle profondità sommerse.
A lato una rana è colta nell’atto
di saltare in uno spazio ignoto – più in là
una biscia si confonde nel giuncheto.

Non si vedono ma riempiono l’aria
le cicale, i grilli – questa generazione
invisibile spuntata dalla corteccia.
Poco a destra, un lembo di terra nera
trasuda ancora un fumo vegetale.
E poi riflessi moltiplicati, nuvole cresciute
dentro l’acqua – un silenzio sparpagliato
sull’erba come dopo una fuga.

Eppure la fotografia non rende
giustizia. Nulla dice di me in quel momento
sprofondata nello stagno, smarrita
dentro la prospettiva – per essere
andata in cerca di una me scivolata
nel fondale – una me attonita, conchiglia.

Io già anfibia, frammista
alle rocce, ai verdognoli girini,
alla sera minerale addensata sulla nuca.
Io così incastrata nel paesaggio
da apparire indistinguibile – annidata
nel respiro delle creature marine,
nel gesto di una gioia incompiuta

– io afferrata dalle caviglie, io di nuovo umana
quel giorno a me stessa
a me solo sopravvissuta.

Inedito

Margherita Guidacci


Non a te appartengo, sebbene nel cavo
Della tua mano ora riposi, viandante,
Né alla sabbia da cui mi raccogliesti
E dove giacqui lungamente, prima
Che al tuo sguardo si offrisse la mia forma mirabile.
Io compagna d’agili pesci e d’alghe
Ebbi vita dal grembo delle libere onde.
E non odio né oblio ma l’amara tempesta me ne divise.
Perciò si duole in me l’antica patria e rimormora
Assiduamente e ne sospira la mia anima marina,
Mentre tu reggi il mio segreto sulla tua palma
E stupito vi pieghi il tuo orecchio straniero.

Le poesie (Le lettere, 2020)

Elena Zuccaccia

Ph. Raffaele Marciano

io sono orizzontale
ma preferirei essere verticale
un albero con radici
nel suolo

cercarmi in quest’altra
linea del tempo
dove la vita si confessa il
sabato pomeriggio
e salta dall’altalena mentre
ancora oscilla

le vene sui palmi
nuovi segni sui dorsi
linee di una metro
con cui andare sopra sotto
poter fare ancora tutto

sotto i denti (Edizioni Pietre Vive, 2023)

Raimondo Iemma

Ti devo spiegare
tutta, ti devo girare e stendere
come un aquilone per farti
volare. Distesa sembri più grande:
ristretta. Sei l’inebriante
mancamento che mi aspetta.
Per sapere veramente
mi basta immaginare
un ampio volo bianco
poi la neve cade da sé
succede per se stessa

Una formazione musicale (Le Voci della Luna, 2013)

Eugenio Montale


Ora sia il tuo passo
più cauto: a un tiro di sasso
di qui ti si prepara
una più rara scena.
La porta corrosa d’un tempietto
è rinchiusa per sempre.
Una grande luce è diffusa
sull’erbosa soglia.
E qui dove peste umane
non suoneranno, o fittizia doglia,
vigila steso al suolo un magro cane.
Mai più si muoverà
in quest’ora che s’indovina afosa.
Sopra il tetto s’affaccia
una nuvola grandiosa.

Ossi di seppia (Mondadori, 2016)

Piergiorgio Viti


(a Sarnano)

Quel giorno che andammo
a fare il tour delle cascate,
alla prima eravamo già stanchi.
Voltandomi ho notato
la fronte grondante,
lo sguardo perplesso,
il passo largo di chi
preferisce una comoda poltrona.
Ma abbiamo proseguito,
ti sei sacrificata,
perché io ero curioso
di vedere la seconda, la terza,
volevo in faccia gli zampilli
dell’acqua,
sentire il profumo di muschio
del sottobosco.
Così, giunti all’ultima,
ho sperato
che per te dietro alla cascata
apparisse la scritta “Grazie”
con gli strass e i caratteri cubitali,
invece non è apparso nulla
e anch’io non sono stato capace
di dire nulla,
come faccio sempre,
come tutte le volte
che non parlo
e una carezza mi resta tra le mani.

Quando l’aria aveva paura di Nureyev (2021, Terra d’ulivi).

Paolo Pistoletti

 

[chi da per sempre
torna chi parte
sono]

Io che poi la strada
prende il mio posto.
Tu che poi io
via alberata
sostituisci me.
Che mi fui affidato
da nessuna pietà celeste.
Che chi ho qui ha di nuovo
male alle foglie, alle case
alle mura.
Che da fuori del temporale
ho già l’aria
di chi non c’è.
Dall’incessante giungo.
A lui ritorno.
Fine pena mai.
Si carica un altro mondo
da qualche altra parte
che non so. Così un altro io
che sarò stato
si sottrae dal mio nome.
Mi manchi all’appello mia dispersione
tra gli innumerevoli.
È l’ora
di non esserti più.

È l’ombra di andarsene.
Del mio tempo
verso dentro
una terra liquida
prima di nascere. Postumi dal cielo
amniotico
tra le acque rotte
mi ritrovo ogni volta
nato come dopo una sbronza
di dèi. Ancora un io vuoto
a perdere
un corpo
da ogni mio corpo come un estratto
da ognuno di me.
Mi succedo
dal mio sé.
Dal non ricordo oramai
di quante vite.

Al di qua di noi (Arcipelago Itaca Edizioni, 2023)

Stefano Simoncelli

Ph. Daniele Ferroni

Ogni tanto, specialmente all’alba,
si presenta un distinto signore
con un cappello di feltro

a falde larghe, sciarpa nera di seta
su uno sdrucito cappotto di cammello
forse di ritorno da una bisca o un funerale

e che rimane sempre lì, davanti al cancello,
come se non trovasse il coraggio di entrare.
“Babbo… babbo” mi sento che farfuglio

andandogli incontro nell’attimo esatto
in cui mi volta le spalle, dà un calcio
di sinistro alla ghiaia e scompare.

Sotto falso nome (Pequod, 2023)