Pierluigi Cappello

Ph. L. d’Agostino

Piangere non è un sussulto di scapole
e adesso che ho pianto
non ho parole migliori di queste
per dire che ho pianto
le parole più belle
le parole più pure
non sono lo zampettio delle sillabe
sull’inverno frusciante dei fogli
stanno così come stanno
né fuoco né cenere
fra l’ultima parola detta
e la prima nuova da dire
è lì che abitiamo.

Assetto di volo (Crocetti, 2006)

Sibilla Aleramo


Rose calpestava nel suo delirio
e il corpo bianco che amava.
Ad ogni lividura più mi prostravo,
oh singhiozzo, invano, oh creatura!

Rose calpestava, s’abbatteva il pugno,
e folle lo sputo su la fronte che adorava.
Feroce il suo male più di tutto il mio martirio.
Ma, or che son fuggita, ch’io muoia del suo male.

Tutte le poesie (Il Saggiatore, 2023)

Ilaria Giovinazzo

Ph. Dino Ignani

Lo senti questo logorio continuo
delle corde intorno all’argano?
L’incontro perfetto del corpo
che aderisce all’ombra?

Sei nelle armonie improvvise
a cui accedo negli attimi illuminati
delle mie giornate.
Sotto il peso delle cose
questo muscolo idiota schianta.

Dimmi solo che la vita non tradisce.
Dimmelo ancora. Menti.

La religione della bellezza (Italic peQuod, 2023)

Attilio Bertolucci

Ph. Dino Ignani

Fuochi in novembre

Bruciano della gramigna
nei campi
un’allegra fiamma suscitano
e un fumo brontolone.
La bianca nebbia si rifugia
fra le gaggie
ma il fumo lento si avvicina
non la lascia stare.
I ragazzi corrono attorno
al fuoco
con le mani nelle mani
smemorati,
come se avessero bevuto
del vino.
Per lungo tempo si ricorderanno
con gioia
dei fuochi accesi in novembre
al limitare del campo.

Le poesie (Garzanti, 2014)

Giuliano Gramigna

Come vivere nella città senza queste care presenze?
bucano all’alba nebbie e averse
con ciglia di fuoco
traballanti intirizzite ospitali;
ma quando nelle terse mattine
della primavera alzando stormi di foglie
dalle ruote – eccoli come sono
convogli stampati di nitore
splendidi di lontano in fondo a una lente
tram misericordi! prorotti dal niente,
ce ne avvisa l’odore
di ferro caldo vernice verbena
su su dai viali defunti
di Casalecchio revenants indomabili –
prima che dalla svolta appaia il viso camuso
arancione (o verde?) col numero degli anni
che restano da vivere.

Quello che resta (Mondadori, 2003)

 

 

Raffaello Baldini

Tótt i dè?

Cumé, t mór tótt i dè, va fè al pugnètti,
va là, t muriré tè tótt i dé, mè,
ch’a so piò vèc ch’ né tè, mo a n’i péns mai,
u n’i pensa niséun, dài, zò, s’e’ fóss
cmè che t dí tè, u i sarébb da dvantè mat,
pu mè, tè di quèll t vu, a m sint zòvan dréinta,
son giovane di spirito, mè, e’ pèr gnént,
mo pénsi, u n’è una festa?
Tótt al matéini avènti fina sàira,
e t vu muréi, tè? las’ ch’e’ móra ch’ilt,
che pu e’ mór sémpra ch’ilt, ta i è fat chès?
e Molèri, purètt, l’è mórt dabón,
léu sabat l’à tiràt zò la serenda,
sa tótt i su baócch, burdéll, però adès léu
l’è mórt e mè a so què te Cafè Roma
ch’a m bèggh un bèl turchètt.

*


Tutti i giorni?

Come, muori tutti i giorni, va’ a cagare,
va’ là, morirai tutti i giorni, io,
che sono più vecchio di te, ma non ci penso mai,
non ci pensa nessuno, dài, su, se fosse
come dici tu, ci sarebbe da diventar matti,
poi io, tu di’ quello che vuoi, mi sento giovane dentro,
son giovane di spirito, io, il mondo,
ma anche tu, guarda il mondo, altro che morire,
svegliarsi tutte le mattine avanti fino a sera,
e vuoi morire, tu? lascia che muoiano gli altri,
che poi muoiono sempre gli altri, ci hai fatto caso?
e Molari, poveretto, è morto davvero,
lui sabato ha tirato giù la serranda,
con tutti i suoi soldi, ragazzi, però adesso lui
è morto e io sono qui al Caffè Roma
che mi bevo un bel vinello di selz.

Rivista “Poesia” (n.177, novembre 2003), Crocetti Editore

Pier Paolo Pasolini


Frammento alla morte

Vengo da te e torno a te,
sentimento nato con la luce, col caldo,
battezzato quando il vagito era gioia,
riconosciuto in Pier Paolo
all’origine di una smaniosa epopea:
ho camminato alla luce della storia,
ma, sempre, il mio essere fu eroico,
sotto il tuo dominio, intimo pensiero.
Si coagulava nella tua scia di luce
nelle atroci sfiducie
della tua fiamma, ogni atto vero
del mondo, di quella
storia: e in essa si verificava intero,
vi perdeva la vita per riaverla:
e la vita era reale solo se bella…

La furia della confessione,
prima, poi la furia della chiarezza:
era da te che nasceva, ipocrita, oscuro
sentimento! E adesso,
accusino pure ogni mia passione,
m’infanghino, mi dicano informe, im
puro
ossesso, dilettante, spergiuro:
tu mi isoli, mi dai la certezza della vita:
sono nel rogo, gioco la carta del fuoco,
e vinco, questo mio poco,
immenso bene, vinco quest’infinita,
misera mia pietà
che mi rende anche la giusta ira amica:
posso farlo, perché ti ho troppo patita!

Torno a te, come torna
un emigrato al suo paese e lo riscopre:
ho fatto fortuna (nell’intelletto)
e sono felice, proprio
com’ero un tempo, destituito di norma.
Una nera rabbia di poesia nel petto.
Una pazza vecchiaia di giovinetto.
Una volta la tua gioia era confusa
con il terrore, è vero, e ora
quasi con altra gioia,
livida, arida: la mia passione delusa.
Mi fai ora davvero paura,
perché mi sei davvero vicina, inclusa
nel mio stato di rabbia, di oscura
fame, di ansia quasi di nuova creatura.

Sono sano, come vuoi tu,
la nevrosi mi ramifica accanto,
l’esaurimento mi inaridisce, ma
non mi ha: al mio fianco
ride l’ultima luce di gioventù.
Ho avuto tutto quello che volevo,
ormai:
sono anzi andato anche più in là
di certe speranze del mondo: svuotato,
eccoti lì, dentro di me, che empi
il mio tempo e i tempi.
Sono stato razionale e sono stato
irrazionale: fino in fondo.
E ora… ah, il deserto assordato
dal vento, lo stupendo e immondo
sole dell’Africa che illumina il mondo.

Africa! Unica mia
alternativa

Poesie (Garzanti, 2015)