Mina Gorji

da Ritratti di Poesia 2023

It isn’t mine to tell

the fear –
we left when I was 5 years old.
The air hostess brought round a tin of sweets,
Quality Street.

Inside the cabin
air was thick
with cigarette –
I can’t remember much about the sky.

It isn’t mine to tell –
the pain.
We landed in the suburbs, I grew up
surrounded by green and cherry trees.

It isn’t mine to tell –
the rage –
mine was a different kind,
caught in a life
of difference.

It isn’t mine
the suffering –
only my nights
are stained with fear.

Each day that passes
I forget the smell
of tiny purple flowers,
the Oriental Plane trees
wet with rain,

Sometimes I feel the spirit
of the other girl,
living the life I left behind.

It isn’t mine to mourn –
the death.
But there’s a silence
that I keep
Instead.

*

Non è cosa mia dire

la paura –
partimmo che avevo cinque anni.
La hostess girava con una scatola di caramelle,
Quality Street.

Dentro l’aereo
l’aria era densa
di sigarette –
Non ricordo molto del cielo.

Non è cosa mia dire –
il dolore.
Sbarcammo in una bella zona, crebbi
in mezzo al verde e ai ciliegi.

Non è cosa mia dire –
la rabbia –
la mia era di un altro tipo,
presa in una vita
di differenza.

Non è cosa mia
la sofferenza –
solo le mie notti
son imbrattate di paura.

Ogni giorno che passa
dimentico l’odore
dei fiorellini viola,
dei platani d’Oriente
umidi di pioggia,

A volte sento lo spirito
dell’altra bambina,
che vive la vita che ho lasciato alle spalle.

Non è cosa mia il lutto –
la morte.
Ma c’è un silenzio
che serbo
al suo posto.

Traduzione di Andrea Sirotti

André Naffis-Sahely

The Other Side of Nowhere

Thirty feet above the ground, in a warehouse
in the industrial outskirts
of a city we’d never lived in,
I knelt inside the near-empty container

to contemplate our nomadic misery:
mismatched chairs, kitchen appliances
older than me, baby clothes,
framed diplomas, books in a language

my father never taught me (it would 
have stunted my assimilation)
and in my head, an email from my mother
that read, “we’re doomed, save what you can.”

So there I was, on the other
side of nowhere in sunny Italy… Despite
the technological changes around us,
disasters still travel in telegrams: Bankrupt. STOP.

Sorry. STOP. Homeless. STOP…
Remember, brother,
when our parents calling us
‘global citizens’ inspired great hope?

But the world proved too tribal for us
and so your suitcase shall be your only friend
while Shi Huang’s fantasy of a Godly Wall
proliferates across the planet.

Weeks ago, two cops in Catania
stung a sixteen year old boy from Darfur
with cattle-prods to impart the following lesson,
whatever the government says, 

you’re not welcome here.’
As if one needed the reminder…
All across the boot, the green-
shirted faithful lift their pitchforks

to chase the monster of Otherness,
so don’t ask me why I love
to leave and hate returning.
(Is the answer somewhere inside this container?

It isn’t… but remember Cicero’s saying,
there’s no cure for exile except to love 
every city as you would your own, 
but the past is always easier… )

When I was young, I fancied
myself Indiana Jones; later,
with erudition, came realer idols:
Petrie, Schliemann, Carter, Kenyon—

but you cannot rescue history from dust—
all you save one day will crumble
in your hand. “Trash or burn the rest”
I told the warehouse worker

as we rode the forklift back to earth.
Damn whoever said
that hell was down below;
they clearly never went there.

Florence

*

L’altro lato del nulla

A dieci metri da terra, in un deposito
nelle periferie industriali
di una città dove non avevamo mai vissuto,
m’inginocchiai dentro il container quasi vuoto

a contemplare la nostra miseria nomade:
sedie spaiate, elettrodomestici
più vecchi di me, vestiti da neonato,
diplomi incorniciati, libri in una lingua

che mio padre non mi aveva mai insegnato
(avrebbe inibito la mia assimilazione)
e in testa, una mail della mamma
che diceva ‘siamo rovinati, salva quello che puoi’.

Così eccomi, dall’altro lato
del nulla nell’assolata Italia…Nonostante
i cambiamenti tecnologici
i disastri viaggiano ancora per telegramma: bancarotta. STOP.

Scusa. STOP. Senzatetto. STOP.…
Ricordi, fratello, quando chiamandoci ‘cittadini globali’
i nostri genitori ci ispiravano grande speranza?

Ma il mondo si è dimostrato troppo tribale per noi
e dunque la valigia sarà il tuo solo amico
mentre il sogno di Shi Huang di un Muro Divino
prolifera nel pianeta.

Settimane fa due poliziotti a Catania
hanno ferito un sedicenne del Darfur
con pungoli del bestiame per questa lezione
qualsiasi cosa dica il governo,

tu non sei il benvenuto qui.
Come ci fosse bisogno di ricordarlo…
Lungo tutto lo stivale, i fedeli in camicia
verde sollevano forconi

per cacciare il mostro dell’Altro,
dunque non chiedermi perché amo
partire e odio tornare.
(la risposta da qualche parte in questo container?

No…ma ricorda il detto di Cicerone,
non c’è cura per l’esilio tranne amare
ogni città come faresti con la tua,
ma il passato è sempre più facile…)

Quando ero giovane sognavo
di essere Indiana Jones; più tardi,
con l’erudizione vennero idoli più reali:
Petrie, Schliemann, Carter, Kenyon—

Ma non puoi salvare la storia dalla polvere-
tutto quello che salvi un giorno ti si sbriciolerà
in mano ‘Butta o brucia il resto’
ho detto all’operaio del deposito

mentre scendevamo a terra col carrello.
Accidenti a chiunque abbia detto
che l’inferno era giù in basso:
chiaro che non ci sono mai andati.

Firenze

 

Traduzione in italiano di Stefania Zampiga

Mimi Khalvati


Eden

In this country, nature is green on green.
In mine, green grows out of ochre, fawn, dun –
what are the colours of dust? Caught between
fruit trees, what are they but shifts of the sun?

In this country, grass and tree are implicit
in each other, as in water. In mine,
dust and tree are awkward friends who elicit
only the same blessings at the same shrine.

But it’s dust that deepens shadows, the tree
that plays on colours watermarked by shade.
When shade is deep as water, roots drink deeply,
and drinking from the same pool, friends are made.

If only we were dust and tree. My children,
grown from my poor soil. I imagined Eden.

 

*

 

Eden

In questo paese la natura è verde su verde.
Nel mio, il verde spunta sull’ocra, sul fulvo, sul grigio –
quanti colori ha la polvere? Catturati tra
gli alberi da frutto, non sono che variazioni di sole.

In questo paese albero ed erba sono dati certi
come del resto l’acqua. Nel mio,
albero e polvere sono amici impacciati che solo
implorano la stessa benedizione a un unico tempio.

Ma è la polvere che rende scure le ombre, l’albero
che gioca sui colori filigranati dall’ombra.
Quando l’ombra è profonda come l’acqua, le radici bevono a fondo
e bevendo dalla stessa pozza, si fa amicizia.

Se solo fossimo noi albero e polvere. I miei figli,
nati dall’aridità del mio terreno. Immaginavo l’Eden.

 

(traduzione Andrea Sirotti)

Forugh Farrokhzad

Forugh-Farrokhzad_

Il mio uomo

Il mio uomo
con il suo corpo nudo e disinvolto
come la morte s’innalza,
sulle sue cosce vigorose.

S’intrecciano le fibre
delle sue membra nervose
al disegno solido del suo corpo.

Il mio uomo dai tempi andati
dalle generazioni perdute sembra giunto.
Un tartaro nel taglio dei suoi occhi
in agguato dei viandanti,
un barbaro nel guizzo splendente dei suoi denti
incantato dal sangue caldo
della preda.

Il mio uomo
come la natura,
volge al senso ineluttabile
di una comprensione chiara
lui, con la mia disfatta
conferma la legge inappellabile
della forza.

Terribilmente libero,
simile a un istinto puro
nel cuore di un’isola alla deriva.

Della polvere delle strade
lui si libera, con i resti
della tenda di Majnun, antico Folle d’amore.
Il mio uomo
come un dio nei templi del Nepal
da sempre un’esistenza da straniero.

Lui,
è un uomo dei secoli passati
memoria d’una bellezza d’altri giorni.
Risveglia intorno a sé
continuamente come l’odore un bambino
il volto di pure memorie.

Lui come ballate di villaggio
irrompe violento puro nudo.

Sinceramente ama
i grani della vita
i grani della terra
le tristezze degli uomini,
le limpide tristezze.

Sinceramente ama
il sentiero verdeggiante di un villaggio
un albero
un coccio antico
i panni stesi al sole.
Il mio uomo
è un essere semplice,
un essere semplice che io
dalla terra nefasta e volgare
ho nascosto nei boschi dei miei seni,
come ultimo segno
d’incantevole religione.

 

La strage dei fiori (Orientexpress, 2008), a cura di D. Ingenito

Abbas Kiarostami

abbas_kiarostami

 

Dalla feroce sorte
il rifugio è poesia
dalla crudele amata
il rifuguio è poesia
dalla palese tirannia
il rifugio è poesia

*

L’insonnia
in una notte di luna piena,
un inutile parlare tra sé e sé
fino al mattino.

*

Un albero
carico di arance arancioni
in un cielo
color celeste.

*

A cosa serve
decantare la primavera
biasimare l’autunno
quando
uno se ne va
e l’altro ritorna.

*

Per qualcuno
la vetta
è terra di conquista
per la vetta
è terra di neve.

*

Non sono tornati
fiumi che scorrevano
verso il mare
soldati che andavano
in guerra
amici che partivano
verso terre lontane.

*

Oggi
è il frutto di ieri
domani
la conseguenza di oggi,
il frutto della vita
è la morte
e la morte
è fertile

*

Vicini di casa
sui fili del bucato
hanno steso poesia,
in aprile.

*

Non reggo l’amore
non reggo l’ebbrezza del vino
sono abituato all’astinenza
la mia astinenza
sa di ubriachezza.

*

Senza angoscia
senza gioia
cammino
verso una direzione.

*

Lasciaci oltrepassare
la gioia e il dolore
Lasciaci oltrepassare
l’astio e l’affetto
Lasciaci oltrepassare
le parole dure e quelle vane
le parole vuote dell’amore
Lasciaci oltrepassare.

 

Il vento e la foglia (Le Lettere, 2014), a cura di F. Mardani