Odisseas Elitis


Giorno lucente, conchiglia della voce che mi plasmò
Nudo, per camminare nelle mie domeniche quotidiane
Tra i benvenuto delle spiagge
Soffia nel vento mai prima conosciuto
Stendi un’aiuola di tenerezza
Perché il sole vi rotoli la testa
E i papaveri accenda con le labbra
I papaveri che uomini fieri coglieranno
Perché non resti altro segno sui loro petti nudi
Che il loro sangue sprezza-pericoli che cancellò il dolore
Giungendo fino al ricordo della libertà.

Dissi l’amore, la salute della rosa, il raggio
Che solo e dritto riesce a trovare il cuore
La Grecia che con passo sicuro entra nel mare
La Grecia che sempre mi reca in viaggio
Su monti nudi gloriosi di neve.

Porgo la mano alla giustizia
Diafana fonte, sorgente della vetta
Profondo e immutabile è il mio cielo
Ciò ch’io amo nasce incessantemente
Ciò ch’io amo è sempre al suo principio.

Sole il Primo (Guanda, 1979) trad. it. Nicola Crocetti

Konstantinos Kavafis


Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d’incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti − finalmente, e con che gioia −
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta, piú profumi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Cinquantacinque poesie (Einaudi, 1968), trad. it. M. Dalmàti, N. Risi

Kostas G. Kariotakis


Va’ via, lasciami solo, vedo che sta crescendo
la notte in cielo, e il caos diventa piú profondo.
Tra poco del dolore neanche il ricordo resta, e io sono
un fiore che nella tua mano perde petali e muore.

Va’ via, come andarono gli anni quando un’unica tua
parola nella vita era per me come un peana.
Le mie labbra hanno sete del bacio della madre,
di madre terra, e al riso dei secoli si schiudono.

Va’ via, il mio cuore brama la quiete senza fine!
Persino il tuo respiro increspa le acque nere
di Stige, che mi portano, naufrago come sono,
laggiú nell’assoluto Nulla, nell’Infinito.

L’ombra delle ore (Crocetti Editore, 2004), trad. it. F. Pontani

Konstantinos Kavafis


Somma

S’io sia felice o infelice non discuto.
Ma a una cosa con gioia sempre penso:
che della grande somma (della somma che odio),
così ricca di numeri, io non faccio parte,
unità tra le tante. Io non sono compreso
nel totale. Questa gioia mi basta per sé sola.

Poesie segrete (Crocetti, 2011), a cura di N. Crocetti

Kikí Dimulà


 

Rinconciliazione ostile

Mi sembrano più grigi i tuoi capelli stasera
mentre sovrappensiero li pettino confusa.

Che ti è successo? Ti ha invecchiato la troppa fotografia
o ti ha detto qualcosa contro di me
la mia colpa maldicente.

La maniaca accusatrice. Da lei
ho imparato a essere tanto prodiga con le mie colpe.
Ho colpa persino se il legno prende fuoco,
se il fuoco si spegne con l’acqua o per sazietà,
ho colpa se il giorno vive soltanto un giorno
se i cinguettii sono solo degli uccelli
se la giovinezza non viene alla fine
e viene soltanto all’inizio
quando siamo già tanto giovani.

Non stare a sentirla, non vivo, io vado e vengo
le mie onde mi gettano sulle mie onde.
Non vivo, tolgo erbacce, tolgo vortice dai vortici.
Per lasciarla pulita pronta per chi segue.

Metto marche da bollo, servo ciecamente quella parola
oscura – alchimista mago – mescolo
l’ebollizione della sua forza.
Fa pozioni mescolando profonde
radici di vita con radici d’invivibile.
Vitamine di cieca continuità.

 

da L’adolescenza dell’oblio (Crocetti, 2000), trad. it. P. M. Minucci

Odisseas Elitis

Odisseas Elitis

Piango il sole e piango gli anni che verranno
Senza di noi e canto gli altri passati
Se veramente sono

Confidenti i corpi e le barche che sbattono dolcemente
Le chitarre che accendono e spengono sotto le acque
I “credimi” e i “non”
Ora nel vento ora nella musica

E le nostre mani, due piccole bestie
Che furtive cercavano di salire l’una sull’altra
Il vaso di brezza negli aperti cortili
E i frammenti di mare che ci seguivano
Fin dietro le siepi e sopra i muri a secco
L’anemone che si depose nella tua mano
E tremò tre volte il viola tre giorni sopra le cascate

Se tutto questo è vero io canto
La trave di legno e l’arazzo quadrato
Alla parete, la Gorgone con i capelli sciolti
Il gatto che ci guardò nel buio
Bambino con la croce vermiglia e l’incenso
Nell’ora che sull’impervia scogliera scende la sera
Piango la veste che sfiorai e fu mio il mondo.

 

È presto ancora (Donzelli, 2011), a cura di P. M. Minucci

Kostandinos P. Kavafis


Non ti ebbi e non ti avrò
forse mai. Qualche parola, uno sfiorarsi
come al bar l’altro ieri, niente di più.
È una pena, lo confesso. Ma noi dell’Arte
talvolta con la forza del pensiero, e certo solo
per un tempo breve, creiamo piaceri
che sembrano quasi fatti di materia.
Così al bar l’altro ieri – con l’aiuto
di una benevola ebbrezza –
ho avuto mezz’ora di assoluto erotismo.
E lo capisti mi parve,
e rimanesti apposta un po’ di più.
Era necessario. La fantasia
e la magia dell’alcol non bastavano;
avevo anche bisogno di vedere le tue labbra,
avevo bisogno di sentire il tuo corpo vicino.

Tutte le poesie (Donzelli, 2019), a cura di P. M. Minucci

Ghiannis Ritsos


Le poesie che ho vissuto tacendo sul tuo corpo
mi chiederanno la loro voce un giorno, quando te ne andrai.
Ma io non avrò più voce per ridirle, allora. Perché tu eri solita
camminare scalza per le stanze, e poi ti rannicchiavi sul letto,
gomitolo di piume, seta e fiamma selvaggia. Incrociavi le mani
sulle ginocchia, mettendo in mostra provocante
i piedi rosa impolverati. Devi ricordarmi così – dicevi;
ricordarmi così, coi piedi sporchi; coi capelli
che mi coprono gli occhi – perché così ti vedo più profondamente. Dunque,
come potrò più avere voce. La Poesia non ha mai camminato così
sotto i bianchissimi meli in fiore di nessun Paradiso.

 

Erotica (Crocetti, 2008), trad. it. Nicola Crocetti

1ª poesia più letta del 2019

di Costantino Kavafis

Quanto più puoi

Farla non puoi, la vita,
come vorresti? Almeno questo tenta
quanto più puoi: non la svilire troppo
nell’assiduo contatto della gente,
nell’assiduo gestire e nelle ciance.

Non la svilire a furia di recarla
così sovente in giro, e con l’esporla
alla dissennatezza quotidiana
di commerci e rapporti,
sin che diventi una straniera uggiosa.

 

53 poesie (Mondadori, 1996), traduzione di Filippo Maria Pontani

Poesia pubblicata il 23 gennaio 2019

Costantino Kavafis

Quanto più puoi

Farla non puoi, la vita,
come vorresti? Almeno questo tenta
quanto più puoi: non la svilire troppo
nell’assiduo contatto della gente,
nell’assiduo gestire e nelle ciance.

Non la svilire a furia di recarla
così sovente in giro, e con l’esporla
alla dissennatezza quotidiana
di commerci e rapporti,
sin che diventi una straniera uggiosa.

 

53 poesie (Mondadori, 1996), traduzione di Filippo Maria Pontani