Marguerite Yourcenar

Chiaroscuro: per Jean Cocteau

Chiaroscuro, ombra insidiosa
dove si muovono senza rumore statue,
una voce melodiosa
vi bisbiglia le cose taciute.

Enigmi che il cuore risolve,
segreti pagati molto caro,
ogni saggio è il discepolo di un folle,
ogni anima si ammaestra con la carne.

 

I doni di Alcippe (Bompiani, 1999), trad. it. M. Murzi

Philippe Jaccottet


Adesso so che non possiedo nulla,
neppure l’oro delle foglie fradicie,
né questi giorni che a gran colpi d’ala
vanno da ieri a domani, rimpatriano.

Lei fu con loro, pallida emigrante,
tenue beltà coi suoi segreti vani,
brumosa. E ora condotta certamente
via, tra i boschi piovosi. Come prima

eccomi in faccia a un irreale inverno,
ricanta il ciuffolotto, unica voce
che insiste, come l’edera. Ma il senso

chi lo puo dire? E la salute scema,
simile oltre la nebbia al fuoco breve
che un vento glaciale smorza… Ed è già tardi.

Rivista “Poesia” (n. 233 Dicembre 2008), a cura di Fabio Pusterla

Jean-Charles Vegliante

Quasi un madrigale

Madre, lo sai che ormai
potrei essere tuo nonno?!
E con ciò vorrei farti ridere
là dove sei – se sei – e
compensare un poco il male
che ti è stato fatto un giorno
per sempre, fredda madre,
da noi vivi – anche da me –
“sedicenti / vivi” (Montale).
Dal fogliame qualcuno ride.

Incontri, seguito da altre Babeli (Interno Poesia Editore, 2023)

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André Gide

Quest’anno cara, non c’è stata primavera;
Non canti sotto i fiori e non fiori leggeri,
Non risa e metamorfosi, né Aprile;
Non avremo intrecciato le ghirlande di rose.

Chini eravamo al chiarore delle lampade
Ancora, e su tutti i libri dell’inverno
Quando ci ha sorpreso un sole di settembre
Pavido e rosso e come anemone di mare.

Mi hai detto: ”Guarda! Ecco l’Autunno.
Dunque, è stato un sonno il nostro?
Se dobbiamo vivere ancora
Tra questi in-folio, rischia di diventar monotono.

Forse, è fuggita ormai una primavera
Senza che la volessimo apparire;
Perché in tempo parli a noi l’aurora,
Apri le tende delle finestre”.

Pioveva. Le lampade abbiamo ravvivato
Impallidite per quel sole rosso
E ci siamo rituffati nell’attesa
Della chiara primavera che è alle porte.

 

Rivista “Poesia” (n. 84, maggio 1995), traduzione di Roberto Rossi Precerutti

Jean Follain


Il tempo penetra le immagini
rendendo lontani i corpi
nudi o vestiti
sopra la tela ombrata
lo scarlatto di un mantello
getta la sua macchia come un pugno
un cubo si riempie d’acqua vibrante
una linea trasalisce
la mano che pettinava
non è più che ossa bianche.
Non ne possono più
né la chiave rimasta nella porta
né la pelle di un braccio illividito;
più nera delle altre
una nuvola
cambia la luce.

Poesia francese del novecento (Bompiani, 1985), a cura di V. Accame

Marcel Proust


Stanco d’aver sofferto, e più d’avere amato,
dopo avermi ammaliato con le sue lontananze,
rinserra intorno a me la vita il cerchio uguale,
melancolicamente si ripiega e stupisce.
Il commovente autunno ascoltando, chi sa
se soffochi un singhiozzo o s’impedisca un canto
solenne come l’ora e, come questa, ambiguo.
Superava una svolta, senza saperlo, il cuore.

 

Rivista “Poesia”, traduzione di Roberto Rossi Precerutti n.199, novembre 2005

O.V. de L.Milosz

Laisse en mes mains dormir ta douce tête:
Juin des ruines brûle en tes cheveux blonds,
Lianes, soleil vieux sur les houblons.
Ta bouche est le pavot du mur qui prête
Sa vieille ombre moisie aux vagabonds.

Un chant de pêcheurs au mauve des mers
Voilà ce que m’est ta voix endormie,
Ta voix, invisible et pensive amie.
Ton cœur est le lit de fleurs des doux hiers,
La cloche tiède et sourde d’accalmie.

Un ciel de pays mort depuis longtemps
Chante en tes yeux, – un ciel de pauvre terre
Où la pâle Annabel et Guy de Vere
Et d’Elormie entendent aux grands vents
Sonner doux Octobre du cimetière.

Et qu’importe que tu sois irréelle
Et de celles qui ne furent jamais?
Ma solitude aux vieux jardins aimés
En est-elle moins charmeuse ou moins belle
Ton automne aux feuillages enflammés?

*

Lascia dormire fra le mie mani la tua dolce testa:
Giugno delle rovine arde nei tuoi capelli biondi,
Liane, vecchio sole sul luppolo.
La tua bocca è un papavero sul muro che presta
La sua vecchia ombra ammuffita ai vagabondi.

Un canto di pescatori nel malva dei mari
È per me la tua voce assopita,
La voce tua, amica invisibile e pensosa.
Il tuo cuore è il letto fiorito dei dolci ieri,
La campana mite e sorda della bonaccia.

Un cielo di paese morto da gran tempo
Canta nei tuoi occhi – un cielo di povera terra
Dove la pallida Annabel e Guy de Vere
E d’Elormie sentono nei forti venti
Risuonare tenue Ottobre dal cimitero.

E cosa importa che tu sia irreale?
Di quelle che non sono mai esistite?
La mia solitudine di giardini antichi e amati
È meno affascinante o meno bella
Del tuo autunno dalle foglie in fiamme?

Sinfonia di novembre e altre poesie (Adelphi, 2008), trad. it. M. Rizzante

Guillaume Apollinaire

Automne malade et adoré
Tu mourras quand l’ouragan soufflera dans les roseraies
Quand il aura neigé
Dans les vergers

Pauvre automne
Meurs en blancheur et en richesse
De neige et de fruits mûrs
Au fond du ciel
Des éperviers planent
Sur les nixes nicettes aux cheveux verts et naines
Qui n’ont jamais aimé

Aux lisières lointaines
Les cerfs ont bramé

Et que j’aime ô saison que j’aime tes rumeurs
Les fruits tombant sans qu’on les cueille
Le vent et la forêt qui pleurent
Toutes leurs larmes en automne feuille à feuille
Les feuilles
Qu’on foule
Un train
Qui roule
La vie
S’écoule

*

Autunno malato e adorato
Morirai quando l’uragano soffierà sui roseti
Quando avrà nevicato
Sui frutteti

Povero autunno
Muori in biancore e ricchezza
Di neve e di frutti maturi
In fondo al cielo
Planano sparvieri
Sulle nixi graziose dai capelli verdi e nane
Che non hanno mai amato

Sui confini lontani
I cervi hanno bramito

E quanto amo stagione quanto amo i tuoi suoni
I frutti che cadono e che nessuno raccoglie
Il vento e la foresta che piangono
Tutte le loro lacrime d’autunno foglia a foglia
Le foglie
Pestate
Un treno
Che passa
La vita
Che va.

Alcools, 1913

Francis Jammes

Francis_Jammes
Preghiera per sposare una donna semplice

Mio Dio, fate che colei che potrà esser la mia sposa
sia umile e dolce e diventi per me una tenera amica;
che ci si possa addormentare tenendoci per mano;
ch’ella porti al collo, un po’ nascosta tra i seni,
una catena d’argento con una medaglia:
che la sua carne sia più liscia più tiepida e dorata
della prugna addormentata al declino dell’estate;
ch’ella diventi forte da vegliare sull’anima mia
come un’ape sul sonno di un fiore; e che,
il giorno in cui morrò, mi chiuda gli occhi
e per sola preghiera s’inginocchi,
congiungendo le dita sul mio letto,
con quel rigonfio di dolore che soffoca nel petto.

 

Poesia francese del novecento (Bompiani, 1985), trad. it. V. Accame

Michel Houellebecq

houellebecq

 

Esiste un paese, o meglio una frontiera,
Dove la luce è dolce e praticamente solida
Gli esseri umani si scambiano frammenti di luce,
Ma non hanno la minima paura del vuoto.

La parabola del desiderio
Riempiva le nostre mani di silenzio
E ognuno si sentiva morire,
I nostri corpi vibravano della tua assenza.

Abbiamo attraversato frontiere di gesso
E il secondo mattino il sole si fece vicino
C’era nel cielo qualcosa che si muoveva,
Un battito molto dolce faceva vibrare le rocce.

Le gocce di luce
Si posavano sui nostri corpi straziati
Come la carezza infinita
Di una divinità-materia.

Il senso della lotta (Bompiani, 2000), trad. it. A. M. Lorusso