Sandra Beasley

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YOU WERE YOU

I dreamt we were in your favorite bar:
You were you, I was the jukebox.
I played Sam Cooke for you,
but you didn’t look over once.
I wanted to dance. I wanted a scotch.
I wanted you to take your hand off of her.
You were wearing your best smile
and the shirt that makes your eyes green.
If you had asked, I’d have told you
her hair looked like plastic.
But then, my mouth was plastic.
I weighed 300 pounds.
I glittered like 1972.
A man tried to seduce me with quarters
but I could hear his truck outside,
still running. I was loyal to you.
I played Aretha, Marvin, the Reverend Al.
You kissed her all the way out the door.
Later, I tried to make my own music,
humming one circuit against the other,
running the needle up and down.
The bubbles in my blood were singing.
In the morning, they came to repair me.

 

© 2010 Sandra Beasley From: I Was the Jukebox, W.W. Norton & Company Ltd.

 

TU ERI TU

Ho sognato che eravamo nel tuo bar preferito:
tu eri tu, io ero il jukebox.
Ti suonavo Sam Cook,
ma tu non mi guardavi mai.
Avrei voluto ballare. Avrei voluto uno scotch.
Avrei voluto che le togliessi la mano di dosso.
Tu sfoggiavi il tuo sorriso migliore
e la camicia che ti fa gli occhi verdi.
Se me l’avessi chiesto, ti avrei detto
che i suoi capelli sembravano di plastica.
D’altra parte, la mia bocca era di plastica.
Pesavo 130 chili.
Sbrilluccicavo come il 1972.
Un uomo cercava di sedurmi a suon di monete
ma io potevo udire il suo camion là fuori,
con il motore acceso. Ti restavo fedele.
Suonavo Aretha, Marvin, il Reverendo Al.
Tu la baciavi mentre uscivate dalla porta.
Più tardi cercavo di suonare una musica mia,
facendo ronzare un circuito contro l’altro,
facendo andare su e giù la puntina.
Le bollicine nel mio sangue cantavano.
La mattina dopo sono venuti a ripararmi.

 

Traduzione: © 2014 Stefano Bortolussi

Mina Gorji

da Ritratti di Poesia 2023

It isn’t mine to tell

the fear –
we left when I was 5 years old.
The air hostess brought round a tin of sweets,
Quality Street.

Inside the cabin
air was thick
with cigarette –
I can’t remember much about the sky.

It isn’t mine to tell –
the pain.
We landed in the suburbs, I grew up
surrounded by green and cherry trees.

It isn’t mine to tell –
the rage –
mine was a different kind,
caught in a life
of difference.

It isn’t mine
the suffering –
only my nights
are stained with fear.

Each day that passes
I forget the smell
of tiny purple flowers,
the Oriental Plane trees
wet with rain,

Sometimes I feel the spirit
of the other girl,
living the life I left behind.

It isn’t mine to mourn –
the death.
But there’s a silence
that I keep
Instead.

*

Non è cosa mia dire

la paura –
partimmo che avevo cinque anni.
La hostess girava con una scatola di caramelle,
Quality Street.

Dentro l’aereo
l’aria era densa
di sigarette –
Non ricordo molto del cielo.

Non è cosa mia dire –
il dolore.
Sbarcammo in una bella zona, crebbi
in mezzo al verde e ai ciliegi.

Non è cosa mia dire –
la rabbia –
la mia era di un altro tipo,
presa in una vita
di differenza.

Non è cosa mia
la sofferenza –
solo le mie notti
son imbrattate di paura.

Ogni giorno che passa
dimentico l’odore
dei fiorellini viola,
dei platani d’Oriente
umidi di pioggia,

A volte sento lo spirito
dell’altra bambina,
che vive la vita che ho lasciato alle spalle.

Non è cosa mia il lutto –
la morte.
Ma c’è un silenzio
che serbo
al suo posto.

Traduzione di Andrea Sirotti

Claes Andersson

clasu

 

 

Non c’è pace nella vita. La pietra profuma, pesa
e sostiene. C’è una pioggia che sale in me,
dovrei fuggire ma sono io stesso ogni luogo. Chiamalo
Dio o Pepsi quello che manca, ma non ingannarmi.
Non parlare di quello che non c’è, se c’è stato
ha smesso di essere quel nome. Una sera in cui non manca nulla,
noto che la festa in corso non mi riguarda.
Prendo il mio nome e mi inoltro nella notte.
Poco dopo la musica finisce e non si sentono più le risate
e i lampioni si affievoliscono come luci nella nebbia.
Non ricordo quali ho dimenticato, la festa continua
ma io non sono là né altrove.

 

da Antologia della poesia svedese contemporanea (Crocetti, 1996), a cura di H. Sanson, E. Zuccato

Thilo Krause

Ph. Sébastien Agnetti

Tornare a splendere

I papaveri sono approdati in terrazza
sbucati dalle fessure, fioriti
finché li ha sfogliati la pioggia.
Portavamo dentro casa i petali
appiccicati ai nostri piedi nudi
li ritrovavamo a letto, tra armadi e scaffali
come fossero le cose a crescere e sfiorire.
Le capsule scoppiavano una a una.
Neri semini cocciuti.
Li abbiamo soffiati nelle fessure
e lì dentro li abbiamo lasciati:
piccoli soli scuri con la forza
di tornare a splendere dall’oblio.

Che si dice mentre tuona (Marcos y marcos, 2022)

Mary Jean Chan


Always

Do you ever write about me?
Mother, what do you think?
You are always where I begin.
Always the child who wanted to be
a boy, so you could be spared
by your mother-in-law.
Always the ear that hears you
translating my poems
with a bilingual dictionary.
Always the pen dreaming
it could redeem the years
you fled from, those
Red-Guarded days
and nightmares. Always
the mind’s eye tracing
your frantic footsteps
towards the grandfather
I would never meet.
Always the lips wishing
they could kiss those mouths
you would approve of.

*

Sempre

Scrivi mai di me?
Mamma, cosa pensi?
Tu sei sempre dove io comincio.
Sempre la bimba che voleva essere
maschio, così saresti stata risparmiata
da tua suocera.
Sempre l’orecchio che ti sente
tradurre le mie poesie
con un dizionario bilingue.
Sempre la penna che sogna
di poter redimere gli anni
da cui sei fuggita, quelle
giornate di Guardie Rosse
e quegli incubi. Sempre
l’occhio della mente che segue
i tuoi passi affannati
verso il nonno
che non avrei mai conosciuto.
Sempre le labbra che desiderano
di poter baciare le bocche
che tu approveresti.

Flèche. Poesia della scherma (Interno Poesia Editore, 2023), cura e traduzione di Giorgia Sensi

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Alba Donati


Una madre

Non ti ho mai amata direttamente
ti ho vista parlare con i miei amici
ti ho guardata sbadatamente
mentre attraversavi una città non tua
e allora lì scoppiava in me la tenerezza
ma per dirtelo, no, non era il caso
non ce l’ho fatta a sopportare la tua vita,
che si aggirava nuda e povera in un mondo non tuo.

Tu, paesaggio dell’infanzia. Tutte le poesie 1997-2018 (La nave di Teseo, 2018)

Anya Kampmann


nowa sól

fioriscono le rosse graminacee
e al vetro
di ormai morte lanterne
si appiglia l’ultima luce

il papavero rosso
appeso ai fili è
seccato da tempo boschi di fresco verde
racchiudono la regione

solo gli spaventapasseri indicano
le direzioni con
lunghe braccia tubi oscillanti
ritagliati nella plastica

passammo loro accanto nel vagone
i freni funzionavano male

voleva scendere la sera
di dietro alle lanterne
la campagna si alzava in ondate

come ingoiasse ancora
qualcosa
con la sua gola senza direzione

quasi tremasse sotto il vento leggero.

 

Traduzione di Nino Muzzi

Poesia n. 325 Aprile 2017

Louise Glück


Sunset

My great happiness
is the sound your voice makes
calling to me even in despair; my sorrow
that I cannot answer you
in speech you accept as mine.
You have no faith in your own language.
So you invest
authority in signs
you cannot read with any accuracy.
And yet your voice reaches me always.
And I answer constantly,
my anger passing
as winter passes. My tenderness
should be apparent to you
in the breeze of summer evening
and in the words that become
your own response.

*

Tramonto

La mia grande felicità
è il suono che fa la tua voce
chiamandomi anche nella disperazione; il mio dolore
che non posso risponderti
in parole che accetti come mie.

Non hai fede nella tua stessa lingua.
Così deleghi
autorità a segni
che non puoi leggere con alcuna precisione.

Eppure la tua voce mi raggiunge sempre.
E io rispondo costantemente,
la mia collera passa
come passa l’inverno. La mia tenerezza
dovrebbe esserti chiara
nella brezza della sera d’estate
e nelle parole che diventano
la tua stessa risposta.

L’iris selvatico (Giano, 2003), traduzione di Massimo Bacigalupo

Stefania Heim


12:52 PM

Back turned
the large lake changes
all of the air. I believe

myself capable of small pleasures
but question the urge to record them
in writing or in speech. There is

a child here who is mine, not
sleeping in the hour I’ve allotted
for that purpose. She keeps

noticing
things I don’t point to first.

1: 0 0 PM

As though I were a lake. Thoreau calls
trees eyelashes and I need such
buffeting. What swims within
I have tried to control. Have selected from
among events. A bubbled surface is not
describing anything. Old dock jutting
from which we must jump. If we are
to

1: 01 PM

The desired suspension through habituation
No
Practice

Is every midnight the solid bottom?

 

From ‘Hour Book’, (Ahsahta press, 2019)

*

 

12:52

Di schiena
il grande lago cambia
tutta l’aria. Mi credo

capace di piccoli piaceri
ma dubito della spinta a fissarli
nello scritto o nel parlato. C’è

qui una bimba che è mia, non
dorme nell’ora che le ho dato
per quello scopo. Continua

a notare
cose che non indico per prima.

*

13:00

Come se fossi un lago. Thoreau chiama
ciglia gli alberi e io ho bisogno di queste
forzature. Ciò che nuota dentro
ho cercato di controllare. Ho selezionato
fra gli eventi. Una superficie con bolle non
descrive niente. Il vecchio molo aggettante
da cui dobbiamo saltare. Se siamo
tenuti a farlo

13:01

La sospensione desiderata attraverso l’adattamento
Nessuna
Pratica

Ogni mezzanotte è il fondo duro?

 

Traduzione in italiano di Stefania Zampiga