Antonia Pozzi

 

Funerale senza tristezza

Questo non è essere morti,
questo è tornare
al paese, alla culla:
chiaro è il giorno
come il sorriso di una madre
che aspettava.
Campi brinati, alberi d’argento, crisantemi
biondi: le bimbe vestite di bianco,
col velo color della brina,
la voce colore dell’acqua
ancora viva
fra terrose prode.
Le fiammelle dei ceri, naufragate
nello splendore del mattino,
dicono quel che sia
questo svanire
delle terrene cose
– dolce -,
questo tornare degli umani,
per aerei ponti
di cielo,
per candide creste di monti
sognati,
all’altra riva, ai prati
del sole.

 

Mia vita cara. Cento poesie d’amore e silenzio (Interno Poesia Editore, 2019)

Pasquale Pinto


Ho un cuore dalla rilegatura antica
che cerca la sua polvere in una pagina.
Ma forse ho solo parole
per dare ad ogni morto il suo nome.
Mi salvarono talvolta le tue mani
che da sole bastavano
a sorreggere il piombo dei tramonti.
Io parlo
per tutte le foglie cadute sulla terra
per tutto il sangue sceso nei chiusini
e per tutti i morti
che si lamentano dell’urina nelle mani.

La terra di ferro e altre poesie (Marcos y Marcos, 2023), a cura di Stefano Modeo

Jorge Luis Borges

borges-a

Elogio dell’ombra

La vecchiaia (è questo il nome che gli altri gli danno)
può essere per noi il tempo più felice.
È morto l’animale o quasi è morto.
Vivo tra forme luminose e vaghe
che ancora non son tenebra.
Buenos Aires,
che un tempo si lacerava in sobborghi
verso la pianura incessante,
è di nuovo la Recoleta, il Retiro,
le confuse strade dell’Undici
e le precarie case vecchie
che seguitiamo a chiamare il Sud.
Nella mia vita son sempre state troppe le cose;
Democrito di Abder si strappò gli occhi per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un mite pendio
e somiglia all’eterno.
Gli amici miei non hanno volto,
le donne son quello che furono in anni lontani,
i cantoni sono gli stessi ed altri,
non hanno lettere i fogli dei libri.
Dovrebbe impaurirmi tutto questo
e invece è una dolcezza, un ritornare.
Delle generazioni di testi che ha la terra
non ne avrò letti che alcuni,
quelli che leggo ancora nel ricordo,
che rileggo e trasformo.
Dal Sud, dall’Est, dal Nord e dall’Ovest
convergono le vie che han condotto
al mio centro segreto.
Vie che furono già echi e passi,
donne, uomini, agonie e risorgere,
giorni con notti,
sogni e immagini del dormiveglia,
ogni minimo istante dello ieri
e degli ieri del mondo,
la salda spada del danese e la luna del persiano,
gli atti dei morti,
l’amore condiviso, le parole,
ed Emerson, la neve, e quanto ancora.
Posso infine scordare. Giugno al centro,
alla mia chiave, all’algebra,
al mio specchio.
Presto saprò chi sono.

Elogio dell’ombra (Einaudi, 1998), a cura di G. Felicida

Franco Fortini


Secondo riassunto

Ho lavorato tutti gli anni, ho veduto
poco mutar le stagioni dietro i vetri, lavorando
per l’auto, i giornali, i medici, il cibo e la casa.
Non quello che dovevo ma nemmeno
quello che mi piaceva, facendo; non con l’animo
lento dei savi, né con l’occhio lucente
né con la mente allegra.
Ma l’acqua buia oltre l’avvenire,
il lago fermo che in solitudine sta,
io l’ho saputo dire; e voi che siete
esitanti su queste parole sappiate che è,
dietro il pianto superbo e la debole ira ,
in voi eguale e in me.

Rivista “Poesia” (n. 80, gennaio 1995)

Adam Zagajewski


La poesia è ricerca del fulgore.
La poesia è una strada regale,
che ci conduce nel punto più remoto, più in avanti, più ulteriore.
Cerchiamo il fulgore all’imbrunire, al culmine
imperante del giorno o nei cercanti comignoli dell’alba,
persino sull’autobus, a novembre,
quando poco più in là sonnecchia un vecchio prete.

Un cameriere in un ristorante cinese
scoppia a piangere e nessuno capisce il perché.
Chissà, forse anche questa è ricerca,
così come l’istante in riva al mare,
quell’istante in cui, all’orizzonte,
si manifestò un vascello desideroso di catturare,
e si sospese, fermò il proprio tempo per molto tempo.
Ma anche i momenti di profonda gioia

e gli innumerevoli momenti inquieti. Permettimi
di vedere, per poter poi aver visto, chiedo. Permettimi
di vivere fino al compimento il significato
o l’intenzione della mia durata, dico.
A sera cade una pioggia fredda.
Nelle strade e nei viali della mia città
col crepitio di un silenzio attivo e vivissimo
sotto le ceneri sta concentrata su un’opera l’oscurità.
La poesia è ricerca del fulgore.

Guarire dal silenzio: Nuovi versi e poesie scelte (Mondadori, 2020) trad. it. Marco Bruno

George Mackay Brown

Ph. © Gunnie Moberg Archive, Orkney Library & Archive

Pescatori di merluzzi

Mezzanotte. Il vento spinge a nord-est.
Una luna bassa, opaca.
Inquieti accanto a mogli quiete riposiamo.

Uno spruzzo di pioggia e un gabbiano
fuori all’aperto.
Il fuoco acceso. Un sorso veloce di birra.

Spingiamo la Merle su un mare di gelida fiamma.
I remi colano miele.
Un amo dopo l’altro si srotola sotto The Kame.

La nostra lenza rompe il percorso di improvvise migliaia.
Dodici mascelle catturate,
fauci grigie, si spalancano nelle nostre mani.

Dodici bocche fredde gridano senza suono.
Il mare è di nuovo vuoto.
Come nomadi i più vivaci cambiano continuamente zona.

Scandagliamo il vuoto per tutto il pomeriggio;
stacchiamo; e gustiamo
il cibo genuino della terra, manzo e focaccia d’orzo.

Il tramonto ficca una lama da macellaio
nella gola del giorno.
Ritorniamo su una marea bassa e densa come sangue.

Più stelle che pesci. Donne, gatti, un gabbiano
piagnucolano allo scoglio.
La valle si divide il magro miracolo.

*

Haddock Fishermen

Midnight. The wind yawing nor-east.
A low blunt moon.
Unquiet beside quiet wives we rest.

A spit of rain and a gull
In the open door.
The lit fire. A quick mouthful of ale.

We push the Merle at a sea of cold flame.
The oars drip honey.
Hook by hook uncoils under The Kame.

Our line breaks the trek of sudden thousands.
Twelve nobbled jaws,
Gray cowls, gape in our hands,

Twelve cold mouths scream without sound.
The sea is empty again.
Like tinkers the bright ones endlessly shift their ground.

We probe emptiness all the afternoon;
Unyoke; and taste
The true earth-food, beef and barley scone.

Sunset drives a butcher blade
In the day’s throat.
We turn through an ebb salt and sticky as blood.

More stars than fish. Women, cats, a gull
Mewl at the rock.
The valley divides the meagre miracle.

Incidere le rune (Interno Poesia Editore, 2023), cura e traduzione di Giorgia Sensi

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Else Lasker-Schüler


Io mi prendo nelle notti
Le rose della tua bocca
Che nessun’altra ci beva.

Quella che ti abbraccia
Mi deruba dei miei brividi
Che intorno al tuo corpo io dipinsi.

Io sono il tuo ciglio di strada.
Quella che ti sfiora
Precipita.

Senti il mio vivere
Dovunque
Come orlo lontano?

Rivista “Poesia” (Nr.190, 2005), Crocetti Editore

Marguerite Yourcenar

Chiaroscuro: per Jean Cocteau

Chiaroscuro, ombra insidiosa
dove si muovono senza rumore statue,
una voce melodiosa
vi bisbiglia le cose taciute.

Enigmi che il cuore risolve,
segreti pagati molto caro,
ogni saggio è il discepolo di un folle,
ogni anima si ammaestra con la carne.

 

I doni di Alcippe (Bompiani, 1999), trad. it. M. Murzi

Vittorio Sereni

Ph. Archivio Sereni

Settembre

Già l’olea fragrante nei giardini
d’amarezza ci punge: il lago un poco
si ritira da noi, scopre una spiaggia
d’aride cose,
di remi infranti, di reti strappate.
E il vento che illumina le vigne
già volge ai giorni fermi queste plaghe
da una dubbiosa brulicante estate.

Nella morte già certa
cammineremo con più coraggio,
andremo a lento guado coi cani
nell’onda che rotola minuta.

Tutte le poesie (Mondadori, 2023)