Ada Negri


Mia giovinezza

Non t’ho perduta. Sei rimasta, in fondo
all’essere. Sei tu, ma un’altra sei:
senza fronda né fior, senza il lucente
riso che avevi al tempo che non torna,
senza quel canto. Un’altra sei, più bella.
Ami, e non pensi essere amata: ad ogni
fiore che sboccia o frutto che rosseggia
o pargolo che nasce, al Dio dei campi
e delle stirpi rendi grazie in cuore.
Anno per anno,entro di te, mutasti
volto e sostanza. Ogni dolor più salda
ti rese: ad ogni traccia del passaggio
dei giorni, una tua linfa occulta e verde
opponesti a riparo. Or guardi al Lume
che non inganna: nel suo specchio miri
la durabile vita. E sei rimasta
come un’età che non ha nome: umana
fra le umane miserie, e pur vivente
di Dio soltanto e solo in Lui felice.

O giovinezza senza tempo, o sempre
rinnovata speranza, io ti commetto
a color che verranno: – infin che in terra
torni a fiorir la primavera, e in cielo
nascan le stelle quando è spento il sole.

Poesie (Interno Poesia Editore, 2023)

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Borís Pasternàk

Definizione della poesia

È un fischio che si estende acuto d’improvviso,
è lo scricchiolio di ghiacci soffocati,
è la notte che fa intirizzire la foglia,
il duello di due usignoli.
È il tonfo soave del pisello,
è l’universo in lacrime in un guscio,
è Figaro – dal podio e dai flauti –
che si frange come grandine sull’aiuola.
È quel che la notte deve ricercare
Sul fondo oscuro delle vasche,
e la stella porgere al vivaio
coi palmi umidi e tremanti.
Più piatta di una tavola è l’afa.
Il firmamento è travolto dall’ontano,
toccherebbe alle stelle esplodere in risate.
Ma l’universo è un luogo spento.

Poesie (Einaudi, 1971)

Franco Loi


Dentro la parola persa io mi perdo,
divento le cose del mondo, l’aria che passa,
quella parola che sta dietro l’aria
e si fa chiara agli occhi che stanno nel tempo;
e se io parlo non so chi è a parlare,
è il vento che parla nel mio sentimento,
che niente si fa dal niente, e nel pensare
la voce che mi chiama mi viene dentro.

*

Dent la paròla vèrta mí me pèrdi,
deventi i ròbb del mund, l’aria che passa,
quèla parola che sta dedré de l’aria
e se fa ciara aj ögg che stann nel temp;
e se mí parli sú no chi l’è a parlà,
l’è ’l vent che parla nel mè d’un sentiment,
ché nient se fa dal nient e nel pensà
la vûs che mí me ciama me vègn dent.

Isman (Einaudi, 2002)

Jarosław Iwaszkiewicz


Spossato dalla bellezza, che ho pescato ogni giorno
Con pupille e orecchie avidamente spalancate
Quando morirò, non piangere. Mi addormenterò sazio di vita
Che è grande, difficile, e burrascosa.
La divinità, che nel fuoco mi percorreva le membra
Volerà in alto o si dissiperà;
Il cuore che batteva così vivo − si irrigidirà
E la voce diverrà una lettera morta.
Allora penserai, che troppo sparsi
Resteranno di me frammenti di parole
Ma sappi che più d’una volta le ore di rapimento
La parola mi soffocarono nel petto troppo stretto
Il mondo era troppo bello, perché solo a te
Donassi i miei versi. O amatissima
Ho guardato nello spazio smisurato
Mi hanno preso sentimenti smisurati
Ma quando qui le persone, lì le stelle nel cielo
Il cuore mi svolsero con un eterno arcolaio
Tu sei rimasta fedele come l’acqua, immutabile
L’unica al mondo che mi abbia amato.

La mappa del tempo (Ponte Sisto, 2010), trad. it. F. Groggia

Konstantinos Kavafis


Somma

S’io sia felice o infelice non discuto.
Ma a una cosa con gioia sempre penso:
che della grande somma (della somma che odio),
così ricca di numeri, io non faccio parte,
unità tra le tante. Io non sono compreso
nel totale. Questa gioia mi basta per sé sola.

Poesie segrete (Crocetti, 2011), a cura di N. Crocetti

Rocco Scotellaro


Sono fresche le foglie dei mandorli
i muri piovono acqua sorgiva
si scelgono la comoda riva
gli asini che trottano leggeri.

Le ragazze dagli occhi più neri
montano altere sul carro che stride,
marzo è un bambino in fasce che già ride.
E puoi dimenticarti dell’inverno:

che curvo sotto le salme di legna
recitavi il tuo rosario
lungo freddi chilometri
per cuocerti il volto al focolare.

Ora ritorna la zecca ai cavalli,
ventila la mosca nelle stalle
e i fanciulli sono scalzi
assaltano i ciuffi delle viole.

Tutte le poesie. 1940-1953 (Mondadori, 2019)

Osip Mandel’štam


Mezzanotte a Mosca. Sfarzosa l’estate buddista.
A passi serrati si separano strade in stretti stivali di ferro.
Malati di nero vaiolo, se la godono gli anelli dei boulevard.
Neppure di notte Mosca trova pace,
se la quiete da sotto gli zoccoli fugge…
Tu diresti: da qualche parte là al poligono
due clown si sono installati, Bim e Bom,
e sono scattati pettinini e martelli,
ora s’ode un’armonica a bocca,
ora un infantile pianoforte di latte:
do re mi fa
e sol fa mi re do.

Da giovane solevo un tempo
uscire col soprabito cerato
nel diramarsi ampio dei boulevard
dove le gambine a fuscello di una zingarella si dibattevano nella gonna lunga,
dove passeggiava l’orso agli arresti –
menscevico eterno della natura stessa.
E a piú non posso odorava di lauroceraso…
Dove vai ora? Niente lauri, né ciliegie…

Alzerò il pesino a bottiglia
dell’orologio in cucina che va di gran carriera.
Quanto è ruvido il tempo, eppure
amo afferrarlo per la coda –
della sua fuga non ha colpa alcuna
ma è lo stesso un truffaldino…

Bada bene, non chiedere, non lagnarti! Shhh!
Non frignare –
per cosa i raznočincy
consumarono screpolati stivali, perché ora li tradissi?
Moriremo come fanti,
ma non celebreremo il furto rapace, né il lavoro a giornata, né la menzogna.

Ci resta la maglia lisa del nostro plaid scozzese.
Con questa bandiera di guerra mi coprirai, quando sarò morto.
Beviamo, amica mia, al nostro dolore d’orzo,
beviamo fino all’ultimo sorso…

Finito il fitto lavoro dei cinema,
fiaccate ne escono le folle
come dopo il cloroformio – quanto sono venose,
e bisognose d’ossigeno…
È tempo che lo sappiate: sono anch’io un contemporaneo,
un uomo dell’epoca di Moscatessile, –
guardate com’è informe la mia giacca,
e come so camminare e parlare!
Provate a strapparmi dal secolo, –
lo giuro: vi ci romperete il collo!

Io parlo con l’epoca, ma possibile
che abbia un’anima di canapa,
e da noi si sia piazzata
come un rugoso animaletto in un tempio tibetano:
una grattatina – e giú nella vasca di zinco.
«Mariuccia, facci ancora il tuo numero da circo!»
È forse un oltraggio – ma dovete capirlo:
c’è una lussuria del lavoro, e ci scorre nel sangue.

Albeggia. Frusciano i giardini come un verde telegrafo.
Da Rembrandt va in visita Raffaello.
Lui e Mozart stravedono per Mosca, –
per il suo occhio castano, per l’ebbrezza di passero.
E come posta pneumatica
o gelatina di medusa del Mar Nero
di appartamento in appartamento passano
spifferi in un’aerea catena di montaggio,
come studenti perdigiorno a maggio.

Quaderni di Mosca (Einaudi, 2021), a cura di P. Napolitano e R. Raskina

Gianni Rodari


Scherzi di Carnevale

Carnevale,
ogni scherzo vale.
Mi metterò una maschera
da Pulcinella
e dirò che ho inventato
la mozzarella.
Mi metterò una maschera
da Pantalone,
dirò che ogni mio sternuto
vale un milione.
Mi metterò una maschera
da pagliaccio,
per far credere a tutti
che il sole è di ghiaccio.
Mi metterò una maschera
da imperatore,
avrò un impero
per un paio d’ore:
per volere mio dovranno
levarsi la maschera
quelli che la portano
ogni giorno dell’anno…
E sarà il Carnevale
più divertente
veder la faccia vera
di tanta gente.

Attila Jozsef

Mamma

Da una settimana mia madre
sola mi arresta la mente.
Col cesto gemente di panni
contro il grembo, saliva in soffitta.

A quel tempo ero ancora sincero,
e gridavo e pestavo i piedi:
li dia ad altri i panni mézzi,
in soffitta ci porti me.

Andava, stendeva in silenzio,
non guardava né rimproverava.
I panni lucenti frusciavano,
in alto volavano vivi.

Non piangerei, ma è tardi ormai.
Ora la vedo bene, alta e grande:
leva i capelli grigi nell’aria,
scioglie il candeggio nell’acqua del cielo.

 
Le più belle poesie d’amore (Baldini & Castoldi, 2014), a cura di P. Gelli