Waldo Leyva

La distancia y el tiempo 

Tú estás en el portal, apenas has nacido
caminas hacia el mar y cuando llegas:
tienes el pelo blanco y la mirada torpe.
Desde la costa se ven las tejas rojas de la casa.
Si quieres regresar, ya no es posible;
a medida que avanzas se borran los caminos.
Tu camisa de niño aún está húmeda
y veleta de abril en el cordel
indica para siempre la dirección del viento.
Qué gastadas las uñas,
qué frágil la memoria,
qué viejo tu zapato por la arena.

 

*

 

La distanza e il tempo 

Tu sei nell’atrio, sei appena nato
cammini verso il mare e quando arrivi:
hai i capelli bianchi e lo sguardo goffo.
Dalla costa si vedono le tegole rosse della casa.
Se vuoi tornare, oramai non è possibile;
man mano che avanzi si cancellano i sentieri.
La tua camicia di bambino è ancora umida
banderuola d’aprile sulla corda
indica per sempre la direzione del vento.
Che consumate le unghie,
che fragile la memoria,
che vecchia la tua scarpa per la sabbia.

 

© Traduzione in italiano di Antonio Nazzaro

Nicolás Guillén

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Conoscerete…

Conoscerete che son stato vivo
da un’ombra che avrà la mia fronte.
Solo sulla mia fronte l’inquietudine presente
ch’è oggi in me, del dolore imprigionato.

Bianco il volto, senz’ardor lascivo,
privo del sonno che s’impiglia alla mente.
Ormai su me, silenzioso eternamente,
la rosa di carta e il verde di ulivo.

Qual sonno senza sogni angosciosi,
l’anima aperta a tremule carezze,
immobili le mani sopra il cuore.

Com’è lontana la voce dell’amore.
Con che gusto avvicino la bocca alle delizie
di tutti gli oceani sereni.

 

Poeti delle Antille (Guanda, 1963), trad. it. Giuseppe Bellini

Cintio Vitier

Cintio Vitier, 1987

 

Nominerò le cose

Nominerò le cose, le sonore alture
che vedono divertirsi il vento,
i porticati profondi, i paraventi
chiusi all’ombra e al silenzio.

E il sacro interno, la penombra
che solcano gli uffici polverosi,
il legno dell’uomo, il notturno
legno del mio corpo quando dorme.

La povertà del luogo, e la polvere
dove l’orme di mio padre fecero testamento,
luoghi di pietra limpida e decisa,
spogli di ombra, sempre uguali.

Senza scordare la pietà del fuoco
nell’intemperie della casa distante,
né il sacramento gaudioso della pioggia
nell’umile calice del parco.

Ne tu muro stupendo, mezzogiorno,
indaco e terso e interminabile.

Con l’immobile sguardo dell’estate
il mio affetto ricorderà i sentieri
per dove fuggono le avide domeniche
e i lunedì tornano a capo chino.

Nominerò le cose, tanto lentamente
che allorché perderò il Paradiso della strada
e l’oblio me la trasformerà in sogno,
potrò chiamarle d’improvviso con l’alba.

 

Poeti delle Antille (Guanda, 1963), trad. it. G. Bellini