Jiří Orten

Il bosco sente, di notte, il tuo fruscio, mia cara,
stormisci nella sua chioma e scorri giú dai suoi rami
con l’umido della rugiada, la tua mano silenziosa
fruga i nidi assonnati, tiepidi come il tuo grembo.

Sei tutta brividi, quando tu intoni ai fiumi
i miei versi, hai paura e un pudore ti arrosa
le spalle esili e i seni accosto ai quali aspetto
che tu me li porga alle labbra, umide di parole.

Tu non sai, non sai forse, ciò che è stato pronunciato,
tu non sai quante volte ho sospirato il tuo nome,
non sai che ti possiedo come il bosco, come l’ombra,

che si allarga ed a te non presente mi avvicina.
Ah mi sveglierò, riapriranno gli occhi i miei sogni,
con nuova gloria risorgerò dalla rovina.

La cosa chiamata poesia (Einaudi, 1969) trad. it. G. Giudici e V. Mikeš

Petr Hruška

Alky

v ty dny kdy
vlhký beton byl pořád zasviněn
kousky z odkvétajících stromů
jsme se několikrát sešli
v nezvyklé denní době
v nějakém bistru nebo baru
nedaleko od našeho společného bytu
přicházeli jsme každý
odjinud
sedávali naproti sobě
pozorovali své vystupující tváře
dnem nasvícené
poslouchali svá slova
odkud se berou
odkud v malých hejnech
stále přelétají
jako alky z nepřístupných útesů
u severních moří
dávali jsme si další
a další schůzky
v těch dnech zasviněných
kousíčky odkvétajících stromů

*

Alche

in quei giorni in cui
il cemento umido era ancora insozzato
da pezzetti d’alberi sfioriti
ci siamo incontrati più volte
a ore improbabili del giorno
in un bistro o in un locale
non lontano dal nostro appartamento
arrivavamo ognuno
da un luogo diverso
sedevamo l’uno di fronte all’altro
osservavamo i nostri visi sporgenti
illuminati dal giorno
ascoltavamo le nostre parole
da dove venivano
da dove planavano volando
sempre in piccoli stormi
come alche da coste inarrivabili
di mari settentrionali
ci davamo altri
appuntamenti ancora
in quei giorni insozzati
dai pezzettini d’alberi sfioriti

Volevamo salvarci (Miraggi, 2021) trad. it. Elisa Bin

Jaroslav Seifert

Ho veduto solo una volta
un sole così insanguinato.
E poi mai più.
Scendeva funesto sull’orizzonte
e sembrava
che qualcuno avesse sfondato la porta dell’inferno.
Ho domandato alla spècola
e ora so il perché.

L’inferno lo conosciamo, è dappertutto
e cammina su due gambe.
Ma il paradiso?
Può darsi che il paradiso non sia null’altro
che un sorriso
atteso per lungo tempo,
e labbra
che bisbigliano il nostro nome.
E poi quel breve vertiginoso momento
quando ci è concesso di dimenticare velocemente
quell’inferno.

 

Vestita di luce (Einaudi, 1986), trad. it. S. Corduas

Jaroslav Seifert

Conversazione con la morte

Tu, che vali più che l’oro vale,
tu, che tutto hai che non torna,
ogni peso del mondo, tu stessa senza peso,
tu, che con crudeltà comandi di portare
a ogni vivo dolore, tu stessa senza dolore,
tu, che giungi sicura della preda,
tu, a cui nessuno mai è pronto,
tu, morte, sempiterna ballerina del vivere,
tu, da cui salvezza non può trovare
l’acciaio, la statua e il tempio,
tu, dei morti la guida nell’ignoto,
tu, senza mutazioni l’unica al mondo,
ecco: questo è il corpo morto sull’affusto,
prendilo, la cosa più bella offre
a te questo popolo che piange
in questo morto più di quanto forse poteva offrirti,
tu, che tutto hai che non torna,
prendilo dentro il grembo profondo
dove nel buio mai l’alba trapela,
che il morto giusto ora trovi riposo.

Sulla tua tomba sta un popolo vivo.

 

Vestita di luce. Poesie 1925-1967 (Einaudi, 1986)

František Halas


Versi

Malgrado la fortuna della vista
così cieco
malgrado il dono dell’udito
così sordo

Nel vento foglia nell’amore solo
nelle ragne uccello nella pioggia canto
nella rosa verme nella speranza dolo
nelle parole sangue nell’ugola pianto

Malgrado la fortuna della vista
così cieco
malgrado il dono dell’udito
così sordo

 

 

Imagena (Einaudi, 1971), Angelo Maria Ripellino

Jiří Orten

jiri_orten
Di chi sono?

Io sono dei piovaschi e delle siepi
e delle erbe chinate dalla pioggia
e della chiara canzone che non gorgheggia,
del desiderio che sta chiuso in lei.
Di chi sono?
Io sono di ogni piccola cosa smussata
che mai spigoli ha conosciuto,
dei piccoli animali che reclinano la testa,
sono della nuvola quando è straziata.
Di chi sono?
Io sono del timore che mi ha tenuto
con le sue trasparenti dita,
del coniglietto che in un giardino in penombra
esercita il suo fiuto.
Di chi sono?
Io sono dell’inverno ostile ai frutti
e della morte, se il tempo lo chieda,
io sono dell’amore, di cui sbaglio la porta,
al posto di una mela ai vermi lasciato in preda.

 

La cosa chiamata poesia (Mondatori, 1991) a cura di G. Giudici, V. Mikes

Jan Skácel

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Poesia

Abbiamo silenzio come i bimbi freddo
non si sa quando tanto tempo fa
rimandiamo accampando molte scuse
e troveremo scuse ancora a lungo

Siamo come un punto scucito al buio
e quanto non sappiamo e che promesse

Siamo pioggia rivolta verso l’alto
Siamo al rovescio nell’istante in cui
la verità è un dito sulle labbra.

 

Il colore del silenzio. Poesie 1957-1989 (Metauro, 2004), trad. it. A. Cosentino

Vladimír Holan

Vladimir_Holan_poeta

 

Una foglia che cade

Che non un’opportunità
si palesi è anche per stanchezza
dell’attenzione. Non più che di secondo
ordine è tutto quanto avverserebbe
i sensi. Invece la natura
si sovrastima a un tempo per la disparatezza
e tanto più quanto più
è a compimento. Una foglia che cade
è più alta dell’albero. E noi?
Conosciamo l’amore che superi
l’amore?

 

Il poeta murato (Garzanti, 1992), a cura di V. Justl, G. Raboni

Vítězslav Nezval

nezlaw

 

Lo spirito della depravazione

 

Mi ripugna questo mondo nel quale l’uomo domina sull’uomo
E ancor di più mi ripugna l’umanità che non vuole con ciò fare i conti
Ma più di tutto ancora mi ripugna la mia propria impotenza a fare i conti con i suoi assassini
Anche perché non sono poi neanche così tanti
Da non poterli strangolare a mani nude
Me le laverei poi come un medico
Mi aggiusterei un po’ i capelli
E me ne andrei a scrivere poesie

Mi ripugna questo mondo nel quale l’uomo domina sull’uomo
E ancor di più mi ripugna l’umanità che non vuole con ciò fare i conti
Ma più di tutto ancora mi ripugna lo sciocco che sorride di questa mia poesia disperata
Che porre dovrei a conclusione di tutti quanti i miei libri

 

La donna al plurale (Einaudi, 2002), trad. it. Giuseppe Dierna.