Margaret Atwood


Si comincia così:
questa è la tua mano,
questo è il tuo occhio,
questo è un pesce azzurro lì
sulla carta, quasi
a forma di occhio.
Questa è la tua bocca, questa è una O
o la luna, come
preferisci. Questo è il giallo.

Fuori dalla finestra
c’è la pioggia, verde
perché siamo in estate, e al di là
gli alberi e il mondo,
che è tondo e ha solo
i colori di questi nove pastelli.

Questo è il mondo, più pieno
e più difficile da apprendere di quanto abbia detto.
Fai bene a pasticciare in quel modo
con il rosso e poi
l’arancio: il mondo brucia.

Quando avrai imparato queste parole
saprai che ci sono più
parole di quante tu possa imparare.
La parola mano galleggia sulla tua mano
come la nuvoletta sul lago.
La parola mano àncora
la tua mano a questo tavolo,
la tua mano è una pietra calda
che io reggo tra due parole.

Questa è la tua mano, queste sono le mie mani, questo è il mondo,
che è tondo ma non piatto e ha più colori
di quanti ne possiamo vedere.

Rivista “Poesia” (N. 200, 2005, Crocetti Editore), trad. it. B. Rizzardi Perutelli

You begin this way:
this is your hand,
this is your eye,
that is a fish, blue and flat
on the paper, almost
the shape of an eye.
This is your mouth, this is an O
or a moon, whichever
you like. This is yellow.

Outside the window
is the rain, green
because it is summer, and beyond that
the trees and then the world,
which is round and has only
the colors of these nine crayons.

This is the world, which is fuller
and more difficult to learn than I have said.
You are right to smudge it that way
with the red and then
the orange: the world burns.

Once you have learned these words
you will learn that there are more
words than you can ever learn.
The word hand floats above your hand
like a small cloud over a lake.
The word hand anchors
your hand to this table,
your hand is a warm stone
I hold between two words.

This is your hand, these are my hands, this is the world,
which is round but not flat and has more colors
than we can see.

It begins, it has an end,
this is what you will
come back to, this is your hand.

Bruce Hunter


Tra il vecchio e il sapiente

Di una certa eleganza
pur nella scombinata flessuosità
con una nobile apertura
di quasi un metro per un metro.

Non passò inosservata al giardiniere giovane
che non aveva niente di meglio
che annaffiarla bene, togliere l’erba intorno.

Senza dubbio degna di meraviglia,
il fiore vagamente orientale,
baccelli increspati, foglie gualcite,
stelo sicuro.

Finché il vecchio giardiniere
con tutta la presa
che i vecchi hanno sui giovani,
l’afferra, la sbarba,
ne espone la radice fiacca e goffa.
L’età gli ha dato almeno questa certezza.

La getta nel mucchio dei rifiuti
sonoramente e senza altre parole
sentenzia: erbaccia.

*

Between the Old and the Knowing

Slightly elegant
in a tilted rambunctious way
with a noble sweep
one pace across and another tall.

Not overlooked by the young gardener
who knew no better
watered well, weeded around.

No doubt marvelled over,
the flower vaguely Oriental,
ruffled pods, rucked leaves,
a sure stem.

Until the old gardener
with all the grip
the old have on the young,
seizes it, lifts,
exposing the shallow and ridiculous root.
Age has made him sure of this one thing.

Heaped onto the trash pile
loudly and without a word
proclaimed: weed.

Galestro (I Quaderni del Bardo, 2023), a cura di A. Sirotti

Janice Kulyk Keefer


Saggezza

Io che ho deciso di amare l’umanità
invece degli uomini,

di amare le contraddizioni della vita,
le impossibilità.

Io che sono diventata una bella e attempata
filosofa, quando improvvisamente

il telefono suona, la sua voce
mi solletica il collo.

O mi prende in giro, mi chiama
ochetta
e il mio cuore sbanda.

Quello che amiamo di un’altra persona
è la vita che ha dentro;
per questo non dobbiamo mai
cercare di possederlo.

ochetta

*

Wisdom

I who have decided to love mankind
instead of men,

to love life’s contradictions,
impossibilities.

I who have grown into a fine old
philosopher, when suddenly

the telephone rings, his voice
prickling the length of my neck.

Or he teases me, calls me
sweet little goose
and my heart careens.

What we love in another
is the life in that person;
that is why we must never
seek to possess him.

sweet little goose

Rivista Poesia, n. 248 Aprile 2010 – Trad. Valentina Morana

Bruce Hunter

BELLO AND THE RED UMBRELLA

At the Galleria dell’Accademia in Firenze,
a solitary old man with rheumy eyes
tilts toward Michelangelo’s David,
who the guide with his red umbrella tells,
is always viewed from below
and at a distance. The stretched marble limbs,
rippled sinew, tragically beautiful muscles.
Eyes the colour of storms
but each faces a different direction.
And at 17 feet, David is a Goliath.

To a bench I go, marvelling the old man
watching David. My legs tire easily now.
No longer immune to gravity.
Our bodies spool around our hips.
Some think bellezza or beauty left us long ago.
Perhaps, but not the need for allure or desire.

David, his V-ed torso, for five centuries now,
ascending always into the light above us.
His arm repaired, broken once by something
tossed from a balcony, the guide said.
Looks good for his age, someone quips
The crowd snickers. For we are at an age –

we follow red umbrellas through crowds.
We too have been mended, once or twice.
And know there is bellezza too,
in the old man’s gratitude, and ours.
I’m taken by him more than David, I’m afraid.
We may be old but not our desire or humility.

Such beauty in our awestruck little crowd,
and all that all we imagine
at David’s delicate marble feet.
Giovane bellezza in un corpo antico
– young beauty in an ancient body.

BELLO E L’OMBRELLO ROSSO

Alla Galleria dell’Accademia di Firenze,
un vecchio solitario con gli occhi arrossati
si piega verso il David di Michelangelo,
che, racconta la guida con l’ombrello rosso,
si vede sempre dal basso
e a distanza. Le membra di marmo tese,
tendini increspati, muscoli tragicamente belli.
Occhi del colore delle tempeste
ma ognuno rivolto in una direzione diversa.
E da cinque metri, David è un Golia.

Siedo su una panchina, meravigliato dal vecchio
che osserva il David. Le mie gambe si stancano facilmente ora.
Non più immune alla gravità.
I nostri corpi avvolti intorno ai fianchi.
Alcuni pensano che la bellezza o beauty
ci abbia lasciato molto tempo fa.
Può essere, ma non il bisogno di fascino o desiderio.

David, il suo busto a V, ormai da cinque secoli,
ascende sempre nella luce sopra a noi.
Il suo braccio riparato, rotto una volta da qualcosa
lanciato da un balcone, disse la guida.
Sembra in gamba per la sua età, scherza qualcuno
La folla ridacchia. Perché abbiamo un’età –

seguiamo ombrelli rossi tra la folla.
Anche noi siamo stati riparati, un paio di volte.
E sappiamo che c’è anche la bellezza,
nella gratitudine del vecchio, e nella nostra.
Sono preso più da lui che dal David, temo.
Possiamo essere vecchi ma non il nostro desiderio o umiltà.

Tale bellezza nel nostro gruppetto sbalordito,
e tutto ciò che immaginiamo
ai delicati piedi di marmo di David.
Young beauty in an ancient body
– giovane bellezza in un corpo antico.

Traduzione dell’autore con la collaborazione di Sandro Pecchiari

Bruce Hunter


Abstraction White Rose (1927) Georgia O’Keeffe
(for Lisa Stein)

The gardener never forgot the rose
in that art gallery years ago.
Blooms voluminous and inviting.
Painted by a brush dipped in clouds. Velvet entrance
and escape. Large as a table top.
O’Keeffe sees as he sees. And as he does in his work,
the gardener opens his palms
to cradle it. Until a guard cautions him.
Sir. Please. Do not touch the paintings.

To the gardener, A rose is not
a rose is a rose is a rose is a rose.
It is everything in everything. Upcurl of riptide.
Waterfall’s white lip. Conch’s pink mantle.
Miracle of eye, cornea. It’s all labia, throat and folds.
Vulva and stars, galaxies’ linen petals.
Within and beyond. A centre that gives
and comes from seed. Kiss’s wet hiss
in the slippery underbelly of night. Noir.

If you must lift them
cup the bud or the flower, at the cusp
gently. Be mindful of the thorns, always.
Their triangular blades can poison the blood
that feeds the heart and kill it.

His fingers brush against many small knives.
There is no fear in longing.
He’ll risk serving beauty one more time.
His eyes age-softened, and his lips too.
And at night when the trees sleep,
their fibrous heads in the ground,
they remember drought follows rain.

That at sunrise, his drowsy tongue laps dry air.
As the roses lift and reveal their thirst.
O’Keeffe is right. We emerge
from the turned-down underlip, breathless, blind.
Touched by dawn-sleek rosehips.
Delirious in all this raw new air.
to tipple again from a petaled cup.

 

*

 

Abstraction White Rose (1927) Georgia O’Keeffe
(per Lisa Stein) tradotto dall’autore

Il giardiniere non ha mai dimenticato la rosa
in quella galleria d’arte anni fa.
Fiorisce voluminosa e invitante.
Dipinta da un pennello immerso nelle nuvole. Ingresso di velluto
ed evasione. Grande come un piano d’appoggio.
O’Keeffe vede come vede lui. E come fa nel suo lavoro,
il giardiniere apre i palmi
per cullarla. Finché una guardia non lo avverte.
Signore. Per favore. Non tocchi i dipinti.

Per il giardiniere, una rosa non è
una rosa è una rosa è una rosa è una rosa.
È il tutto nel tutto. Ricciolo di marea.
Il labbro bianco della cascata. Il mantello rosa dello strombo.
Miracolo dell’occhio, cornea. È tutta labbra, gola e pieghe.
Vulva e stelle, petali di lino delle galassie.
Dentro e oltre. Un centro che dona
e viene dal seme. Il sibilo umido del bacio
nel viscido ventre della notte. Noir.

Se devi sollevarli
disponi il bocciolo o il fiore, con la cuspide
delicatamente. Sii attento alle spine, sempre.
Le loro lame triangolari possono avvelenare il sangue
che nutre il cuore e lo uccide.

Le sue dita sfiorano molti piccoli coltelli.
Non c’è paura nel desiderio.
Rischierà nel servire la bellezza ancora una volta.
I suoi occhi sono ammorbiditi dal tempo, anche le labbra.
E di notte quando gli alberi dormono,
le loro cime fibrose nel terreno,
ricordano che la siccità segue la pioggia.

Che all’alba, la sua lingua assonnata lambisce l’aria secca.
Mentre le rose si sollevano e rivelano la loro sete.
O’Keeffe ha ragione. Emergiamo
dal labbro inferiore rovesciato, senza fiato, ciechi.
Toccati da cinorrodi lucenti all’alba.
Deliranti in tutta questa nuova aria cruda.
per bere di nuovo da una tazza di petali.

1ª poesia più letta del 2020


di Leonard Cohen

Sotto le mie mani

Sotto le mie mani
i tuoi piccoli seni
sono i petti rovesciati
di passeri caduti, ansimanti.

Ovunque tu vada
io sento il suono di ali che si schiudono
di ali che cadono.

Non ho parole
perché mi sei caduta accanto
perché le tue ciglia sono la spina
dorsale di animali minuscoli e fragili.

Mi spaventa il momento
in cui la tua bocca
comincerà a chiamarmi cacciatore.

Quando mi chiamerai accanto a te
per dirmi
che il tuo corpo non è bello
io voglio chiamare a testimoni
gli occhi e le bocche nascoste
di pietra e luce e acqua
contro di te.

Voglio
che consegnino ai tuoi piedi
la rima tremante del tuo volto
estratta dal profondo dei loro scrigni.

Quando mi chiamerai accanto a te
per dirmi
che il tuo corpo non è bello
voglio che il mio corpo e le mie mani
siano piccoli laghi
per il tuo sguardo e il tuo riso.

 

Le spezie della terra (Minimum Fax, 2010), trad. it. Damiano Abeni, Giancarlo De Cataldo

Poesia pubblicata il 3 marzo 2020

Bruce Hunter


Aria for Dante 

In Italy, on Dante Alighieri Day,
glum news, over seven thousand souls now.
I seek my solace in the garden of this, my cold country,
as sleet turns to rain. Robin trills the dawn.
Back from Mexico for another year.
Spring’s sweet twerp in a jazzy red vest.

Outside the train station in Bologna
Not far from Torre Degli Asinelli
A line of green lorries of Esercito Italiano
wait under the streetlamps
to carry home the bodies of the beloved.

There is a hush over Tuscany.
This is only the beginning.
I worry after my friends from the villages:
Alice, Simone in Poggibonsi. Others
from Castellina, San Gimignano, Siena.

Where at dinner one night at a trattoria,
the old joke played on the tourist.
A giant pepper grinder left at my plate.
When I finally reach for it, out came their cell phones
and we all laughed. I’d been had. Again.
Walking at midnight in the moon’s sheen
on the cobblestones of Piazza del Campo.

Where the Contrades’ horses race a mad course
through these narrow streets in August.
Alice stops at the old Asylum
I should know this, she teases. But I do.
Crazy poets in a country where they love them.

Amongst marled hills the colour of pumpkins,
Chianti’s sweet soil for its noble wines.
Lavender winds in the region of Tuscany,
in the province of Siena,
in the comune of Monteriggioni,

behind the high stone wall with eleven towers.
On a quiet street, a bench below Dante’s words.
a traitor betrayed the village, burns in hell.
All our villages and bodies now,
towers no defense. Hell no longer allegorical.

In my sleepy garden, I rouse the soil with a spade.
Robin tiptoes behind me, copping worms
for his mate in the eaves.
Who leads me away. Too close,
too close, she cries.

I’m the gardener, I tell her,
who fills the feeder for your babies.
My whole life deaf, I hear all her songs now –
a miraculous coil planted in my cochlea
– her insistent squalls of joy at dawn.

Until the Palio runs again, crowds jostle and cheer,
we have this: raw earth, first rain, a nest.
Splendid notes. Spring’s first aria,
That, she has always sung.
Whether we hear her or not.

March 25, 2020

 

*

 

Aria per Dante 

In Italia, nel giorno di Dante Alighieri,
notizie cupe, settemila anime adesso.
Cerco sollievo nel giardino di questo, mio paese freddo.
mentre il nevischio si fa pioggia. Il pettirosso gorgheggia all’alba.
Di ritorno dal Messico per un altro anno.
Felice idiota di primavera in una vivace livrea rossa.

Fuori dalla stazione ferroviaria di Bologna
Non lontano dalla Torre Degli Asinelli
Una fila di verdi camion dell’Esercito Italiano
attende sotto i lampioni
di riportare a casa i corpi dei cari.

C’è un silenzio sulla Toscana.
Questo è solo l’inizio.
Mi preoccupano i miei amici dai paesi:
Alice, Simone da Poggibonsi. Altri
da Castellina, San Gimignano, Siena.

Dove a cena una sera in trattoria,
il vecchio scherzo tirato al turista.
Un enorme macinino accanto al mio piatto.
Quando infine lo afferro, son saltati fuori i cellulari
e abbiamo riso tutti. Me l’hanno fatta. Di nuovo.
Nel passeggiare a mezzanotte allo splendore della luna
sui sampietrini di Piazza del Campo.

Dove i cavalli delle Contrade gareggiano in una folle corsa
per questi vicoli stretti ad agosto.
Alice si ferma al vecchio manicomio
Lo dovrei conoscere, prende in giro. Lo conosco, infatti.
Poeti folli in un paese dove li amano.

Tra le colline fasciate del colore delle zucche,
Il terreno dolce del Chianti per i vini pregiati.
Venti lavanda nella regione Toscana,
nella provincia di Siena,
nel comune di Monteriggioni,

dietro le alte mura in pietra dalle undici torri.
In un vicolo quieto, una panca sotto le parole di Dante.
un traditore tradì il paese, brucia all’inferno.
Tutti i nostri paesi e corpi ora,
torri senza difesa. Inferno non più allegorico.

Nel mio giardino dormiente, risveglio il terreno con una vanga.
Il pettirosso mi zampetta dietro, rifornendosi di vermi
per la compagna sulle gronde.
Che mi conduce lontano. Troppo vicino,
troppo vicino, lei lamenta.

Sono io il giardiniere, le dico,
che riempie la mangiatoia per i tuoi piccoli.
Sordo per tutta la vita, odo tutti i suoi canti ora –
una spirale miracolosa impiantatami nella coclea
– le sue urla insistenti di gioia all’alba.

Finché il Palio si fa ancora, le folle si accalcano ed esultano,
questo abbiamo: terra grezza, prime piogge, un nido.
Note splendide. La prima aria della primavera,
Che lei ha sempre cantato.
Che la si senta o no.

25 marzo 2020

(traduzione di Angela Caputo)

Margaret Atwood

atwood

 

Mi prendi la mano e
di colpo sono in un film scadente,
continua sempre così e
perché sono affascinata

Balliamo un lento valzer
in un’aria viziata di aforismi
ci incontriamo dietro infiniti vasi di palme
tu scali le finestre sbagliate

Altri se ne vanno
ma io resto sempre fino alla fine
ho pagato il prezzo, voglio
vedere quello che succede

In vasche casuali devo
togliermi di dosso te
sotto forma di fumo e celluloide
fusa

Non posso negarlo, sono
a lungo andare drogata
l’odore di popcorn e felpa logorata
indugia per settimane

 

Poesie (Bulzoni, 1986), trad. it. Alfredo Rizzardi

Margaret Atwood

atwood

 

Cuore

Alcuni vendono il proprio sangue. Tu ti vendi il cuore.
O quello o l’anima.
Il difficile sta nel tirare fuori quella maledetta cosa.
Una specie di movimento a spirale, come sgusciare un’ostrica,
la tua spina dorsale un polso
e poi, oplà! È nella tua bocca.
Quasi ti metti in subbuglio
simile a un’attinia che espelle un sasso.
C’è un rumore rotto, il chiasso
d’interiora di pesce in un secchio,
ed ecco, un enorme e brillante grumo rosso intenso
di un passato ancora vivo, tutto intero su un piatto d’argento.

Viene fatto passare. È scivoloso. Viene lasciato cadere,
ma anche assaporato. Troppo scadente, dice uno. Troppo salato.
Troppo aspro, dice un altro, con una smorfia.
Ognuno è un buongustaio istantaneo,
e tu ascolti tutto
in un angolo, come un cameriere appena assunto,
la tua mano, diffidente e capace nella ferita nascosta
sotto la camicia e nel petto,
con timidezza, senza cuore.

 

La porta (Le Lettere, 2011), trad. it. E. Rao

Anne Carson


Molte genti molti oceani ho attraversato –
arrivo, fratello, a questa povera sepoltura
per darti l’ultimo dono alla morte dovuto
e parlare (ma perché?) alle ceneri mute.
Ora che a me la fortuna ti ha strappato, tu
Oh povero fratello a me tolto,
ora ancora comunque questo – che distante abito d’avi
trasmesso come triste dono per la sepoltura –
accetta imbevuto di lacrime di un fratello
e per sempre, fratello, addio e addio.

Rivista Poesia (n.307, settembre 2015), traduzione di Patrizio Ceccagnoli

Carme 101 – Catullo

Multas per gentes et multa per aequora vectus
advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
et mutam nequiquam alloquerer cinerem,
quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,
heu miser indigne frater adempte mihi.
Nunc tamen interea haec prisco quae more parentum
tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
atque in perpetuum, frate, ave atque vale.