Cecilia Meireles

cecilia meireles

 

Secondo motivo della rosa

Per quanto ti celebri, non mi ascolti,
sebbene per forma e madreperla tu sia simile
alla conchiglia sonante, al musicale orecchio
che registra il mare nelle intime volute.

Ti depongo in cristallo, davanti a specchi,
senza eco di caverne o di grotte…
Assenza e cecità assolute
offrì alle vespe e alle api,

e a chi ti adora, o sorda e silenziosa,
e cieca e bella e infinita rosa,
che in tempo e aroma e verso ti trasmuti!

Senza terra né stelle brilli, prigioniera
del mio sogno, insensibile alla bellezza
che sei e non conosci, perché non mi ascolti…

 

da Elogio della rosa (Einaudi, 2002), a cura di C. Poma

Lubi Prates

Dei o que tinha (fragmentos)

1.

te dou de comer
na palma da minha mão.

é ancestral
o gesto de agachar,
se reconhece:

me curvo ao chão
então, você vem,
faminto.

não distingue
entre o que é comida
e quem eu sou.

penso domar a fera,
as pontas dos meus dedos se vão.

não distingo
se é dor ou prazer
me transformar em seu alimento.

voltarei amanhã,
você sabe.

2.

sequer havia luz,
mesmo assim,
aprendi a te alimentar
primeiro.

antes de qualquer verbo
ou nome:

não havia chamado,
ainda não há.

embora sequer houvesse luz
e tendo, ainda, olhos
preservados por você,
me guiei pelo cheiro da sua boca
entreaberta.

agachado,
com minha pata de bode,
te dou de comer
antes de seguir, veloz.

3.

esse chão
criamos nós

a partir do nada que havia:
era apenas linguagem.

na palma da sua mão
dei o que eu tinha,

cuspi a palavra terra
que você moldou com sua saliva.

fez-se lama.

nomeamos assim,
essa porção ínfima
onde deitamos.

 

*

 

Ho dato ciò che avevo (frammenti)

 

1.

ti do da mangiare
sul palmo della mia mano.

è ancestrale
il gesto di accovacciarsi,
si riconosce:

mi piego a terra
tu allora vieni
affamato.

non si distingue
ciò che è cibo
da ciò che sono io.

penso di domare la bestia,
le punte delle mie dita se ne vanno.

non distinguo
se è dolore o piacere
trasformarmi nel tuo alimento.

tornerò domani,
lo sai.

2.

neppure vi era luce,
eppure,
ho imparato ad alimentarti
per primo.

prima di qualunque verbo
o nome:

non vi era un richiamo,
ancora non c’è.

malgrado non ci fosse luce
e avendo ancora gli occhi
risguardati per te,
mi sono fatta guidare dall’odore della tua bocca
socchiusa.

accovacciato,
con la mia zampa da caprone,
ti ho dato da mangiare
prima di procedere, veloce.

3.

questo pavimento
lo abbiamo creato noi

dal nulla che c’era:
era solo linguaggio.

nel palmo della tua mano
ti ho dato ciò che avevo,

ho sputato la parola terra
che hai plasmato con la tua saliva.

si è fatto il fango.

nominiamo così,
questa porzione minima
dove ci sdraiamo.

 

Traduzione di Francesca Cricelli

Maria Esther Maciel


ALCACHOFRA

As pétalas se chamam
capítulos
e se despetalam
como páginas
de um livro
com caule e estrias
em verde-claro
e penugem lírica.
Come-se dela
quando cozida
a fina camada
(quase raspa)
de uma por uma
das lâminas
que os dedos
levam à boca
para o deleite
da língua.

E ao fim do último
capítulo
eis que de repente
surge
a inesperada
delícia:
um botão tenro e carnudo
– o coração da flor
que vira
fruta viva.

 

da Longe, aqui (2020)

 

*

 

CARCIOFO

Il petali si chiamano
capitoli
e si staccano
come pagine
di un libro
dallo stelo e dai solchi
verde chiaro
e peluria lirica.
Di lui si mangia
quando cotto
il sottile strato
delle lame
una alla volta
(quasi una scorza)
che le dita
portano in bocca
per il piacere
della lingua.

E alla fine dell’ultimo
capitolo
ecco che improvvisa
sorge
l’inattesa
delizia:
un bocciolo tenero e carnoso
-il cuore del fiore
che si fa
vivo frutto.

 

Traduzione di Prisca Agustoni

Mônica de Aquino


PENÉLOPE MENTIROSA

De noite desfaz, obediente
a fera que a carne abriga
e regressa à partida: a espera indefinida.

De dia, é outro o desejo
tece a mortalha com o silêncio
de ter de casar-se outra vez

(presa entre duas promessas)

Mas Penélope mente: o que quer é a solidão.

A fidelidade é um cão.

 

Da: Fundo Falso. Belo Horizone, Relicário, 2018.

 

*

 

PENELOPE BUGIARDA

Di notte disfa, obbediente
la bestia che ospita la carne
e torna alla partenza: l’attesa indefinita.

Di giorno, è altro il desiderio
tesse il sudario con il silenzio
di doversi sposare di nuovo

(rinchiusa tra due promesse)

ma Penelope mente: ciò che vuole è la solitudine.

La fedeltà è un cane.

 

Traduzione di Prisca Agustoni

Leonardo Fróes


JUSTIFICAÇÃO DE DEUS

o que eu chamo de deus é bem mais vasto
e às vezes muito menos complexo
que o que eu chamo de deus. Um dia
foi uma casa de marimbondos na chuva
que eu chamei assim no hospital
onde sentia o sofrimento dos outros
e a paciência casual dos insetos
que lutavam para construir contra a água.
Também chamei de deus a uma porta
e a uma árvore na qual entrei certa vez
para me recarregar de energia
depois de uma estrondosa derrota.
Deus é o meu grau máximo de compreensão relativa
no ponto de desespero total
em que uma flor se movimenta ou um cão
danado se aproxima solidário de mim.
E é ainda a palavra deus que atribuo
aos instintos mais belos, sob a chuva,
notando que no chão de passagem
já brotou e feneceu várias vezes o que eu chamo de alma
e é talvez a calma
na química dos meus desejos
de oferecer uma coisa.

 

*

 

GIUSTIFICAZIONE DI DIO

ciò che chiamo dio è ben più vasto
e a volte molto meno complesso
di ciò che io chiamo dio. Un giorno
fu un vespaio nella pioggia
che chiamai così in ospedale
dove sentivo la sofferenza degli altri
e la pazienza casuale degli insetti
che lottavano per costruire contro l’acqua.
Ho chiamato dio anche una porta
e un albero in cui sono entrato una volta
per ricaricarmi di energia
dopo una clamorosa sconfitta.
Dio è il mio massimo grado di comprensione relativa
nel punto di completa disperazione
in cui un fiore si muove o un cane
dannato mi si avvicina solidariamente.
Ed è ancora la parola dio che attribuisco
agli insetti più belli, sotto la pioggia,
notando che per terra di passaggio
é già fiorita e sfiorita tante volte ciò che io chiamo anima
ed è forse la calma
nella chimica dei miei desideri
di offrire una cosa.

 

Traduzione in italiano di Francesca Cricelli

Francesca Cricelli

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É O NASCER DO DIA
QUE RASGA O PEITO DOS AMANTES

É o nascer do dia que rasga o peito dos amantes,
como o verde que colore os olhos,
na mesma diagonal, o desenho de um milagre.

Plantar na terra
pés com o coração
e não ir mais embora
agora que colocaste o mar no céu.

Enquanto na garganta brota-me
a língua dos antepassados navegadores
meu olhar permanece no horizonte.

 

*

 

È L’ALBA CHE SQUARCIA
IL CIELO NEL PETTO DEGLI AMANTI

È l’alba che squarcia il cielo nel petto degli amanti
come il verde che colora gli occhi
nella stessa diagonale, il disegno di un miracolo.

Piantare in terra
piedi e cuore
e non andare più via ora
che mi hai messo il mare nel cielo.

Mentre mi si schiude in gola
la lingua degli avi navigatori
il mio sguardo s’arresta all’orizzonte.

 

REPÁTRIA (Selo Demônio Negro, San Paolo, Brasile, Luglio 2015)

Carlos Drummond De Andrade

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Infanzia

A Abgar Renault

Mio padre montava a cavallo, andava nei campi.
Mia madre stava seduta a cucire.
Mio fratello piccolo dormiva.
Io bambino soletto tra le piante di mango
leggevo la storia di Robinson Crusoe,
lunga storia che non finisce più.

A mezzogiorno bianco di luce una voce che imparò
a ninnare nelle lontananze della senzala – e mai si dimenticò
chiamava per il caffè.
Caffè nero come la vecchia nera
caffè gustoso
caffè buono.

Mia madre stava seduta a cucire
guardando verso di me:
Psss… Non svegliare il piccolo.
Verso la culla su cui si era posata una zanzara.
E faceva un sospiro… così profondo!

Là lontano mio padre andava nei campi
nella macchia senza fine della fazenda.

E io non sapevo che la mia storia
era più bella di quella di Robinson Crusoe.

 

Cuore numeroso (Donzelli, 2002), a cura di V. Arsillo

Lêdo Ivo

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Le necessità

Una porta chiusa non è sufficiente perché un uomo
nasconda il suo amore. Egli necessita anche di una porta aperta
per poter partire e perdersi nella folla quando questo amore esploderà
come un barile di polvere nell’arsenale raggiunto dal fulmine.
Un tetto non basta perché un uomo sia protetto
dal calore e dalla tempesta. Per sfuggire al lampo
egli necessita di un corpo steso nel letto
e a portata della sua mano ancora timorosa
di avanzare nel buio quando la pioggia cade nel silenzio del mondo aperto come un frutto
fra due tuoni.
Nella notte che declina, nel giorno che nasce,
l’uomo ha bisogno di tutto: dell’amore e del fulmine.

 

Illuminazioni (Multimedia, 2002) a cura di V. L. de Oliveira

Márcia Theóphilo

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Foresta mio dizionario

Folle risata la tua, dall’eco affilata
manioca selvaggia, è il tuo riso
le tue carezze, il tuo acuto piacere
Kupaúba vive, va e viene
fino a che il sole scompare, di giorno
tra foglie, erbe, insetti, decomposte
materie vegetali; ci moltiplicheremo
il movimento non è deserto, è fiume
ruba, saccheggia, bevi ciò che vuoi
questo fiume è abbondante
non si ferma, ma continua
per cantare il suono delle parole
Açaná, Yaná, Nacaira
Caja, Pacaba, Maçaranduba
ogni parola un essere, parole che scrivo
io vedo un’aria piena di parole
foresta mio dizionario
parole vive e masticate
aspre di cammini già percorsi
Açaná, Tapajura, Igarapé
ogni parola un essere, risuona affilata.
Kupaúba aprì gli occhi e apprese a leggere.

 

Amazzonia respiro del mondo (Passigli, 2005)

Foto di Dino Ignani