Barbara Korun


Il cervo

mi sveglio con la calda lingua di un cervo tra le gambe.
attraverso la porta aperta penetra la piana luce della sera.
il cervo mi punzecchia lievemente i seni leccandoli. lascio
che con la ruvida lingua mi lambisca il sesso,
il petto e il viso, m’inebria il suo profumo,
profumo di terra, di muschio, di fradicio e di paura.
odore d’istinto.
poi mi si sdraia accanto, accanto al mio ventre, da poter
accarezzare i suoi peli setolosi, ha la testa vigile sollevata
e lo sguardo fisso lateralmente, nel bosco.

nell’oscurità risalta il suo nudo pene rosso.
quando il tempo si addensa e tendo il braccio nel buio, sfioro
un corpo maschile. la mia smania d’amore è cocente.
mi ama con naturalezza e da vicino.
nelle mani ha i venti del nord e del sud.
attraverso il suo corpo scorrono i fiumi e si muovono gli oceani.
la bocca è calda e piena come la pioggia estiva,
la stanza è colma di voci terrestri ed extraterrestri.
a volte qualche raggio smarrito della luna gli scopre il volto.
non mi guarda negli occhi come se volesse difendermi da se stesso.

talvolta mi ama con trasporto da non farmi sentire più la gravità.
talvolta la voluttà sgorga dal suo ombelico come una piccola
sorgente limpida, talvolta dal suo interno vomita la lava,
ma non mi ferisce mai.
sempre con immensa attenzione mi posa con il ventre sulla terra,
e quando mi morde il collo e fiuto il suo caldo alito, lo so
che verrò inevitabilmente risparmiata.

ai primi albori nei suoi capelli tasto due cornetti
le setole dalla testa si allargano sulla schiena, fino al coccige.
sul ventre gli spunta la soffice erba animale.
all’alba mi scruta una testa di cervo con occhi ormai appena umani,
con occhi di là del confine.
le sempre più coriacee mani mi accarezzano assenti.
gli cresce una corona.

nel capanno si fa strada la fragranza del mattino e il cervo si alza.
quando esco davanti alla porta, mi guarda in maniera
da spaccarmi in due pezzi sull’istante e bruciarmi.
e mentre ascolto frusciare l’eco dei suoi veloci passi animaleschi,
sento che dalle mie due riarse metà crescono fiori
selvatici.

 

 

Voglio parlare di te notte. Monologhi, a cura di Jolka Millič (Multimedia Edizioni, 2013)

Alen Bešić


purgatorio

Ti supera la verità su te stesso,
quell’aggregato di piccole e grandi oscurità. Steso
da un muro all’altro, come il filo della biancheria
nella camera dei poveri, il desiderio fiacco: bisogna
riconciliarsi con la propria infanzia
. Permettere
al ricordo feroce di dirsi: ti raccogli intorno
alle estati monche senza il padre, il vuoto generosamente
colmato dagli zii, nonni, nonne o lo stucchevole gusto di tulumbe
della pasticceria cittadina. Intorno al respiro sommesso
del quattrenne che lungo una ripida scala scende
come in purgatorio nella bettola fumosa e tra
i giocatori di tavla, da sotto in su, si sforza
di distinguere il viso familiare. E la sua vergogna
aghiforme, mentre ritorna da solo, compito non assolto,
per trasmettere alla madre un messaggio inventato: «Ha detto
di fare un altro giro.» Fra te
e lui – un’intera lingua. È una giornata di maggio.
Nella nassa delle costole si dibatte il cuore.

 

Golo srce [Cuore nudo], 2012 – Traduzione Marija Bergam

Foto di Ciprian Hord

Marija Sukovic


Neka meso ispašta

ja nisam ono što bi poželio voljeti
tek što možeš da me vidiš valjalo je truda

jer ne zalistah u saksiji gdje me posadiše
ja sam divlja biljka
odbjegla u drumove da diše
kamene cipele i razlog buntovnika
apstraktna slika
isklijala avangarda u bašti krompira
uskok preko reda, utroba nemira

dok vaše stvarnosti zaziru od isteka
ja sam rijeka, ja sam hladna rijeka

zaobiđite me uštirkani, ovo je pjesma smrada
ja sam nokat koji urasta i ne marim

neka meso ispašta

 

*

 

Che la carne marcisca

Non sono quella che io vorrei amare
ma riuscire appena a vedermi è valsa la pena

perché non sono sbocciata nel vaso in cui mi hanno interrata
io sono una pianta selvatica
che fugge, per respirare, sulla strada
sono scarpe di pietra e ragione indomita
immagine utopica
avanguardia germogliata tra le patate del verziere
che travalica il confine, con l’agitazione nelle viscere

mentre le vostre realtà destinate sono ad una fine
io sono un fiume, un freddo fiume

girate alla larga fighetti, questa è una poesia puzzolente
sono l’unghia incarnita, e me ne infischio

che marcisca la carne

 

(traduzione di Paolo Maria Rocco)

Milazim Krasniqi

Articolazione con frattura

Il risveglio alle ore 2 e 55 per esempio
È peggio di un attacco epilettico
Che ti può colpire dentro un bosco oscuro
Attraverso i binari complicati della mente
Decine di vagoni di visioni si succedono
Per esempio
Qualcuno conta da dieci a uno inutilmente
L’Europa di Carl von Trir affonda nell’acqua
Guanti neri stringono la gola di un bambino
Una donna sul balcone raccoglie i panni asciutti
O dio che donna sexy quando inizia a spogliarsi
Nuda fa segni con la mano
L’acqua torbida assale il ponte di legno
Un verso si contorce tra le pieghe dell’ispirazione
E si sforma come creta
Sulla porta il bussare si fa assordante per la mente
La vita intera sbatte e si frantuma come vetro
Mentre le lancette si muovono con pigrizia
Come un’articolazione con frattura in clinica

 

Poesie dal Kosovo (Besa, 1999), trad. it. D. Giancane

Gëzim Hajdari


Il mio migliore amico è un asino,
un animale buono e serio.
Quando siamo tristi e amareggiati
ci guardiamo l’un l’altro negli occhi
per consolarci.

Insieme parliamo delle nostre cose,
mentre portiamo le pietre dalla cava
o andiamo nel bosco a far legna.
Meglio dar retta al mio ciucci o
che agli slogan del Partito.

Della nostra stretta amicizia,
le spie vigili del villaggio,
informarono la polizia segreta:
“Gëzim Hajdari e il suo asino
minacciano di rovesciare il socialismo”.

Poesie scelte (Besa-Controluce, 2014)

Faruk Šehić


kad sam prvi put vidio komad ljudske lobanje

imao sam dvadesetdvije godine
bili smo tek došli na liniju
decembar je donio suhu zimu
lišće obloženo mrazom
hrskalo je pod čizmama
na kozijoj stazi vidio sam
nekoliko kapi krvi
komad ljudske lobanje:
sa vanjske strane busen kose
sa unutrašnje, hrapava površina
sluzava i nalik mjesečevoj,
bilo je to sve što je ostalo na zemlji
od Šarić Seduana.

*

quando per la prima volta ho visto un pezzo di cranio umano

avevo ventidue anni
eravamo appena arrivati al fronte
dicembre aveva portato l’inverno secco
le foglie ricoperte di brina
scricchiolavano sotto gli stivali
sul sentiero ho visto
alcune gocce di sangue
il pezzo di un cranio umano:
esternamente una ciocca di capelli
internamente, una superficie ruvida
vischiosa e simile a quella della luna,
era tutto ciò che era rimasto sulla terra
di Šarić Seduan.

Ritorno alla natura (Lietocolle, 2019), traduzione dal bosniaco di Ginevra Pugliese, postfazione di Giovanna Frene

Foto di Zoran Kanlic

Izet Sarajlić

Poesia d’amore degli anni sessanta del secolo

Tempi duri per l’amore, sempre più duri.
Sono già state eseguite le sue mazurke e le polke.
Guarda un po’, anche le liceali
rifuggono dall’amore.

All’amore hanno dichiarato guerra.
Totale. Fino allo sterminio.
Che possiamo fare allora,
noi di Trebinje?

Noi dell’avanguardia,
noi che dopo la maturità
ci prepariamo a fare i bardi,
i trovatori?

Tempi duri, duri per l’amore.
E fino a quando, così, fino a quando?
E tu mi fai le frittelle di pasta,
mi prepari gli spumini al miele,

e ti affacci al davanzale,
fumi le tue sigarette,
mia dolce provinciale,
come una bambina
credi nel Werther, nei dolci,
in questa tristezza che ci opprime entrambi,
e io piango, piango, piango,
perché sono tempi duri per l’amore, sempre più duri.

 

Chi ha fatto il turno di notte (Einaudi, 2015), a cura di Silvio Ferrari

Miroslav Krleža


Il mughetto rosa ha un profumo delicato

Il mughetto rosa
ha un profumo delicato,
sulla forca dondoleremo tutti
lentamente.

Ehi, ahi, è arrivata la fine,
per noi maggio non avrà più il suo profumo!

Latrava per tutta la notte quel cane furioso,
per tutta la notte il becchino ha lavorato di pialla.

C’innaffieranno la tomba di piscio,
e sulle viscere nostre getteranno concime di cane a palate.

Il mughetto bianco profuma di morte,
nessuno è tornato vivo dalla forca.

Ehi, ahi, fiorisca pur maggio,
mai da quell’inferno
faremo ritorno.

 

Le ballate di petrica kerempuh (Einaudi, 2007), a cura di S. Ferrari

© Leonard Lesic Artwork

Vesna Parun

parun

La casa sulla strada

Ero stesa nella polvere sul ciglio della strada.
Non vidi il suo volto.
Né lui vide il mio.

Impallidirono le stelle e l’aria si fece blu.
Non vidi le sue mani
Né lui vide le mie.

L’oriente mutò in un limone verde.
Ho aperto gli occhi per un uccellino.

Allora seppi chi amai
per la vita intera.
Allora lui seppe di chi le povere mani
abbracciava.

E l’uomo il suo fardello prese, e partì
in lacrime verso la sua casa.
E la sua casa è la polvere della strada
com’è anche casa mia.

 

Né sogno né cigno (Spring, 1999), trad. it. J. Spaccini

Milazim Krasniqi

Milazim-Krasniqi

Che cos’è la patria

Patria ombra mia
Non è facile dirle addio

Ad ogni passo che la lasci dietro
Lei si sforma come un sogno

Ma che cos’è la patria ombra mia
Che trema tanto disperata
E mi rovina l’equilibrio
Cambiandomi in plastica
Oppure solo i miraggi nebulosi
Delle estensioni illiriche
Che sono strutture attraverso la cronaca
Come gli infelici nelle rocche assediate

Delle città fatte cenere da Pal Emili
Dei castelli distrutti
Che diventano come bastoni
Ai tradimenti ideologie emorragie
Benedici il significato della patria
Ombra mia
Che si contorce molto turbata
Ma perché mi abbandoni anche tu

 

Poesie dal Kosovo (Besa, 1999), trad. it. D. Giancane