Pablo Neruda


Aquí te amo.
En los oscuros pinos se desenreda el viento.
Fosforece la luna sobre las aguas errantes.
Andan días iguales persiguiéndose.

Se desciñe la niebla en danzantes figuras.
Una gaviota de plata se descuelga del ocaso.
A veces una vela. Altas, altas estrellas.

O la cruz negra de un barco.
Solo.
A veces amanezco, y hasta mi alma está húmeda.
Suena, resuena el mar lejano.
Éste es un puerto.
Aquí te amo.

Aquí te amo y en vano te oculta el horizonte.
Te estoy amando aún entre estas frías cosas.
A veces van mis besos en esos barcos graves,
que corren por el mar hacia donde no llegan.
Ya me veo olvidado como estas viejas anclas.
Son más tristes los muelles cuando atraca la tarde.

Se fatiga mi vida inútilmente hambrienta.
Amo lo que no tengo. Estás tú tan distante.
Mi hastío forcejea con los lentos crepúsculos.
Pero la noche llega y comienza a cantarme.
La luna hace girar su rodaja de sueño.

Me miran con tus ojos las estrellas más grandes.
Y como yo te amo, los pinos en el viento,
quieren cantar tu nombre con sus hojas de alambre.

*

Qui ti amo.
Negli oscuri pini si districa il vento.
Brilla la luna sulle acque erranti.
Trascorrono giorni uguali che s’inseguono.

La nebbia si scioglie in figure danzanti.
Un gabbiano d’argento si stacca dal tramonto.
A volte una vela. Alte, alte, stelle.

O la croce nera di una nave.
Solo.
A volte albeggio, ed è umida persino la mia anima.
Suona, risuona il mare lontano.
Questo è un porto.
Qui ti amo.

Qui ti amo e invano l’orizzonte ti nasconde.
Ti sto amando anche tra queste fredde cose.
A volte i miei baci vanno su quelle navi gravi,
che corrono per il mare verso dove non giungono.
Mi vedo già dimenticato come queste vecchie àncore.
I moli sono più tristi quando attracca la sera.

La mia vita s’affatica invano affamata.
Amo ciò che non ho. Tu sei così distante.
La mia noia combatte con i lenti crepuscoli.
Ma la notte giunge e incomincia a cantarmi.
La luna fa girare la sua pellicola di sogno.

Le stelle più grandi mi guardano con i tuoi occhi.
E poiché io ti amo, i pini nel vento
vogliono cantare il tuo nome con le loro foglie di filo metallico.

Venti poesie d’amore e una canzone disperata (Passigli, 1996) trad. it. G. Bellini

Pablo Neruda

Pablo Neruda

Il fiume

Io arrivai a Firenze. Era
notte. Tremai ascoltando
quasi addormentato quel che il dolce fiume
mi narrava. Io non so
quel che dicono i quadri e i libri
(non tutti i quadri né tutti i libri,
solo alcuni),
ma so ciò che dicono
tutti i fiumi.
Hanno la mia stessa lingua.
Nelle terre selvagge
l’Orinoco mi parla
e capisco, capisco
storie che non posso ripetere.
Ci sono segreti miei
che il fiume si è portato,
e quel che mi chiese lo sto facendo
a poco a poco sulla terra.
Riconobbi nella voce dell’Arno allora,
vecchie parole che cercavano la mia bocca,
come colui che mai conobbe il miele
e sente che riconosce la sua delizia.
Così ascoltai le voci
del fiume di Firenze,
come se prima d’essere mi avessero detto
ciò che ora ascoltavo:
sogni e passi che mi univano
alla voce del fiume,
esseri in movimento,
colpi di luce nella storia,
terzine accese come lampade.
Il pane e il sangue cantavano
con la voce notturna dell’acqua.

 

L’uva e il vento – Poesie italiane (Passigli, 2004)

Pablo Neruda


Non t’amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l’ombra e l’anima.

T’amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.

T’amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t’amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

 

Cento sonetti d’amore (Passigli, 2010), trad. it. G. Bellini

Pablo Neruda

20131004-neruda

 

Lasciami sciolte le mani
e il cuore, lasciami libero!
Lascia che le mie dita scorrano
per le strade del tuo corpo.
La passione – sangue, fuoco, baci –
m’accende con vampate tremule.
Ahi, tu non sai cosa significa questo!

È la tempesta dei miei sensi
che piega la selva sensibile dei miei nervi.
È la carne che grida con le sue lingue ardenti!
È l’incendio!
E tu sei qui, donna, come un legno intatto
ora che vola tutta la mia vita ridotta in cenere
verso il tuo corpo pieno, come la notte, di astri!

Lasciami libere le mani
e il cuore, lasciami libero!
Io solamente ti desidero, io solamente ti desidero!
Non è amore, è desiderio che inaridisce e si estingue,
è precipitare di furie,
avvicinarsi dell’impossibile,
ma ci sei tu,
ci sei tu per darmi tutto,
e per darmi ciò che possiedi sei venuta sulla terra –
come io son venuto per contenerti,
e desiderarti,
e riceverti!

 

Poesie erotiche (Guanda, 2006), trad. it. R. Bovaia

Pablo Neruda

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L’uccello corollario
Minus Cothapa

Per tanto vedere e non vedere
l’uccello corollario
seppi che sì che sapeva,
seppi che non che non vola,
seppi che stava sul suo ramo
fermo nella sua paraombra
spiando i cicloni
che cadono sull’Amazzonia:
il suo canto di tonfo in tonfo
si diffonde e si divide
tra l’Orinoco nero
e il nostro Acario abbondante.

Cade il canto sul ronzare
di mosche recalcitranti
grandi come melanzane,
cade sul vapore verde
che si solleva dal fiume,
sugli esploratori
che annotano nell’orologio
il nome del corollario,
le circostanze del canto.

E rimbalzando nei burroni,
gli crescono sillabe rauche
finché si spegne l’uccello
perché dorma il Brasile.

 

Arte degli uccelli (Passigli, 2004), trad. it. Giuseppe Bellini