Osip Mandel’štam


Mezzanotte a Mosca. Sfarzosa l’estate buddista.
A passi serrati si separano strade in stretti stivali di ferro.
Malati di nero vaiolo, se la godono gli anelli dei boulevard.
Neppure di notte Mosca trova pace,
se la quiete da sotto gli zoccoli fugge…
Tu diresti: da qualche parte là al poligono
due clown si sono installati, Bim e Bom,
e sono scattati pettinini e martelli,
ora s’ode un’armonica a bocca,
ora un infantile pianoforte di latte:
do re mi fa
e sol fa mi re do.

Da giovane solevo un tempo
uscire col soprabito cerato
nel diramarsi ampio dei boulevard
dove le gambine a fuscello di una zingarella si dibattevano nella gonna lunga,
dove passeggiava l’orso agli arresti –
menscevico eterno della natura stessa.
E a piú non posso odorava di lauroceraso…
Dove vai ora? Niente lauri, né ciliegie…

Alzerò il pesino a bottiglia
dell’orologio in cucina che va di gran carriera.
Quanto è ruvido il tempo, eppure
amo afferrarlo per la coda –
della sua fuga non ha colpa alcuna
ma è lo stesso un truffaldino…

Bada bene, non chiedere, non lagnarti! Shhh!
Non frignare –
per cosa i raznočincy
consumarono screpolati stivali, perché ora li tradissi?
Moriremo come fanti,
ma non celebreremo il furto rapace, né il lavoro a giornata, né la menzogna.

Ci resta la maglia lisa del nostro plaid scozzese.
Con questa bandiera di guerra mi coprirai, quando sarò morto.
Beviamo, amica mia, al nostro dolore d’orzo,
beviamo fino all’ultimo sorso…

Finito il fitto lavoro dei cinema,
fiaccate ne escono le folle
come dopo il cloroformio – quanto sono venose,
e bisognose d’ossigeno…
È tempo che lo sappiate: sono anch’io un contemporaneo,
un uomo dell’epoca di Moscatessile, –
guardate com’è informe la mia giacca,
e come so camminare e parlare!
Provate a strapparmi dal secolo, –
lo giuro: vi ci romperete il collo!

Io parlo con l’epoca, ma possibile
che abbia un’anima di canapa,
e da noi si sia piazzata
come un rugoso animaletto in un tempio tibetano:
una grattatina – e giú nella vasca di zinco.
«Mariuccia, facci ancora il tuo numero da circo!»
È forse un oltraggio – ma dovete capirlo:
c’è una lussuria del lavoro, e ci scorre nel sangue.

Albeggia. Frusciano i giardini come un verde telegrafo.
Da Rembrandt va in visita Raffaello.
Lui e Mozart stravedono per Mosca, –
per il suo occhio castano, per l’ebbrezza di passero.
E come posta pneumatica
o gelatina di medusa del Mar Nero
di appartamento in appartamento passano
spifferi in un’aerea catena di montaggio,
come studenti perdigiorno a maggio.

Quaderni di Mosca (Einaudi, 2021), a cura di P. Napolitano e R. Raskina

Erich Fried

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Macerie

Il poeta Osip Mandel’štam fu visto l’ultima volta
in un campo di smistamento prigionieri
presso Vladivostok nel dicembre del trentotto
mentre cercava resti commestibili in un
cumulo di immondizie. Morì prima ancora che finisse l’anno

I suoi assassini a quei tempi amavano parlare
del “cumulo di macerie della storia
sopra il quale
sarà gettato il nemico”

E dunque questo era il nemico: il poeta in fin di vita
e questo il cumulo di macerie (come già disse Lenin:
“La verità è concreta”) Se l’umanità avrà fortuna
gli archeologi delle macerie della storia porteranno alla luce
ancora qualcosa della nostalgia di una cultura universale
Se l’umanità avrà ancora fortuna saranno uomini
gli archeologi sulle macerie della storia

 

Nuovi poeti tedeschi (Einaudi, 1994), trad. it. A. Chiarloni

Osip Mandel’štam


Viviamo senza più fiutare sotto di noi il paese,
a dieci passi le nostre voci sono già bell’e sperse,
e dovunque ci sia spazio per una conversazioncina
eccoli ad evocarti il montanaro del Cremlino.
Le sue tozze dita come vermi sono grasse
e sono esatte le sue parole come i pesi d’un ginnasta.
Se la ridono i suoi occhiacci da blatta
e i suoi gambali scoccano neri lampi.

Ha intorno una marmaglia di gerarchi dal collo sottile:
i servigi di mezzi uomini lo mandano in visibilio.
Chi zirla, chi miagola, chi fa il piagnucolone;
lui, lui solo, mazzapicchia e rifila spintoni.
Come ferri di cavallo, decreti su decreti egli appioppa:
all’inguine, in fronte, a un sopracciglio, in un occhio.
Ogni esecuzione, con lui, è una lieta
cuccagna ed un ampio torace di osseta.

Cinquanta poesie (Einaudi, 1998), a cura di R. Faccani

Osip Mandel’štam


Non dirlo a nessuno,
ciò che hai visto, scordalo —
l’uccello, la vecchia, la cella
o altro ancora.

Ti invaderà altrimenti,
schiuse le labbra,
sul far del giorno
un aghiforme tremore.

Ricorderai nella dacia la vespa,
l’astuccio d’inchiostro infantile
o i mirtilli nel bosco,
che non hai colto mai.

Ottobre 1930

Quaderni di Mosca (Giulio Einaudi editore, 2021), a cura di Pina Napolitano e Raissa Raskina

Osip Mandel’štam


Non c’è nulla di cui serva parlare
non c’è nulla di cui occorra insegnare;
bella e ricolma di malinconia
è questa buia anima ferina:

non c’è nulla che lei voglia insegnare,
in nessun modo lei riesce a parlare,
e come un giovane delfino guizza
per l’universo e i suoi canuti abissi.

 

Ottanta poesie (Einaudi, 2009), trad. it. R. Faccani

Osip Mandel’štam

Ah, non vedo più nulla, il povero orecchio è sordo,
di tutti i colori mi resta il minio e la rauca ocra.

Ho cominciato a sognare le mattine armene: vediamo,
mi son detto, che fa la cinciallegra a Erivan’,

come si china il panettiere giocando a moscacieca
con il pane, e toglie dal forno l’umido lavaš.

Ah, Erivan’, Erivan’! È stato un uccello a disegnarti,
ti ha colorato il leone dell’astuccio coi pastelli?

Ho unto questa vita assurda come un mullah il suo corano,
ho raggelato il mio tempo, non ho versato caldo sangue.

Ah, Erivan’, Erivan’! Non mi serve più nulla,
non voglio la tua uva congelata!

 

Viaggio in Armenia (Adelphi, 1988), a cura di S. Vitale

Osip Mandel’štam


Ariosto

In Europa fa freddo. In Italia è buio.
Il potere è repellente come le mani d’un barbiere.
Oh, se si spalancasse, ma al più presto,
un’ampia finestra sull’Adriatico.

Sulla rosa muschiosa il ronzio di un’ape,
nella steppa a mezzogiorno un grillo muscoloso,
sono grevi i ferri del cavallo alato,
la clessidra è gialla e aurata.

Il linguaggio delle cicale irretisce col suo miscuglio
di mestizia puskiniana e di fretta mediterranea,
come un’edera fastidiosa, che s’avviticchia tutta
egli mente con coraggio, combinandone con Orlando di tutti i colori.

La clessidra è gialla e aurata,
nella steppa a mezzogiorno un grillo muscoloso,
e dritto alla luna spicca il volo il contafole spalluto.

Gentile Ariosto, volpe d’Ambasceria,
felce in fiore, veliero, aloe,
tu udivi sulla luna i versi dei calenzuoli,
e a corte eri savio consigliere dei pesci.

Oh, città di lucertole, in cui non v’è anima viva,
dalla strega e dal giudice hai partorito prole siffatta,
Ferrara dal cuore di pietra, alla catena lo tenevi:
e l’astro del rosso intelletto si levò dal folto del bosco.

Noi ci stupiamo del banchetto del macellaio,
del pargolo appisolatosi sotto una rete di mosche azzurre,
dell’agnello sul monte, del monaco sull’asinello,

dei soldati del duca, un po’ folli in Dio,
per le bevute di vino, la peste e l’aglio,
e della recente perdita, come l’aurora, ci stupiamo…

1933; 1935

 

L’opera in versi (Giometti & Antonello), cura e traduzione di Gario Zappi

Osip Mandel’štam


Corre l’onda con l’onda all’onda rompendo la cresta,
lanciandosi verso la luna con l’ansia dello schiavo,
e il giovane abisso dei giannizzeri,
metropoli d’onde senza requie,
si agita, si torca e scava fossati nella sabbia.

E nella cupa aria ovattata appaiono
i merli di un muro mai cominciato
e da scale di schiuma cadono i soldati
di sultani sospettosi – a spruzzi, pezzi –
e freddi eunuchi distribuiscono il veleno.

Quaderni di Voronež (Giometti & Antonello, 2017), a cura di M. Calusio

Osip Mandel’štam


1

Amo l’apparizione del tessuto
quando una, due, più volte
manca il fiato e infine arriva
il sospiro che risana.

E tracciando verdi forme,
quasi archi di vele in regata
gioca lo spazio assonnato,
bambino ignaro della culla.

 

*

 

11

E dallo spazio esco nel giardino
incolto delle grandezze,
strappo l’immaginaria costanza,
l’autoconsenso delle cause.

E il tuo manuale, infinità, io leggo
da solo, lontano dagli uomini:
selvaggio erbario senza foglie,
libro di problemi delle radici enormi.

 

Quasi leggera morte (Adelphi, 2017), a cura di Serena Vitale

Osip Mandel’štam

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Stiamocene un po’ in cucina assieme,
l’aria è dolce di bianco cherosene;

un coltello tagliente e una pagnotta…
Se vuoi, prepara ben bene il fornello;

altrimenti raduna e intreccia corde;
prima dell’alba fa’ una grande sporta:

fuggiamo a una stazione, ad un binario
dove nessuno ci possa trovare.

 

Ottanta poesie (Einaudi, 2009), trad. it. R. Faccani