Margaret Atwood

atwood

 

Mi prendi la mano e
di colpo sono in un film scadente,
continua sempre così e
perché sono affascinata

Balliamo un lento valzer
in un’aria viziata di aforismi
ci incontriamo dietro infiniti vasi di palme
tu scali le finestre sbagliate

Altri se ne vanno
ma io resto sempre fino alla fine
ho pagato il prezzo, voglio
vedere quello che succede

In vasche casuali devo
togliermi di dosso te
sotto forma di fumo e celluloide
fusa

Non posso negarlo, sono
a lungo andare drogata
l’odore di popcorn e felpa logorata
indugia per settimane

 

Poesie (Bulzoni, 1986), trad. it. Alfredo Rizzardi

Margaret Atwood

atwood

 

Cuore

Alcuni vendono il proprio sangue. Tu ti vendi il cuore.
O quello o l’anima.
Il difficile sta nel tirare fuori quella maledetta cosa.
Una specie di movimento a spirale, come sgusciare un’ostrica,
la tua spina dorsale un polso
e poi, oplà! È nella tua bocca.
Quasi ti metti in subbuglio
simile a un’attinia che espelle un sasso.
C’è un rumore rotto, il chiasso
d’interiora di pesce in un secchio,
ed ecco, un enorme e brillante grumo rosso intenso
di un passato ancora vivo, tutto intero su un piatto d’argento.

Viene fatto passare. È scivoloso. Viene lasciato cadere,
ma anche assaporato. Troppo scadente, dice uno. Troppo salato.
Troppo aspro, dice un altro, con una smorfia.
Ognuno è un buongustaio istantaneo,
e tu ascolti tutto
in un angolo, come un cameriere appena assunto,
la tua mano, diffidente e capace nella ferita nascosta
sotto la camicia e nel petto,
con timidezza, senza cuore.

 

La porta (Le Lettere, 2011), trad. it. E. Rao

Margaret Atwood

 Abitazione

Il matrimonio non è
casa neppure tenda

è antecedente, e più freddo:

l’orlo della foresta, l’orlo
del deserto
le scale grezze
nel retro dove stiamo accovacciati
all’aperto, e mangiamo il popcorn

l’orlo del ghiacciaio che retrocede

dove penosamente stupiti
di essere sopravvissuti fino
ad ora

impariamo ad accendere il fuoco

 

Poesie (Bulzoni, 1986), trad. it. A. Rizzardi

Margaret Atwood

atwood

Come

Come dirti
che questo significa dolore,

questo piatto bianco, l’arancia sopra
al mattino; e il coltello d’argento,

il modo in cui stanno sulla tavola
come se appartenessero a questo posto,

così sicuri, dando tanto per scontato,
dimenticando di essere stati lasciato indietro;

decidono di appartenermi
e la polvere, la luce

le cose che io non riuscirò mai
a toccare, che mai mi toccheranno.

 

Poesie (Bulzoni, 1986), trad. it. A. Rizzardi