Lucianna Argentino

La sento, sai la sento la forza che ci plasma
plasmare te nel mio utero
fatto di nuovo nido, fatto culla d’acqua
e tu, grappolo di vita, mora succosa,
aggrappato alla mia carne
fatta falda di sangue per le tue radici. Radice io pure
eppure io albero da frutto, ponte da te edificato
dalla tua voce chimica inturgidita.
In me ti seppellisci, in me sprofondi
e mi faccio pasto, focaccia
per il tuo crescermi negli abiti, nei cromosomi,
per il tuo somigliare a tutti quelli della tua misura.
E tu fai me fuori misura, me donna sempre in fuoriuscita,
in spargimento di qua da te,
a prepararti un nome, a scavarti un luogo.

Quando ero bambina, di notte, nel mio letto,
vedevo gli uccelli in ferro battuto
che decoravano la sommità dell’armadio animarsi,
prendere vita. Mi pareva allungassero le ali
come per sgranchirsi dall’immobilità,
prima di spiccare il volo e venirmi contro minacciosi.

Allora mi rannicchiavo sotto le coperte
e chiudevo gli occhi perché sapevo
che era il mio sguardo a dargli il movimento,
sapevo che era la paura rimasta nascosta
durante tutto il giorno che sgattaiolava fuori
e tutta si radunava sotto le ciglia.

Radunata io tutta attorno a te, attorno a te coagulata.
Io e te adiacenti, legati dalle scorribande del sangue,
dalla gioia di farti uomo e di rifarmi tu bambina
ché senza età è il mio esserti madre,
materia docile al tuo volermi madre in biologia e in amore.
Amore del sì detto in tremore
il sì che nella esse striscia, scorre basso col peso del dubbio
nella i poi s’innalza, veste le ali e incede verso l’infinito incanto.
E sento sai che sempre c’è un angelo
che senza domandare attende una risposta.
E sì rispondo ancora perché mi hai scelta,
perché mi rifai madre un’altra volta […] 

La vita in dissolvenza (Samuele, 2022)

Foto di Mel Carrara

Lucianna Argentino


La carità delle sue mani
quando ho fame
e sfamano il mio desiderio;
quando ho sete
e dissetano la mia arsura;
quando sono straniera
e mi accolgono nella loro terra calda;
quando sono nuda
e mi vestono della loro nudità;
quando sono malata
e curano il mio male nutrendomene;
quando sono prigioniera
e visitano la mia cella con passi impazienti.
La carità delle sue mani
infine assopite nel nostro segreto vegliare.

 

Inedito da In canto a te