Sofia Fiorini

Che io sia per te la terra –
ritorno di ogni notte per guardarti
solo come bestia dentro al bosco.

Sto sul tronco esatto al centro, aspetto
che il vento ti presenti al mio cospetto:
di ogni cosa, di ogni cuore di uccello
ferito sei fatto, di ogni spavento,

l’anima chiara del cervo mi è dato
sapere per volere te uguale a te stesso,
saperti ritrovare se ti perdo
toccarti con un piede nel ruscello.

La logica del merito e nuove poesie (Interno Poesia Editore, 2023)

Acquista ora

Jean-Charles Vegliante

Quasi un madrigale

Madre, lo sai che ormai
potrei essere tuo nonno?!
E con ciò vorrei farti ridere
là dove sei – se sei – e
compensare un poco il male
che ti è stato fatto un giorno
per sempre, fredda madre,
da noi vivi – anche da me –
“sedicenti / vivi” (Montale).
Dal fogliame qualcuno ride.

Incontri, seguito da altre Babeli (Interno Poesia Editore, 2023)

Acquista ora

Carlo Michelstaedter


Aprile

Che più d’un giorno è la vita mortale,
nubilo breve freddo e pien di noia,
che può bella parer ma nulla vale?
Petrarca, Trionfo del tempo

Il brivido invernale e il dubbio cielo
e i nembi oscuri, che al novello amore
han fatto schermo della terra antica,
dispersi a un tratto, al sol ride la terra
che d’erbe e fiori ancor s’è ricoperta,
se pur il ciel di nubi ancora svarii,
onde occhieggian le stelle nelle notti,
e nere fra il lor vario scintillare
traggan le lunghe dita pel sereno
che al piano oscuro ed ai profili neri
degli alberi dei monti si congiungono.
Ma nel cielo e nel piano, ma nell’aria,
ma nello sguardo della tua compagna
e nel pallido viso,
ma nel tuo corpo, ma per la tua bocca
canta ciò che non sai: la primavera.

Così mi tragge a me stesso diverso
e amor m’induce e desiderio, ancora
ch’io non sappia perché, pur fiducioso.
Ché pure in me natura si nasconde
insidiosa, e ignaro me sospinge.
Ahi, che mi vale, se pur fugge l’ora
e mi toglie da me, sì ch’io non possa
saziare la mia fame ora qui tutta?
Ma solo e miserabile mi struggo,
lontano e solo, anche se a te vicino
parlo ed ascolto, o mia sola compagna.

Mentre di tra le dita delle nubi
a che occhieggian le stelle nel sereno?
Già trapassa la notte e nuove fiamme
leverà il sole, ch’ei rispenga tosto.
Passano i giorni e già sarà qui il verno,
e il sol sorgendo pallido e incurante
farà fiorire il fango per le strade…
A che occhieggian le stelle nel sereno?
Qui bulica la terra e qui si muore,
cantano i galli e stridon le civette.
O gioia del novello nascimento,
o nuovo amore e antico!
O vita, chi ti vive e chi ti gode
che per te nasce e vive ed ama e muore?
Ma ogni cosa sospingi senza posa
che la tua fame tiene, e che nel vario
desiderar continua si trasmuta.
Di sé ignara e del mondo desiosa
si volge a questo e a quello, che nemici
le amica il vicendevole desio,
nemica a quelli pur quando li ami,
e ancor a sé per più voler nemica.
Così nel giorno grigio si continua
ogni cosa che nasce moritura,
che in vari aspetti pur la vita tiene –
ed il tempo travolge — e mentre viva
vivendo muor la diuturna morte.

Ed ancor io così perennemente
e vivo e mi trasmuto e mi dissolvo,
e mentre assisto al mio dissolvimento
ad ogni istante soffro la mia morte.
E così attendo la mia primavera
una ed intera, ed una gioia e un sole.
Voglio e non posso, e spero senza fede.
Ahi, non c’è sole a romper questa nebbia,
ma senza fine e senza mutamento
sta in ogni tempo intero ed infinito
l’indifferente tramutar del tutto.

Pur tu permani, o morte, e tu m’attendi
o sano o tristo ferma ed immutata,
morte benevolo porto sicuro.
Ché ai vivi morti quando pur sia vano
quanto la vita il pallido tuo aspetto,
e se morir non sia che continuare
la nebbia maledetta
e l’affanno agli schiavi della vita,
— purché alla mia pupilla questa luce
che pur guarda la tenebra si spenga,
e più non sappia questo ch’ora soffro
vano tormento senza via né speme,
tu mi sei cara mille volte, o morte,
che il sonno verserai senza risveglio
su quest’occhio che sa di non vedere,
sì che l’oscurità per me sia spenta.

Notte 16-17 aprile 1910

Poesie d’amore e d’altri mari (Interno Poesia Editore, 2023)

Acquista ora

Sylvia Plath


I Am Vertical

But I would rather be horizontal.
I am not a tree with my root in the soil
Sucking up minerals and motherly love
So that each March I may gleam into leaf,
Nor am I the beauty of a garden bed
Attracting my share of Ahs and spectacularly painted,
Unknowing I must soon unpetal.
Compared with me, a tree is immortal
And a flower-head not tall, but more startling,
And I want the one’s longevity and the other’s daring.

Tonight, in the infinitesimal light of the stars,
The trees and the flowers have been strewing their cool odors.
I walk among them, but none of them are noticing.
Sometimes I think that when I am sleeping
I must most perfectly resemble them —
Thoughts gone dim.
It is more natural to me, lying down.
Then the sky and I are in open conversation,
And I shall be useful when I lie down finally:
Then the trees may touch me for once, and the flowers have time for me.

Collected Poems (Faber & Faber, 2002)

*
Io sono verticale
Ma vorrei
essere io piuttosto orizzontale.
Non sono un albero con le radici
nella terra che succhia i minerali
e l’amore materno per potere
risplendere di foglie ad ogni marzo,
né sono bella al modo di un giardino
che desta meraviglia, colorata
in modo straordinario, non sapendo
che dovrò presto perdere i miei petali.
Rispetto a me, un albero è immortale
e la cima di un fiore non è alta,
ma più stupefacente; ed io dell’uno
vorrei la lunga vita, e di quell’altra
la grande sfrontatezza io vorrei.

Questa notte alla luce delle stelle
infinitesimale hanno cosparso
freschi profumi gli alberi ed i fiori.
Li attraverso, ma non ci fanno caso.
A volte penso che dormendo io debba
rassomigliargli più perfettamente –
coi miei pensieri fiochi. Rimanere
coricata è per me più naturale.
Solo allora, col cielo in modo aperto
discorro, e sarò utile davvero
quando distesa resterò per sempre.
Quel dì mi toccheranno finalmente
gli alberi, e per me i fiori avranno tempo.

 

Traduzione in italiano di Luca Alvino

Gabriela Mistral


Donna Primavera

Donna Primavera,
ha una veste tutta grazia,
si veste di limone
e di arancio fiorito.

Come sandali prende
alcune larghe foglie,
prende come orecchini
alcune fucsie rosse.

Uscite ad incontrarla
per queste strade.
Va pazza di soli
e pazza di trilli!

Donna Primavera,
che ha l’alito fecondo,
si ride di tutte
le pene del mondo…

Non crede a chi parli
di vite meschine.
Può forse trovarle
fra i gelsomini?

Può forse incontrarle
vicino alle fonti
a specchi dorati
e canti ardenti?

Nella terra inferma
di brune crepe
accende rosai
con rosse piroette.

Mette le sue trine,
attacca le sue foglie
sulla pietra triste
delle sepolture…

Donna Primavera,
con mani splendide
ci fa spargere rose
lungo la vita;

rose di allegria,
rose di perdono,
rose di affetto
e di esultanza.

*

Doña Primavera

Doña Primavera
viste que es primor,
viste en limonero
y en naranjo en flor.

Lleva por sandalias
unas anchas hojas,
y por caravanas
unas fucsias rojas.

Salid a encontrarla
por esos caminos.
¡Va loca de soles
y loca de trinos!

Doña Primavera,
de aliento fecundo,
se ríe de todas
las penas del mundo…

No cree al que le hable
de las vidas ruines.
¿Cómo va a toparlas
entre los jazmines?

¿Cómo va a encontrarlas
junto de las fuentes
de espejos dorados
y cantos ardientes?

De la tierra enferma
en las pardas grietas,
enciende rosales
de rojas piruetas.

Pone sus encajes,
prende sus verduras,
en la piedra triste
de las sepulturas…

Doña Primavera
de manos gloriosas,
haz que por la vida
derramemos rosas:

Rosas de alegría,
rosas de perdón,
rosas de cariño
y de exultación.

Le opere (Utet, 1968), a cura di P. Raimondi

Ada Negri


Mia giovinezza

Non t’ho perduta. Sei rimasta, in fondo
all’essere. Sei tu, ma un’altra sei:
senza fronda né fior, senza il lucente
riso che avevi al tempo che non torna,
senza quel canto. Un’altra sei, più bella.
Ami, e non pensi essere amata: ad ogni
fiore che sboccia o frutto che rosseggia
o pargolo che nasce, al Dio dei campi
e delle stirpi rendi grazie in cuore.
Anno per anno,entro di te, mutasti
volto e sostanza. Ogni dolor più salda
ti rese: ad ogni traccia del passaggio
dei giorni, una tua linfa occulta e verde
opponesti a riparo. Or guardi al Lume
che non inganna: nel suo specchio miri
la durabile vita. E sei rimasta
come un’età che non ha nome: umana
fra le umane miserie, e pur vivente
di Dio soltanto e solo in Lui felice.

O giovinezza senza tempo, o sempre
rinnovata speranza, io ti commetto
a color che verranno: – infin che in terra
torni a fiorir la primavera, e in cielo
nascan le stelle quando è spento il sole.

Poesie (Interno Poesia Editore, 2023)

Acquista ora

Rocco Scotellaro


Sono fresche le foglie dei mandorli
i muri piovono acqua sorgiva
si scelgono la comoda riva
gli asini che trottano leggeri.

Le ragazze dagli occhi più neri
montano altere sul carro che stride,
marzo è un bambino in fasce che già ride.
E puoi dimenticarti dell’inverno:

che curvo sotto le salme di legna
recitavi il tuo rosario
lungo freddi chilometri
per cuocerti il volto al focolare.

Ora ritorna la zecca ai cavalli,
ventila la mosca nelle stalle
e i fanciulli sono scalzi
assaltano i ciuffi delle viole.

Tutte le poesie. 1940-1953 (Mondadori, 2019)

Edna St. Vincent Millay


Sweet love, sweet thorn, when lightly to my heart
I took your thrust, whereby I since am slain,
And lie disheveled in the grass apart,
A sodden thing bedrenched by tears and rain,
While rainy evening drips to misty night,
And misty night to cloudy morning clears,
And clouds disperse across the gathering light,
And birds grow noisy, and the sun appears—
Had I bethought me then, sweet love, sweet thorn,
How sharp an anguish even at the best,
When all’s requited and the future sworn,
The happy hour can leave within the breast,
I had not so come running at the call
Of one who loves me little, if at all.

*

O dolce amore, dolce spina, quando
da te fui punta al cuore, piano, e uccisa,
per giacere nell’erba abbandonata,
povera cosa fradicia di lacrime
e di pioggia nel pianto della sera,
dalle notturne brume al grigio giorno
che disperde le nubi nella luce
fra il canto degli uccelli al nuovo sole –
se avessi, dolce amore, dolce spina,
pensato allora quale acuta angoscia,
anche se ti compensa il giuramento,
l’ora felice può lasciare in seno,
non sarei corsa cosí pronta al cenno
di chi in fondo m’amava cosí poco.

L’amore non è cieco (Crocetti, 1991), trad. it. Silvio Raffo