Leonardo Sinisgalli


Lapide

Non è un orto
o un giardino
il cimitero
dove io sono sepolto.
È un luogo assorto,
un muro.
Ogni bene è scontato,
ogni debito pagato
e il nome tutelato.
Mio amico, fratello,
contami i vecchi giuochi,
il fumo, i fuochi antichi.
Prendi di me l’effige,
le rughe, la fuliggine,
le lacrime, la ruggine.
Non è un orto
o un giardino
il cimitero dove io sono sepolto.
È un regno spento, muto.
Qui l’amore è perduto.
Qui la festa è finita.

Tutte le poesie (Mondadori, 2020)

Leonardo Sinisgalli


La luna sanguina alle corna, mite
Settembre torna ai davanzali.
Ai davanzali una voce balbetta:
Luna, luna nova
Chi ti cerca non ti trova
Chi ti trova non ti aspetta.
Luna mia alta dove
È il gatto riverso che si spulcia?
Io non lo cerco altrove, luna
Amorosa. Bruciano
Gli occhi al buio, brucia
La tuberosa di settembre luna
Sempre dolorosa.

Tutte le poesie (Mondadori, 2020)

Leonardo Sinisgalli


Il guado

Restano poche frasi,
le più turpi, e il sapore
delle unghie nella bocca.
Resta nella vita quest’afa
che ci soffoca, il tempo
insensato tra due estati.
Il torrente era carico di libellule,
le acque basse e rapide,
un solco tra due regni,
un confine, un segno.
Fu un sogno breve, sonno
di banditi, poi l’inverno, la neve,
la vecchiezza e i colpi alle reni
più fitti.

Le età della luna (Mondadori, 1962)

Leonardo Sinisgalli


È nostro ancora questo fioco
lume della sera, un barbaglio
sulle cime dei lecci. Il fuoco
nella stanza si consuma;
(un sommesso
brusìo disperde la tua vigilanza)
e appena ti lambisce svampa
la veste: un ardore
ti difende dalla fiamma come la foglia
sempreverde. Tremi
ora che gli orti
devasta la tramontana
e ne patisce dietro i lividi vetri
la pigra passiflora.

 

Tutte le poesie (Mondadori, 2019)

Leonardo Sinisgalli

sinisgalli
Lucania

Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi,
a chi scende per la stretta degli Alburni
o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra,
al nibbio che rompe il filo dell’orizzonte
con un rettile negli artigli, all’emigrante, al soldato,
a chi torna dai santuari o dall’esilio, a chi dorme
negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante,
la Lucania apre le sue lande,
le sue valli dove i fiumi scorrono lenti
come fiumi di polvere.

Lo spirito del silenzio sta nei luoghi
della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto,
sofistico e d’oro, problematico e sottile,
divora l’olio nelle chiese, mette il cappuccio
nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce
con l’erba alle soglie dei vecchi paesi franati.

Il sole sbieco sui lauri, il sole buono
con le grandi corna, l’odoroso palato,
il sole avido di bambini, eccolo per le piazze!
Ha il passo pigro del bue, e sull’erba,
sulle selci lascia le grandi chiazze
zeppe di larve.

Terra di mamme grasse, di padri scuri
e lustri come scheletri, piena di galli
e di cani, di boschi e di calcare, terra
magra dove il grano cresce a stento
(carosella, granoturco, granofino)
e il vino non è squillante (menta
dell’Agri, basilico del Basento!)
e l’uliva ha il gusto dell’oblio,
il sapore del pianto.

In un’aria vulcanica, fortemente accessibile,
gli alberi respirano con un palpito inconsueto;
le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo.
Cumuli di macerie restano intatti per secoli:
nessuno rivolta una pietra per non inorridire.
Sotto ogni pietra, dico, ha l’inferno il suo ombelico.
Solo un ragazzo può sporgersi agli orli
dell’abisso per cogliere il nettare
tra i cespi brulicanti di zanzare
e di tarantole.

Io tornerò vivo sotto le tue piogge rosse
tornerò senza colpe a battere il tamburo,
a legare il mulo alla porta,
a raccogliere lumache negli orti.
Vedrò fumare le stoppie, le sterpaie,
le fosse, udrò il merlo cantare
sotto i letti, udrò la gatta
cantare sui sepolcri?

 

L’ellisse. Poesie 1932-1972 (Mondadori, 1974)