Kathleen Jamie

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Meadowsweet

Tradition suggests that certain of the Gaelic
women poets were buried face down.

 

So they buried her, and turned home,
a drab psalm
hanging about them like haar,

not knowing the liquid
trickling from her lips
would seek its way down,

and that caught in her slowly
unravelling plait of grey hair
were summer seeds:

meadowsweet, bastard balm,
tokens of honesty, already
beginning their crawl

toward light, so showing her,
when the time came,
how to dig herself out –

to surface and greet them,
mouth young, and full again
of dirt, and spit, and poetry.

 

*

 

Spirea

Secondo la tradizione certe poete gaeliche
venivano sepolte a faccia in giù…

 

Così la seppellirono, e si volsero verso casa,
un salmo uggioso
li avvolgeva come nebbia,

non sapevano che il liquido
che gocciolava dalle sue labbra
si sarebbe fatto strada là sotto,

e impigliati nella sua treccia
grigia che lentamente si scioglieva
c’erano semi estivi:

spirea, balsamo bastardo,
segni di onestà, che già
cominciavano a strisciare

verso la luce, mostrandole,
giunto il momento,
come dissotterrarsi –

emergere e salutarli,
bocca giovane, di nuovo piena
di terra, e sputo, e poesia.

 

 

La casa sull’albero, poesie scelte di Kathleen Jamie (Ladolfi, 2016), cura e trad. it. Giorgia Sensi

Arianna Galli


Commiato

Dove ci siamo addormentati non c’erano fiori:
la terra era arida, l’aria soffocava.

Eravamo in una Milano in frantumi e ancora
non lo sapevamo.
Abbiamo camminato tra le fiamme
e la luna, languida, ci ha fermato:
Il suo pallore sapeva d’acqua
gelida e ci ha reso sazi.

E là ci siamo uniti, là ci siamo addormentati:
in un deserto d’aria.

Poi tu te ne sei andato lasciandomi
sul corpo una rosa rossa.
L’abbandono è il primo passo verso il futuro.

Non c’erano fiori (Ladolfi, 2022)

Silvia Rosa


Fino al cuore

I giorni, questi animaletti bizzarri
chiassosi che dormono con palpebre
brevi quando mi scrivi un saluto
messi a tacere non abbastanza
disciplinati, corrono tutte le strade
verde cinabro dei miei pensieri,
hanno fame, hanno sete, sono curiosi
scavano senza sosta giù a ritroso
dove il passato è una figura scomposta
lo scheletro di quello che eri, i giorni
che miagolano un canto, un lamento
come se tutta la terra fremesse in un coro,
sono troppi da perdere il conto: potessi
almeno metterli in fila, distrarli, portarli
a pascolare altrove mentre mi graffia
un’unghia di vento sulla schiena, sono così
in quest’attesa che domani è già ieri e
il calendario si muove al contrario
si morde la coda, gira in tondo, sbrana
i minuti lentamente spolpandomi
fino al cuore.

Tempo di riserva (Ladolfi, 2018)

Michele De Virgilio


Certe persone passano
veloci come meteore
nella vita: ci salutano, ci sorridono,
ci offrono
da bere, ci comprano
un vestito. Poi
se ne vanno.

E quando se ne vanno
si passa il tempo
restante a domandarsi chi erano.
I loro sguardi ci rimangono dentro
attaccati come polaroid celesti
che aivoglia a scartavetrarsi l’anima,
non se ne vengono.

Ci rimane il ricordo soltanto
e un sorriso vestito di bianco
che si confonde con le onde
del mare la sera.

 

Tutte le luci accese (Ladolfi, 2018)

Eleonora Rimolo

Rimolo Eleonora
Li vediamo dal basso,
scendono gradino dopo
gradino esperti itinerari
della trascorsa stagione:
minano la quiete della stanza,
parlano con un fiore in bocca
e dicono – ci confessano,
mormorando alle nostre
inquietudini solenni –
da lì, se sali, si vede anche,
si vede anche il mare,
una striscia di cielo
rubata ad un dio morente:
e attraverso la cella,
se ti concentri, si sente pure,
si sente pure il sale,
briciole sulla lingua a misura
di bacio, uno scambio di
oceani tormentosi,
quella scia di pietà
che colora di petrolio
un altro dramma negato.

 

Temerara gioia (Ladolfi, 2017)

Martina Abbondanza

abbondanza interno poesia

Stiamo come il glicine,
aggrappati ad una casa
che nessuno sa.

Non ho imparato a tremare
come si deve.

Io so il tuo fianco
andare via al mattino
tra i fiori finti nei vasi.

Certi amori devono stare
nel buio dei portici
ma poi ritornano,
senza stagioni.

 

Il giorno tutto (Ladolfi, 2016)

Paolo Pistoletti

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Dorme

Mia figlia quando sto in burrasca
è una terra ferma che cresce
e si avvicina se solo non distolgo lo sguardo,
anche se il mio approdo con lei
è un po’ strano quando l’aria si scalda
e allora mentre la mia voce la sgrida
la mia parte più antica si appoggia
a lei in devota obbedienza.
E se nelle linee che solcano il volto
passa la rotta sarà per questo
che le nostre facce si muovono
come mappe aperte o chiuse
a seconda del vento che passa
e che a seguirle fino in fondo
ti ritrovi qui dove sei sempre stato
come la terra l’erba un prato.
Qui come stasera che lei mi dorme
accanto distesa. Però non lo so.
Però non capisco: strade regioni mari
continenti tempo, un piccolo mondo
che respira al mio fianco
mentre lassù sopra al lampadario
il bianco grande del soffitto.

 

Legni (Ladolfi, 2014)

Mario De Santis

mario de santis

 

Volano carte piccole di povero alluminio
un tesoro di stagnola che modula apparizioni
come zanzare, pagine lunari, ultimi treni.

Abito l’inabile paesaggio, fatto e divorato,
nei vincoli la furia estiva, gli insetti stanno nel cavo
di sonno a milioni come noi, un bolo incandescente
con la bassa intensità di un disordine dei led
i maledetti, azzurri sciami:
precipita con loro, nel centro della casa,
il punto acido del mondo,
si vedono nell’attimo in cui il sonno la notte
prepara l’erosione, poco prima del risveglio.

E quando arriva in corpo, tutta questa vaga
luminaria, l’orbita coriandolare dei colpi d’ala
è reminiscenza totale, è così pura, e rifugio.
Lo svenimento, il crollo impotente ci narra
Una trama semplice, di una mosca della sua fuga
nella luce, in quella resa
alla ragnatela. Si diventa così, capaci di abitare
le città, perché capace è solo l’abbandono.

 

da Sciami (Ladolfi, 2015)

Mario De Santis

Mario De Santis

 

Faccio la somma dei tuoi volti
che ho visto e che saranno;
immagino la crudeltà delle tue rughe
il punto viola che si scolla come un’ombra
da me. Prima di entrare con il treno
nell’acqua che cade su Milano,
dentro la pianura il sole era terribile
piatto e disposto alla sua morte
perfetta per una luce che viene da terra.
Non conoscevo ancora il tuo respiro
nella notte, così nell’ acqua
piovana la musica che invade
il peso del mio corpo, che cede nel tuo odore.
Voglio che il cielo resti la divisione
tra noi infinita, mentre cammino oltre Bovisa,
fermo all’angolo di un muro qui dove sono cade
quel niente che ritorna, passi segreti
quelli che mi riportano da te,
un vago oriente: per sempre tutto mi dividerà
da tutto, adesso,
perché nel momento che ho saputo
ho smesso di sapere
.

 
© Inedito da Sciami (Ladolfi, novembre 2015)

Marco Bini

Marco Bini

 

Perché non sia la nebbia un infarto a mezz’aria delle cose,
che tutto già pesa da sgocciolare fino a terra.
Non sia spazio, spazio ancora, superflua distanza
cosparsa tra i viventi. Non sbandiamo, teniamoci d’occhio.

Non c’è luce che non passi dal fondo del tunnel
prima di investire la pupilla all’altro capo
col respiro che si allarga rinnovandoci la pelle.

Viene l’ora di portare le ossa a crepitare contro il fuoco;
quando il sole scende al primo piano e la casa
è una meraviglia di arancione per la retina
vorremmo liberarci dai contorni nella stretta,
lasciare lo zaino a terra e correre alle braccia che consolino
queste spalle troppo forti ancora da non servire a niente.

 

da Conoscenza del vento (Ladolfi, 2011)

Foto di Daniele Ferroni