Jiří Orten

Il bosco sente, di notte, il tuo fruscio, mia cara,
stormisci nella sua chioma e scorri giú dai suoi rami
con l’umido della rugiada, la tua mano silenziosa
fruga i nidi assonnati, tiepidi come il tuo grembo.

Sei tutta brividi, quando tu intoni ai fiumi
i miei versi, hai paura e un pudore ti arrosa
le spalle esili e i seni accosto ai quali aspetto
che tu me li porga alle labbra, umide di parole.

Tu non sai, non sai forse, ciò che è stato pronunciato,
tu non sai quante volte ho sospirato il tuo nome,
non sai che ti possiedo come il bosco, come l’ombra,

che si allarga ed a te non presente mi avvicina.
Ah mi sveglierò, riapriranno gli occhi i miei sogni,
con nuova gloria risorgerò dalla rovina.

La cosa chiamata poesia (Einaudi, 1969) trad. it. G. Giudici e V. Mikeš

Jiří Orten

jiri_orten
Di chi sono?

Io sono dei piovaschi e delle siepi
e delle erbe chinate dalla pioggia
e della chiara canzone che non gorgheggia,
del desiderio che sta chiuso in lei.
Di chi sono?
Io sono di ogni piccola cosa smussata
che mai spigoli ha conosciuto,
dei piccoli animali che reclinano la testa,
sono della nuvola quando è straziata.
Di chi sono?
Io sono del timore che mi ha tenuto
con le sue trasparenti dita,
del coniglietto che in un giardino in penombra
esercita il suo fiuto.
Di chi sono?
Io sono dell’inverno ostile ai frutti
e della morte, se il tempo lo chieda,
io sono dell’amore, di cui sbaglio la porta,
al posto di una mela ai vermi lasciato in preda.

 

La cosa chiamata poesia (Mondatori, 1991) a cura di G. Giudici, V. Mikes