Jaroslav Seifert

Ho veduto solo una volta
un sole così insanguinato.
E poi mai più.
Scendeva funesto sull’orizzonte
e sembrava
che qualcuno avesse sfondato la porta dell’inferno.
Ho domandato alla spècola
e ora so il perché.

L’inferno lo conosciamo, è dappertutto
e cammina su due gambe.
Ma il paradiso?
Può darsi che il paradiso non sia null’altro
che un sorriso
atteso per lungo tempo,
e labbra
che bisbigliano il nostro nome.
E poi quel breve vertiginoso momento
quando ci è concesso di dimenticare velocemente
quell’inferno.

 

Vestita di luce (Einaudi, 1986), trad. it. S. Corduas

Jaroslav Seifert

Conversazione con la morte

Tu, che vali più che l’oro vale,
tu, che tutto hai che non torna,
ogni peso del mondo, tu stessa senza peso,
tu, che con crudeltà comandi di portare
a ogni vivo dolore, tu stessa senza dolore,
tu, che giungi sicura della preda,
tu, a cui nessuno mai è pronto,
tu, morte, sempiterna ballerina del vivere,
tu, da cui salvezza non può trovare
l’acciaio, la statua e il tempio,
tu, dei morti la guida nell’ignoto,
tu, senza mutazioni l’unica al mondo,
ecco: questo è il corpo morto sull’affusto,
prendilo, la cosa più bella offre
a te questo popolo che piange
in questo morto più di quanto forse poteva offrirti,
tu, che tutto hai che non torna,
prendilo dentro il grembo profondo
dove nel buio mai l’alba trapela,
che il morto giusto ora trovi riposo.

Sulla tua tomba sta un popolo vivo.

 

Vestita di luce. Poesie 1925-1967 (Einaudi, 1986)