Jaime Sabines


Lasciami riposare,
rilassare i muscoli del cuore
ed assopire l’anima
per poter parlare,
per poter ricordare questi giorni
i più lunghi del tempo.

Ci siamo appena ripresi dall’angoscia
e siamo deboli, impauriti,
ci svegliamo più volte dal nostro scarso sonno
per vederti nella notte e sapere che respiri.
Avvertiamo il bisogno di svegliarci per essere più svegli
in quest’incubo pieno di gente e di rumori.

Tu sei il tronco invulnerabile e noi i rami,
perciò quest’accettata ci sconcerta.
Mai ci siamo fermati a pensare alla morte
di fronte alla tua morte,
né ti abbiamo mai visto se non come la forza e l’allegria.
Non lo sappiamo bene, ma all’improvviso arriva
un incessante avviso,
una spada scappata dalla bocca di Dio
che cade e cade e cade lentamente.
Ed ecco che tremiamo di paura,
che ci soffoca il pianto trattenuto
che ci stringe la gola la paura.
Prendiamo a camminare e non smettiamo
mai più di andare, dopo mezzanotte,
lungo quel corridoio dell’ospedale silenzioso
dove c’è un angelo d’infermiera sveglia.
Aspettare che morissi era come morire lentamente,
gocciolare dal tubo della morte,
morire un poco, a pezzi.

Non c’è stata ora più lunga di quella in cui non dormivi,
non un tunnel più denso di orrore e di miseria
di quello che riempivano i tuoi gemiti,
il tuo povero corpo ferito.

 

Le poesie del pedone (Raffaelli Editore, 2017), traduzione di Emilio Coco