Marco Tornar


Al buio

Al buio, nella sorpresa di annuncio
ti saluto tre volte. Tra la materia
e il soffitto si traducono fuochi
per sempre stranieri. L’essenza di una scala
vuole forme compiute, silenzi che formano un viso.
La vita stessa si trattiene
nell’amore di una goccia, respira il labirinto
che diventa mattino e panico della sorpresa. Esci
in un tempo di pura attesa
che non ha stirpe, buio senza una diga.
Gli atleti sono già tutti apparsi
e non possono fermare il miracolo.

 

La scelta (Jaca Book, 1996)

Chinua Achebe

Chinua Achebe

 

Madre e figlio profughi

Nessuna Madonna con Bambino poteva eguagliare
quell’immagine di tenerezza di madre
per un bambino che presto doveva dimenticare.

L’aria era pesante di odori
di diarrea di bambini non lavati
con costole slavate e sederi prosciugati
in lotta con passi affaticati dietro vuoti ventri rigonfi.
Molte lì hanno da tempo cessato
di preoccuparsi, ma non quella madre,
che manteneva tra i denti un sorriso spettrale,
e negli occhi il fantasma dell’orgoglio materno
mentre gli pettinava i capelli rugginosi
rimasti sul cranio, e poi,
solo negli occhi cantando, iniziò
a ripartirgli adagio… In un’altra vita
questo sarebbe stato un piccolo atto quotidiano
privo d’importanza tra colazione e scuola:
ora lei lo faceva come ponendo fiori
sulla minuscola tomba di un bambino.

Attento ‘Soul Brother’! (Jaca book, 1995), trad. it R. Mussapi, T. Sorace Maresca

Stefano Bortolussi

stefano bortolussi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Going to California with an aching in my heart
Jimmy Page & Robert Plant

Mi è sempre stata mito, questa lingua
di terra occidentale, anche quando erano altre
le bandiere: la cantavano le armonie delle voci,
le fughe libere dei fiati e i volti in gigantesco
primo piano, il passo mitchumiano del detective,
la vertigine di una serie di amori ininterrotta
se non dalla tua stessa infedeltà di adorante
– la vedevo come affacciato alla finestra
sul serpente di luci, Marlowe di riporto,
vecchio e stanco ancora prima della compiuta primavera,
e aspettavo il momento della prima rotta polare
stabilita come il passo al di là di una soglia,
il piede a tastare il corso del fiume di confine, la sua
temperatura: sull’opposta riva si stagliava
il regno perduto di Califia, schermo non più solo di me stesso,
panorama del nuovo, del mondo immaginato,
Olimpo più verde e digradante,
non fiero e punitivo come l’altro ma più numinoso
perché vicino, esposto all’occhio, quasi al tatto.
L’avrei avvicinato, finalmente presente al suo portento.

 

Califia (Jaca Book, 2014)

Piero Bigongiari

pierobigongiari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anfratti vuoti

E’ freddo negli anfratti dell’essere
rocciosi, il mare gocciola là sotto,
c’è chi chiede pietà a braccia aperte
e chi accusa con l’indice elevato.
E’ freddo, il pesce nella marea imprendibile,
il vento carezza la roccia, le ali sono chiuse,
i morti non sono giunti, le case si crettano,
la polvere torna fango che non piglia,
lo sguardo scivola parola fuori dall’anima
che, sola, attende il vento, l’ala sbattuta, il sibilo
negli anfratti risponde a chi arriva ripido,
il mare sotto sgocciola verde, va
e viene, va e vede, risponde alle sue gocciole
l’insieme di un essere che diviene.

 

da Poesie. 1942-1992 (Jaca Book, 1994)

Giovanna Sicari

giovanna_sicari

 

Estate ‘95

Potrei chiedere alla sibilla
di una sera tenera e infantile
quando dolce bolle l’acqua
del pozzo ma la sibilla
sono io, allora dico tutto,
delle sevizie e degli abbandoni
di lettere felici e infami
interi repertori di silenzi e i biglie
quando i parenti erano l’autorità
e amavo ogni forestiero.
La maga dice: la legge incombe
la legge vuole, domani ti darà
la sua acqua. Cammino
in diagonale, ho mire e tuffi
– dammi la forza, dammi il bene –
Il mare è tempesta pura,
i mendicanti sono fermi
sulla spiaggia di Sperlonga
tappeti e spalle curvi, ogni
cellula è lontana da quella
madre che tortura, ogni famiglia
è ferma in quella legge speciale
della fortuna, della scintilla
del lungomare, della cellula
che si ripete.

 

Epoca immobile (Jaca book, 2003)

 

Foto di Dino Ignani

Ivan Lalić

kul-ivan-v.-lalic

 

Ciò che ogni albero sa

Impara, cuore, ciò che ogni albero sa:
Disporre la radice, infliggerla con giusto orientamento
Nel buio sparso; non dentro il sasso, bensì
Attorno al sasso; non dentro l’argilla
Bensì verso l’acqua non lontana;
Non nella ripulsa, ma nell’amore pronto
A rendere alla pressione di radice angusta ascesa
Fu per l’asse anulare, dritto, fino alla forcella,
E oltre, per l’erta obliqua delle fronde ripetente
L’ordine della sete sottostante nella luce, nel vento,
In simmetria, nell’equilibrio che accoppia
Nadir e zenit; e infine sino al frutto
Che vorrebbe arrotondare col suo peso
Movimento in misura appassionata. Così non agendo
Vantaggio del suo danno, rachitica sarà la chioma
Gibboso lo sforzo di rizzarsi, brutta la corteccia,
Partito il frutto e rado. Ogni albero lo sa.
Non imparare, cuore, dal folle albero di olivo
Che ricorda gli dei ellenici, innamorato della pietra
E del serpe che custodisce alla radice.

 

da Poesie (Jaca Book, 1991), trad. it. Eros Sequi.