Marina Cvetaeva


Alla mia povera fragilità
guardi, senza pronunciare parole.

Tu – sei di pietra, ma io canto,
tu – sei un monumento, ma io volo.

Lo so, il più soave maggio
all’occhio dell’Eternità – non è nulla.

Ma io sono un uccello – non biasimare
se una legge lieve mi è imposta.

*

На бренность бедную мою
Взираешь, слов не расточая.

Ты – каменный, а я пою,
Ты – памятник, а я летаю.

Я знаю, что нежнейший май
Пред оком Вечности – ничтожен.

Но птица я – и не пеняй,
Что легкий мне закон положен.

La via delle comete (Interno Poesia Editore, 2023), cura e traduzione di Paolo Galvagni

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Antonia Pozzi

 

Funerale senza tristezza

Questo non è essere morti,
questo è tornare
al paese, alla culla:
chiaro è il giorno
come il sorriso di una madre
che aspettava.
Campi brinati, alberi d’argento, crisantemi
biondi: le bimbe vestite di bianco,
col velo color della brina,
la voce colore dell’acqua
ancora viva
fra terrose prode.
Le fiammelle dei ceri, naufragate
nello splendore del mattino,
dicono quel che sia
questo svanire
delle terrene cose
– dolce -,
questo tornare degli umani,
per aerei ponti
di cielo,
per candide creste di monti
sognati,
all’altra riva, ai prati
del sole.

 

Mia vita cara. Cento poesie d’amore e silenzio (Interno Poesia Editore, 2019)

John Keats

John Keats by Joseph Severn, 1819
© National Portrait Gallery, London

All’autunno

Stagione di foschie e d’una pastosa
fecondità, tu amica prediletta
del sole che matura ogni raccolto;
tu che con lui congiuri per far gravi
con i frutti le viti, e benedette,
appese intorno al tetto e alle grondaie
di paglia; fai incurvare con il peso
delle tue mele gli alberi muschiosi
del casolare, e fino al suo midollo
ogni frutto maturi; fai gonfiare
la zucca, ed i gusci di nocciola
tu fai rotondi con il dolce seme;
fai sbocciare altri fiori ed altri ancora,
tardivi per le api, che si illudano
che i giorni caldi mai avranno fine,
ché l’estate ha colmato fino all’orlo
le loro celle vischiose di miele.

*

To Autumn

Season of mists and mellow fruitfulness,
Close bosom-friend of the maturing sun,
Conspiring with him how to load and bless
With fruit the vines that round the thatch-eves run;
To bend with apples the mossed cottage-trees,
And fill all fruit with ripeness to the core;
To swell the gourd, and plump the hazel shells
With a sweet kernel; to set budding more,
And still more, later flowers for the bees,
Until they think warm days will never cease,
For Summer has o’er-brimmed their clammy cells.

 

Mio cuore (Interno Poesia Editore, 2023), cura e traduzione di Luca Alvino

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George Mackay Brown

Ph. © Gunnie Moberg Archive, Orkney Library & Archive

Pescatori di merluzzi

Mezzanotte. Il vento spinge a nord-est.
Una luna bassa, opaca.
Inquieti accanto a mogli quiete riposiamo.

Uno spruzzo di pioggia e un gabbiano
fuori all’aperto.
Il fuoco acceso. Un sorso veloce di birra.

Spingiamo la Merle su un mare di gelida fiamma.
I remi colano miele.
Un amo dopo l’altro si srotola sotto The Kame.

La nostra lenza rompe il percorso di improvvise migliaia.
Dodici mascelle catturate,
fauci grigie, si spalancano nelle nostre mani.

Dodici bocche fredde gridano senza suono.
Il mare è di nuovo vuoto.
Come nomadi i più vivaci cambiano continuamente zona.

Scandagliamo il vuoto per tutto il pomeriggio;
stacchiamo; e gustiamo
il cibo genuino della terra, manzo e focaccia d’orzo.

Il tramonto ficca una lama da macellaio
nella gola del giorno.
Ritorniamo su una marea bassa e densa come sangue.

Più stelle che pesci. Donne, gatti, un gabbiano
piagnucolano allo scoglio.
La valle si divide il magro miracolo.

*

Haddock Fishermen

Midnight. The wind yawing nor-east.
A low blunt moon.
Unquiet beside quiet wives we rest.

A spit of rain and a gull
In the open door.
The lit fire. A quick mouthful of ale.

We push the Merle at a sea of cold flame.
The oars drip honey.
Hook by hook uncoils under The Kame.

Our line breaks the trek of sudden thousands.
Twelve nobbled jaws,
Gray cowls, gape in our hands,

Twelve cold mouths scream without sound.
The sea is empty again.
Like tinkers the bright ones endlessly shift their ground.

We probe emptiness all the afternoon;
Unyoke; and taste
The true earth-food, beef and barley scone.

Sunset drives a butcher blade
In the day’s throat.
We turn through an ebb salt and sticky as blood.

More stars than fish. Women, cats, a gull
Mewl at the rock.
The valley divides the meagre miracle.

Incidere le rune (Interno Poesia Editore, 2023), cura e traduzione di Giorgia Sensi

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Francesca Serragnoli

Ph. Daniele Ferroni

Camera 9

Si sono accorti della mia disperazione
loro lo sguardo
cioè niente

lo sguardo di ognuno
che non sa chi è l’altro

quella bifora gelata

quel portone fermato
dal legnetto delle tue mani

l’arcata viva della tua schiena
i fiori di plastica
davanti a Sant’Antonio

loro che non sanno chi è l’altro
che accendono una candela
sfregandosi i capelli

loro l’ospedale dei guardati
gli intubati di Dio

in quel viso sgangherato
legato a una cordicella
qualcuno getta
un pugno di semi
e li chiama con un fischio.

Non è mai notte non è mai giorno (Interno Poesia Editore, 2023)

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Matteo Pelliti


Desiderio di diventare un istruttore di karate

Un amico poeta mi ha suggerito
di non indulgere troppo
nel mettere i figli al centro dei versi
ma in questa estate in secca d’ispirazione
come di acqua piovana è una foto
di mia figlia a farmi riaprire la pagina
con quell’urgenza di scrivere qualcosa
per riuscire a conservarne traccia.

Lei su una canoa, con i compagni
di karate, insieme agli istruttori,
sorride, felice, negli occhi
la piena consapevolezza di sé quattordicenne
che fa di lei se stessa, è una serata
di fine corso, sul lago, al tramonto.

È allora che penso che vorrei essere
il suo istruttore di karate
perché conosce mia figlia
e perché passa con lei un tempo ininterrotto settimanale
– ho calcolato, tre ore –
per me invidiabile e poi perché lei dice
che in qualcosa ci somigliamo, lui e io,
spero sia forse il tentativo mio di praticare
una mitezza che non ho, una gentilezza indiscriminata,
la calma che non ho e che vorrei avere, mostrare,

e vorrei passare con lei il tempo che passa lui,
come quest’anno, che è diventata cintura blu,
come questo cielo senz’acqua,
questa estate in secca d’ispirazione,
questo tempo che continuo a inseguire con lei
meravigliosa e unica ragazza.

Scrivere sul margine (Interno Poesia Editore, 2023)

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Lorenzo Maragoni

Ph. Francesca Paluan

Preferisco Lamarque

a Vivian Lamarque

Preferisco le poesie con le rime
preferisco le poesie con i versi
preferisco i miei poeti preferiti
che poi sono sempre gli stessi
preferisco non darmi divieti e soltanto permessi,
se solo potessi

Preferisco la danza al cammino
preferisco l’erba del vicino
preferisco a tutti i baci che ho dato
quello che dovrò ancora dare
preferisco il rumore del procrastinare

Preferisco Gianni Rodari
gli anni pari, sentire il vento, sbagliare un accento
la vertigine del firmamento
preferisco quando sono contento
per avere scritto una nuova poesia
preferisco i giorni in cui credo davvero che esista
la meritocrazia
prima di ricordarmi che pure quella
è un maledetto privilegio di classe
preferisco alzare il volume,
provare ad andare a sfondare le casse

Preferisco le poesie italiane
quando sono cover di poesie polacche
preferisco essere libero
senza un soldo nelle tasche

No non è vero preferisco i soldi
è per questo che faccio il poeta
per vivere nel lusso sfrenato
con ventagli d’oro e vestaglie di seta

Preferisco l’innovazione
no non è vero, la tradizione
preferisco la libera interpretazione personale
no non è vero, la traduzione letterale
preferisco la libertà alla coerenza
il fare con al fare a meno al fare senza

Preferisco i poeti famosi prima che fossero poeti famosi
che un giorno diremo “Un giorno
li abbiamo visti in quei locali fumosi”
ai tempi in cui si poteva stare ancora seduti vicini
preferisco le poesie gridate in piazza
appese sui muri
lette stesi sopra i sampietrini

Preferisco chi si crede Pasolini a Pasolini
preferisco Petrolini a Pasolini
preferisco chi non sa chi è Petrolini a Petrolini
preferisco i sassolini ai sampietrini

E lo so, parlo sporco, parlo a strappi
non ho mai imparato la dizione
scrivo solo poesie su poesie
sperando che una diventi una canzone

E lo so, parlo storto, parlo a sprazzi
non ho mai imparato la lezione
non ho mai passato la preselezione
non mi sono mai iscritto a un concorso
perché non so neanche a un concorso di cosa
scrivo solo poesie su poesie
sperando che una diventi qualcosa

E lo so, parlo a cazzo di cane
chi non segue può avere il rimborso del biglietto
e tornarsene a casa incazzato dicendo
“Però non me l’avevano detto”
e andare a letto

Ma domani davanti al computer
alla decima ora di lavoro scazzato
quando il tempo va lento come il caricamento
di un sito al momento sbagliato
e uno ha il timore di avere sbagliato
qualcosa in questa vita delirio
che è la vita che tutti viviamo
alzerà lo sguardo al cielo in fiamme fuori dal settimo piano
e si ricorderà una parola,
detta male, detta storta, detta a cazzo di cane

Si ricorderà di questa poesia, che sarà la sua preferita
per alcune settimane

 

Poesie, però non troppo (Interno Poesia Editore, 2023)

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Tom Pearson


I. A Foreign Stillness

i. Fragments of Icarus

Let god folly and father fracture matter
Not, this immortalization, for us, a curse,
Constellations for others to navigate
By what to avoid.

There was a great voice in my head the morning
After my death that woke me from sleep, whispered
Into my ear, Get up, go—go write, urging
Me to confession—

To remember it not as a failure of flight,
Not for the fall, for the end of that life,
But for the tender years of sweetest youth spent with
You, my childhood beast—

For treasures received, hidden in the garden,
Passing stories as we gathered wax and feathers,
Telling the tale and untelling it
Soon as it was told.

Found then at last is this, our first stanza of youth,
An autobiography of imprisonment,
The metronomic distance between arrival
And departure.

In the slatted daybreak, I witnessed, peeking,
Shadows in the garden and increments of
Color, light, and sound, which crept between the
Attention I gave.

Pulled by currents unknown, I held the shutters
Closed at night and opened them at morn, my mood
Regulated by how much light I allowed
Into the cold room—

Laying out ideas there upon twin beds,
Pushed together at night and boldly turned down
For a harvest inside of future dreams, for
What was yet to come.

In the future, I will remember this:
The blessing of the fleet, a foreign stillness,
Cousins to nostalgia and melancholy,
The passing lanterns

Of the night fishermen who poled and prayed
To hook a dream or spear a light under the
Suggestion of stars, once crossed, crossed again,
Sewing up the sky.

And in the future, I will think of him along
A cartography of where his hands have passed,
Maps drawn on silk, hidden in coat pockets and
Of his quiet stealth.

I marked days and a catalog of lesser
Innovations on the wall in an attempt
To record our evenings and think nothing to
Look upon them now—

In the sea, more than before us, and in that
Effort to notate what had occurred in the
Night, more than nearer your promises, more than
The whispering waves—

More than Helios to hypnotize, with wings
Or sails, testing, if the gods did not come, we would
Become the gods, through flight and hubris, with a
Harness for the wind.

But our alchemy gained little from it,
Our movement toward freedom, plunged, swallowed by
Seagulls or marauded by marlin, angels
That swim, fish that fly.

Along the margin of the boundary layer,
Water chased wind, coupled currents clashed to
Appease the appetites of too many in
Every direction—

And your soul’s energy, overharvested,
How I cried to leave you there, screaming in your
Labyrinth, and me aft, behind in the tailwind
Of my father’s flight!

Such craftwork, left like a plaything for a child,
His carelessness, a sword, and in the future
I will think of him thus, a father asleep,
A mentor surpassed—

A prisoner once caught, now a child drowning in
The sea. It was written by my own hand
Upon scrolls of the deep, this very love, this
Passion for falling.

*

I. Una calma straniera

i. Frammenti di Icaro

Fa’ che follia divina e frattura paterna non abbiano
importanza, sciagura è per noi l’esser resi immortali,
costellazioni che altri navigheranno via
da ciò che va evitato.

Sentii una gran voce nella testa la mattina
dopo la morte che mi destò dal sonno, mi sussurrò
all’orecchio: alzati e va’ – va’ a scrivere, spingendomi
alla confessione –

Per ricordarlo non come un volo fallito,
non per la caduta, per la fine di quella vita,
ma per i teneri anni di dolce gioventù passati con
te, bestia della mia infanzia –

Per tesori ricevuti, nascosti nel giardino,
ci scambiavamo storie raccogliendo cera e penne,
dicevamo la storia per poi rinnegarla
subito dopo averla detta.

E poi, infine, la nostra prima strofa giovanile,
l’autobiografia di una reclusione,
la metronomica distanza tra l’arrivo
e la partenza.

Nell’alba a stecche ho visto, sbirciando,
ombre nel giardino e incrementi di
colore, luce e suono strisciare furtivi in mezzo
alla mia attenzione.

In preda a correnti ignote, tenevo le imposte
chiuse di notte e le aprivo al mattino, l’umore
regolato dalla quantità di luce che accoglievo
nella stanza fredda –

Disponendo idee là, sui letti gemelli,
spinti insieme di notte e audacemente preparati
per un raccolto, all’interno, di sogni futuri, per
ciò che sarebbe stato.

In futuro, mi ricorderò di questo:
la benedizione della flotta, una quiete straniera,
cugini a nostalgia e malinconia,
le effimere lanterne

dei pescatori di notte che puntando le pertiche pregavano
per allamare un sogno o fiocinare una luce sotto la
suggestione di stelle, una volta attraversate, riattraversate,
a ricucire il cielo.

E in futuro penserò a lui lungo una
cartografia dei luoghi percorsi dalle sue mani,
mappe vergate su seta, nascoste in tasca ai cappotti e
alla sua quiete furtiva.

Ho segnato i giorni e un catalogo di minori
innovazioni sulla parete in un tentativo
di registrare le nostre sere senza pensare adesso
a come considerarle –

Nel mare, più che davanti a noi, e in quello
sforzo di annotare quel che era accaduto di
notte, più che vicino alle tue promesse, più che
il sussurro delle onde –

Più di Helios da ipnotizzare, con ali
o vele, testando, se gli dèi non fossero arrivati, che
gli dèi saremmo stati noi, in volo e in hubris, con
un’imbracatura per il vento.

Ma la nostra alchimia ne trasse poco vantaggio,
il nostro moto verso la libertà, s’immerse, ingollato
dai gabbiani o predato dai marlin, angeli che
nuotano, pesci che volano.

Lungo il margine dello strato liminale,
l’acqua inseguì il vento, correnti in coppia conflissero
a placare gli appetiti di troppi in
ogni direzione –

E l’energia della tua anima, intensamente sfruttata –
come ho pianto nel lasciarti lì, a urlare nel tuo
labirinto, e io a poppa, dietro al vento di coda
del volo di mio padre!

Un’opera simile, lasciata come il gioco di un bimbo,
la sua disattenzione, una spada, e in futuro
lo penserò così, a un padre che dorme,
un mentore obsoleto –

Un tempo prigioniero, ora ragazzo che annega
nel mare. Era stato scritto di mio pugno
sui rotoli degli abissi, questo stesso amore, questa
passione per la caduta.

Eppure, il cielo (Interno Poesia Editore, 2023), cura e traduzione di Andrea Sirotti

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Sofia Fiorini

Che io sia per te la terra –
ritorno di ogni notte per guardarti
solo come bestia dentro al bosco.

Sto sul tronco esatto al centro, aspetto
che il vento ti presenti al mio cospetto:
di ogni cosa, di ogni cuore di uccello
ferito sei fatto, di ogni spavento,

l’anima chiara del cervo mi è dato
sapere per volere te uguale a te stesso,
saperti ritrovare se ti perdo
toccarti con un piede nel ruscello.

La logica del merito e nuove poesie (Interno Poesia Editore, 2023)

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Jean-Charles Vegliante

Quasi un madrigale

Madre, lo sai che ormai
potrei essere tuo nonno?!
E con ciò vorrei farti ridere
là dove sei – se sei – e
compensare un poco il male
che ti è stato fatto un giorno
per sempre, fredda madre,
da noi vivi – anche da me –
“sedicenti / vivi” (Montale).
Dal fogliame qualcuno ride.

Incontri, seguito da altre Babeli (Interno Poesia Editore, 2023)

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