Roberto Piumini


Chi inventò il bacio, quello fondo,
che muove lingue più della parola,
che dà saliva più del sale caldo
e giri al sangue più del rosso vino?

Chi costruì i primi baci al mondo,
in molte prove, non in una sola,
stancando la compagna con un saldo
progetto, e col suo impeto divino?

Chi indovinò, pensò, decise, volle,
la prima lotta umida d’amore,
quel frullo interiore, strano e folle?

La ruota, il fuoco, cose di valore:
ma a lui, ovunque sia, zolla fra le zolle,
gli amanti, con i baci, diano onore.

 

Il rosso amore. Cento poesie erotiche (Interlinea, 2021)

Angelo Nestore


In nome del padre

Se il padre mi dice: Sii uomo
io mi ritraggo come una larva,
conficco l’addome sotto l’amo.

Molle, come un mollusco senza guscio,
mi sento disalberato, stringo i denti.

E mi chiedo
a cosa sia servito aver imparato quattro lingue
se le parole non si sentono sott’acqua,
se so soltanto scrivere poesie.

I corpi a mezzanotte (Interlinea, 2021)

Samir Galal Mohamed


Scrivere/salvare

Monia Andreani in memoriam

Un indirizzo di casa, un numero di telefono,
o un profilo digitale, come triangoli semiotici,
senza un referente, semplicemente non funzionano.
Per questo, ho cestinato tutte le email
che ci siamo scambiati: continuavo a rileggerle.
Il morboso che è in me non è poi molto diverso
dalla sessione di composizione di una poesia:
in perenne agitazione, in stato d’agguato perpetuo.
Allora la scrittura si declina in una questione di etica,
accoglie il tragico per tornare a parlare di deontologia.
La morte di un essere umano, di uno in particolare,
agli occhi di coloro che rimangono, mi rende speciale.
Scrivo in memoria per scrivere di quanto lavoro
ci resta ancora da fare: scrivere, salvare.

Damnatio memoriae (Interlinea, 2020)

Eugenio De Signoribus


Domande

Perché la parte oscura
ancora può dolere

e tarla la coscienza
banale o no il sapere?

E il perdono chiesto
all’uomo e all’Uomo

incontra nel languore
come una spina dura?

C’è verità nel suono
che stride in interiore?

 

L’altra passione (Interlinea, 2020)

Antonio Lanza


Il lavoro che sta per iniziare l’inizio
del lavoro il lavoro che sta per finire
la fine del lavoro tutto qui è predefinito
da voci registrate tutto qui è finalizzato
a che siano in sincrono tutte le attività
ed è di donna gentile la voce che annuncia
l’apertura del centro che augura piacevole
permanenza a chi lo frequenta che dispensa
calorosi buon lavoro a chi vi passa le ore
ed è d’uomo di polso l’attitudine al comando
di uomo cui per istinto si concede ubbidienza
la voce che invita a guadagnare le uscite
la voce che ringrazia per la fiducia accordata.

 

Suite Etnapolis (Interlinea, 2019)

Adam Zagajewski

In prima persona plurale

A Julian Kornhauser

Indossiamo parole usate, enfasi e disperazione
corrose dalle labbra altrui,
camminiamo sulle botole dell’altrui spavento,
in un’enciclopedia scopriamo la vecchiaia,
di sera fingiamo che sia scoppiata la guerra,
conversiamo con Baczyński,
facciamo in fretta i bagagli,
ci ricordiamo dei poeti d’un tempo,
andiamo in stazione, condanniamo il fascismo,
e poi trionfalmente,
in uno scompartimento di prima classe,
in prima persona plurale,
diamo voce a tutta la nostra perspicacia,
come se non fossimo dotati
dell’orecchio assoluto per il silenzio.

 

Prova a cantare il mondo storpiato (Interlinea, 2019), a cura di V. Parisi

Maria Borio

Farnese

La finestra a una luce dice non immaginate,
appoggiatevi alla parete come fosse una strada.
La schiena nuda non ha più freddo. Ecco le cose
che ci abitano: il vetro trasparente, il muro opaco,
noi per le cose, una strada curva sul muro,
il muro dentro vene lenticolari. Tutto batte
come bronzo sul deserto: è innocenza
che muove la testa. Mi abiti così, come il giorno
sulla piazza che Giordano Bruno era quel piccolo
fuoco di tutti. Ti abito come il suono che si stacca
tra i palazzi incastrati, la campanella sul muro duro
caldo come un liquido muove la testa.

 

Trasparenza (Interlinea, 2019)

Foto di Dino Ignani

Jacopo Ramonda

#80

Mi chiamo Andrea N., e su Facebook ho più di settanta omonimi. Alcuni di essi abitano in altre nazioni, in paesi lontani, ma mi hanno inviato una richiesta d’amicizia per questa unica caratteristica che sappiamo di avere in comune. Il mio nome mi pare sempre più un dettaglio insignificante della mia persona; un elemento che, invece di identificarmi, contribuendo a distinguermi dagli altri, amplifica il senso di omologazione che provo.

 

Omonimia (Interlinea, 2018)

Gabriela Mistral


Ci sono baci

Ci sono baci che emettono da soli
la sentenza di una condanna d’amore,
ci sono baci che si danno con uno sguardo
ci sono baci che si danno con la memoria.

Ci sono baci nobili,
baci enigmatici, sinceri,
ci sono baci che si danno solo con l’anima
ci sono baci proibiti e ci sono baci veri.

Ci sono baci che bruciano e che feriscono,
ci sono baci che turbano i sensi,
ci sono baci misteriosi che hanno lasciato
i miei sogni confusi ed errabondi.

Ci sono baci problematici che nascondono
una chiave che nessuno ha mai decifrato,
ci sono baci che generano la tragedia –
quante rose in boccio ha sfogliato.

Ci sono baci profumati, baci tiepidi
che palpitano in un intimo anelito,
ci sono baci che lasciano sulle labbra impronte
come un raggio di sole in un campo gelato.

Ci sono baci che sembrano gigli
sublimi, ingenui, puri,
ci sono baci traditori e codardi,
ci sono baci maledetti e spergiuri.

Giuda baciò Gesù e lasciò impresso
sul viso di Dio il segno della sua viltà,
mentre la Maddalena con i suoi baci
fortificò pietosa la sua agonia.

Da allora nei baci palpitano
l’amore, il tradimento e il dolore,
le coppie umane assomigliano
alla brezza che gioca coi fiori.

Ci sono baci che provocano deliri
di amorosa, folle passione,
tu li conosci bene: sono i miei baci
inventati da me per la tua bocca.

Baci di fiamma che portano impressi nel viso
i solchi di un amore proibito,
baci tempestosi, baci selvaggi,
che solo le nostre bocche hanno provato.

Ti ricordi del primo? Indefinibile,
ti lasciò il viso coperto da rosee impronte,
e nello spasimo di quell’emozione terribile,
gli occhi si riempirono di lacrime.

Ti ricordi di quella sera, quando in un momento di follia
ti vidi geloso immaginando chissà quale oltraggio?
Ti presi tra le mie braccia, vibrò un bacio
e che cosa vedesti dopo? Sangue tra le mie labbra.

Io ti insegnai a baciare: i baci freddi
sono di un impassibile cuore di pietra.
Io ti insegnai a baciare con i miei baci
inventati da me per la tua bocca.

 

Che cos’è mai un bacio (Interlinea, 2019)

Intervista all’editore: Roberto Cicala

Roberto Cicala è editore di Interlinea, presso cui dirige collane come “Lyra”, fondata oltre vent’anni fa con Maria Corti, Luciano Erba, Franco Buffoni e Giovanni Tesio. Critico letterario (scrive per “Repubblica” e “Avvenire”), ha all’attivo molte edizioni di inediti di Rebora e Vassalli ed è tra i maggiori esperti italiani di editoria, materia che insegna nelle università Cattolica di Milano e di Pavia.

 

1. Cosa vuol dire per te svolgere il mestiere di editore?

Vivo il mestiere dell’editore come un impegno per contribuire alla cultura collettiva: scopro, seleziono e organizzo testi e contenuti in forma di libri per testimoniare un’idea, una storia originale, un valore che altrimenti resterebbe senza voce e senza possibilità di essere ascoltato. Un traguardo ambizioso? Se non lo fosse non avrebbe senso una vita respirando ogni giorno carta e inchiostro con scarse soddisfazioni economiche ma alte realizzazioni morali. Con 1500 libri alle spalle credo che l’editoria sia una vocazione.

 

2. Che cosa ti rende felice di questo mestiere e che cosa no?

Trovare forme del pensiero sempre nuove per lettori altrettanto nuovi o fedeli dà senso al lavoro quotidiano di mediazione culturale: progettare e fare libri diventa così una ragione d’essere e crea quella sensazione di fare qualcosa di buono, e di bello, per gli altri che Giulio Einaudi definiva «la felicità di fare libri». Il rovescio della medaglia sta nella società italiana che non sostiene la crescita di cultura, soprattutto a scuola, presentando spesso il libro come un di più noioso e poco utile, oltre a ritenere il lavoro intellettuale qualcosa di gratuito e non necessariamente remunerabile, fuori diritti. Con questa logica, molto in voga su internet, purtroppo non si va molto lontano e non si crea libertà di pensiero.

 

3. Passiamo ora alla poesia. Intanto: cos’è per te la poesia?

Nella mia esperienza la poesia è una testimonianza resa attraverso una parola mai convenzionale ma necessaria, che si esprime con colpi d’ala, con scarti dalla quotidianità, con provocazioni positive. E facendo così è una parola che lascia il segno, come hanno fatto Rebora, Campana e Sbarbaro alle origini del nostro Novecento. Nonostante ciò la poesia è compagnia, consolazione, stimolo, frontiere superate, insomma quelle parole che spesso non troviamo per spiegare la nostra vita ingarbugliata e contraddittoria.

 

4. Quanto è importante la poesia per Interlinea?

La poesia vale per la nostra piccola casa editrice di cultura tanto quanto ci impegna in letture, scelte, idee, confronti, ricerche, ad esempio sul versante della poesia cosiddetta civile (grazie al festival internazionale di Vercelli) oppure nelle aree della letteratura delle giovani generazioni (grazie alla serie editoriale “Lyra giovani” con il maestro e amico Franco Buffoni). La poesia è necessaria ancor più che importante: è la diversità della parola che altrimenti sarebbe banale, univoca, irregimentata.

 

5-6. A tuo avviso perché siamo più un Paese di poeti che non di lettori e di chi è la responsabilità se la poesia si legge così poco?

Riparto dalle scuole. In quelle italiane non ci abituano a divertirci, stupirci e commuoverci con la poesia. Alcune volte basta una lettura, un incontro inaspettato in un determinato momento emotivo: per me fu L’aquilone di Pascoli alle medie a farmi vibrare con la forza del ritmo delle parole, la storia di ragazzi, aria aperta, giochi e amicizia, amore materno… Ma se non si trova un professore particolarmente appassionato la poesia diventa una materia ostica che è noioso studiare. Ecco, al primo posto per le poche letture degli italiani adulti sta la scuola negli anni della formazione, che significa (per usare una delle categorie dell’Ordine dei libri di Chartier) le istituzioni che fanno programmi poco attraenti e non investono sulle biblioteche scolastiche e sulle ore di lettura. In secondo luogo stanno i media, che snobbano certe forme di cultura e alcuni generi, a parte eccezioni troppo sporadiche, come la celebre lettura della Szymborska da parte di Roberto Saviano a Che tempo che fa in tv. Se poi i librai vendono soprattutto gli autori celebri sui social non è colpa loro; lo è però se riducono sempre di più i metri, o centimetri, lineare di scaffale dedicati ai versi, come se le librerie debbano fare concorrenza alle edicola. Ma, al terzo posto delle responsabilità, sta anche la filiera editoriale, con tutti quegli editori che millantano fama, distribuzione nazionale, recensioni autorevoli e tirature favolose a chi è disposto a pagare per un proprio hobby personale (e fin qui non ci sarebbe nulla di male, come altri pagano per una raccolta di francobolli o di orologi), ma spesso tali aspiranti poeti non capiscono la differenza tra un editore, un tipografo e un disonesto. Anche qui ci sono radici culturali. Credo che queste siano alcune delle ragioni che creano confusione sociale intorno al genere lirico relegandolo quasi in un ghetto da intellettuali o da persone strane.

 

7. Che cosa occorrerebbe fare per appassionare alla poesia?

Anche in letteratura la qualità paga, ma paga se c’è un’educazione a riconoscerla ed apprezzarla, non una corsa verso il troppo facile come sta avvenendo oggi. Credo che i festival seri possano aiutare a dare una percezione più accattivante della poesia, grazie all’incontro con temi e autori. Poi è fondamentale prevedere l’accostamento alla parola poetica fin dall’infanzia, nel periodo “Nati per leggere”: pensiamo alla forza ammaliante ed entusiasmante di rime di scrittori come Roberto Piumini o Anna Lavatelli che poi un bambino si porta dentro di sé per tutta la vita, per non dire anche del celebre Alì Babà e i quaranta ladroni di Emanuele Luzzati. Poi i mass media potrebbero naturalmente fare la loro parte, con intelligenza e creatività, senza spettacolarizzazioni verso il basso a tutti i costi. Alla fine bisogna guardarsi sempre allo specchio: ognuno di noi sceglie, compra e regala quella poesia che può appassionare gli altri e far sì che, come le ciliegie e i gialli, un libro tiri l’altro.

 

8. Gli Instapoets avvicinano nuovi lettori agli scaffali di poesia?

Credo che i social siano un passatempo di condivisione virtuale, di emozioni da far girare come una catena di sant’Antonio, ma inducono al mordi e fuggi, alla lettura telegrafica e surf, poco adatta alla profondità lirica, e soltanto in pochi casi penso riescano a indurre a continuare la lettura da un post a un libro. Non è però colpa di Facebook o Instagram in sé ma del contesto sociale che non dà alcun sostegno alla quotidianità dell’atto culturale di un libro. Eppure non sarebbe una chimera se in altri Paesi europei funziona diversamente e le percentuali di lettura sono il doppio dell’Italia.

 

9. In futuro si leggerà più o meno poesia?

Spero davvero che le prossime generazioni leggeranno più poesia grazie anche alla tecnologia, agli audiolibri, agli spazi di bookcrossing pubblici mentre si aspetta un treno, una visita in ospedale, ma soltanto se dalla scuola ai media la poesia diventerà qualcosa di familiare, avvincente, utile. Comunque scegliere bene i libri da parte degli editori aiuta a non creare confusione, a non far nascondere le opere che valgono davvero sotto la montagna delle autoedizioni private.

 

10. Per chiudere l’intervista ci regali qualche tuo verso amato?

L’esperienza di un poeta come Rebora credo sia sembra fondante, per esempio nei versi in cui racconta che «quando morir mi parve unico scampo, / varco d’aria al respiro a me fu il canto: / a verità condusse poesia». Non è di facile lettura, come lo è solo apparentemente una autore che amo molto perché molto contemporanea, Luciano Erba, che chiede a se stesso: «Interroghi l’alfabeto delle cose / ma al tuo non capire niente di ogni sera / sai la risposta di un mazzo di rose?». Sono nel catalogo di Interlinea, come l’esule siriano che ha scritto a memoria Specchi dell’assenza, negli anni in carcere senza carta né inchiostro. Nei giorni in cui il libro è uscito in Italia i telegiornali trasmettevano le immagini della liberazione di Raqqa e lui notava che da alcune case erano stesi lenzuoli con scritti suoi versi come questi che avevano aiutato la rivoluzione: «un uccello / basta / perché non cada il cielo». La poesia può cambiare il mondo,,, Come avviene con Giovanna Vivinetto, la ragazza che Interlinea ha scoperto nel 2018 con il suo diario in poesia in cui racconta il Dolore minimo della sua scelta transessuale: «non mi sono mai conosciuta / se non nel dolore bambino / di avvertirmi a un tratto / così divisa. Così tanto parziale». Sono versi in cui tutti, trascendendo il caso singolo, possono specchiarsi.

 

Intervista a cura di Andrea Cati