Ingeborg Bachmann


D’inverno la mia amata
sta fra gli animali del bosco.
Ch’io sia costretto a rientrare all’alba
sa quella volpe, e ne ride.
Come rabbrividiscono le nuvole!
E sopra il mio bavero innevato
una lastra di ghiacciuoli s’infrange.

D’inverno la mia amata
è un albero fra gli alberi
e invita le cornacchie derelitte
tra i suoi rami leggiadri.
Ella sa che, quando albeggia, il vento
solleva il suo abito da sera,
rigido, ricoperto di brina,
e mi ricaccia a casa.

D’inverno la mia amata
sta fra i pesci ed è muta.
Schiavo dell’acque che la carezza
delle sue pinne internamente muove,
sto ritto alla riva,
e la guardo tuffarsi e voltolarsi,
finché lastre di ghiaccio mi allontanano.

E poi di nuovo colpito
dal richiamo di caccia dell’uccello
che sopra me drizza le ali,
stramazzo in aperta campagna:
lei spenna i polli e mi getta
una bianca clavicola. In mezzo
all’amaro pulviscolo di piume
intorno al collo me l’appendo e scappo.

La mia amata è infedele.
So che talora librata
sugli alti tacchi se ne va in città,
e bacia nei bar con la cannuccia
profondamente la bocca dei bicchieri,
e trova parole per tutti.
Ma tale linguaggio io non intendo.

Paese di nebbia ho veduto,
cuore di nebbia ho mangiato.

Poesie (Guanda, 1978), trad. it. Maria Teresa Mandalari

Ingeborg Bachmann


Il tempo dilazionato

S’avanzano giorni più duri.
Il tempo dilazionato e revocabile
già appare all’orizzonte.
Presto dovrai allacciare le scarpe
e ricacciare i cani ai cascinali:
le viscere dei pesci nel vento
si sono fatte fredde.
Brucia a stento la luce dei lupini.
Lo sguardo tuo la nebbia esplora:
il tempo dilazionato e revocabile
già appare all’orizzonte.

Laggiù l’amata ti sprofonda nella nebbia,
che le sale ai capelli tesi al vento,
le tronca la parola,
le comanda di tacere,
la trova mortale
e proclive all’addio
dopo ogni amplesso.

Non ti guardare intorno.
Allacciati le scarpe.
Rimanda indietro i cani.
Getta in mare i pesci.
Spengi i lupini!

S’avanzano giorni più duri.

 

Poesie (Guanda, 1992), a cura di M. D. Mandalari

Ingeborg Bachmann


Sotto altre spoglie andavamo un tempo,
tu in volpe, io in abito da puzzola;
fummo ancor prima di fiori di marmo,
nevosi in una gola tibetana.

Cristalli senza luce e senza tempo
ci liquefammo nella prima ora,
ci avvolse il brivido della vita intera,
fiorimmo nel polline del primo senso.

Viandanti nel miracolo lasciammo
i vecchi panni per indossarne nuovi.
Succhiammo forza da ogni nuovo suolo
e mai più il nostro respiro s’arrestava.

Leggeri uccelli fummo e gravi alberi,
delfini audaci e mute uova d’uccello.
Morti e poi vivi, un essere eravamo,
e poi una cosa. (Mai saremo liberi!)

Mi amavi. Io amavo i veli tuoi,
le lievi stoffe che la stoffa librano,
e discreta la notte ti stringevano.
(Se solo ami! Vederti non pretendo!)

Giungemmo nel paese delle fonti.
Trovammo gli atti. Il paese intero,
così amato, sconfinato, ora era nostro.
Trovava posto nella tua mano a conca.

 
Invocazione all’orsa maggiore (Se, 2011), trad. it. M. T. Mandalari

Ingeborg Bachmann

Invocazione all’Orsa Maggiore

Orsa Maggiore, scendi insita notte,
animale dal vello di nuvole
e gli occhi antichi,
occhi stellari;
sbucano dall’intrico scintillanti
le tue zampe e gli artigli,
artigli stellari;
vigili custodiamo le greggi,
pur ammaliati da te, e diffidiamo
dei tuoi lombi stanchi
e delle zampe aguzze per metà scoperte,
vecchia Orsa.

Una pigna, il vostro mondo.
Voi, le scaglie intorno.
Io lo spingo, lo rotolo,
dagli abeti in principio
agli abeti alla fine:
lo fiuto, lo tento col muso,
e con le zampe l’abbranco.

Abbiate o non abbiate timore:
versate l’obolo nella borsa sonante e date
una buona parola all’uomo cieco,
che l’Orsa trattenga al guinzaglio.
E insaporite bene gli agnelli.

Potrebbe, quest’Orsa, strappare i lacci,
non più minacciare ma dare
la caccia a tutte le pigne cadute
dagli abeti, i grandi abeti alati
precipitati dal paradiso.

 

Poesie (Guanda, 2006), trad. it. M. T. Mandalari

Ingeborg Bachmann

ingeborg-bachmann-41-49300096

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prender paese

Nella terra del pascolo giunsi
quand’era già notte,
fiutando le cicatrici nei prati
e il vento, prima che si levasse.
L’amore più non pascolava,
le campane erano spente
e i cespugli affranti.

Un corno piantato nel terreno,
dalla guidaiola ostinato,
nel buio confitto.

Dalla terra lo presi,
al cielo lo levai
con forza intatta.

Per colmare
questo paese con suoni,
nel corno soffiai,
volendo nel vento incombente
e tra steli increspati
di ogni origine vivere!

 
Invocazione all’orsa maggiore (SE, 2011), trad. it. Luca Reitani