Fosca Navarra


Gioia

Sfoglio con le palpebre
quel saturo romanzo
che mi accade
e reca il peso
dei miei troppi e pochi anni
e delle rade scie
di gioia immaneggiabile,
che è come il tempo,
il grumo della sabbia
ormai schiantato.
Nulla è più mortale,
nulla più ricorda a un uomo
il termine del libro
e della corsa delle pagine
e la mano che si affretta
a dare loro un senso
prima di quel tempo
in cui non sa neppure
se gli rimarrà una penna.
E questa è gioia,
è l’attimo in cui sfioro con le dita
l’angolo del giorno,
è il suo tramonto
quando chiama a sé la sera
e mi sovviene il tempo
e la sua arsura
e con un gesto impallidito
scosto la carezza
poco prima
ben accetta
della morte.

 

Inedito

Donatella Moica


Dentro la stanza in affitto
non siamo soli
io e te.
Con noi ci sono i nostri fantasmi,
noi e i nostri desideri,
noi e qualcos’altro.
Invisibili
creature immaginarie
partecipano ai rituali,
nello specchio contemplano
l’infinito della fantasia.
Terrificante e prodigioso
l’incontro
non ha lasciato spazio
per la fuga,
subito era già troppo tardi.

I fantasmi adesso
abitano altre sponde,
nel regno del ricordo
dove dimorano
gli amanti persi.

 

Inedito

Alfonso Guida


Mi trascino se ragiono, se tento
la pacificazione dello sguardo.
Se tento l’uguaglianza, un dio comune,
proprietà nuda e speculare, tanfo
di brasato e di crauti in locande
da poco. Studiavo un raro progetto,
metalli delle Terre Rare, corpi
transuranici, lo spato d’Islanda,
gli angoli nebulosi e acquei del diaspro.
Sì, è dura città questa luce amara,
l’attesa che un groviglio avvera e sfalda,
tra sonno e patergloria, Ave O Regina
sgomento all’ombra, novena straniera,
stellare, congiunta da alba a maniera,
sterrata radice di foglia erratica.
Tu non vegli più che per trarre amore
dai ritratti e dai corpi nudi, bruni,
baciati, alterni, stupefacenti occhi
di orfani chiusi in soffitta e sodali
disertori di cantine sociali,
circoli e club, furtivi blister vuoti
di ansiolitici, cavità gelate
di veleni metabloccanti e vergini
confuse tra le doglie e il latte munto
dai fidanzati col grappolo in gola
del frutteto sultano e del vigneto
stizzito, affogato da una colata
di cera e cemento, un gergo di malte,
malate madri, trecce calcinate.
Lo squero dei linciaggi, rifiorito,
rimesso al perdono e al patto di un vecchio
vassallaggio di mosche e morganatico
di speranze assorbite, come neve.

Inedito

Francesca Benedetti


Gioco necessario

In questo bianco sola mi compongo,
obbediente alla regola del verso:
in questo spazio, spazio c’è per tutto
quel che di me rifiuto e non incastro.

Lo ingabbio in neri ed eleganti segni,
lo relego, lo esilio e non m’afferra;
mi faccio libera da me, mi guardo
come dall’alto, come dall’esterno.

Trovo pace in quest’ordine molesto:
triste apparenza, più non m’appartiene.

Vedo sanarsi, nel puzzle che dispone,
mentre accoglie il disegno che compone,
ogni inqueta tessera in conflittuale
contraddizione, con gli altri e con se stessa.

Inedito

Sheila Moscatelli


Nella prossima vita

Nella prossima vita
avremo una casa: io e te
Paola Loreto

Avremo una porta bianca da chiuderci alle spalle
finestre azzurre per far entrare gli uccelli
legna odorosa per accendere il fuoco nel camino di pietra
trasparente acqua calda nella vasca rossa

Avrò cura di te e mi sentirò al sicuro; impasterò il pane
mentre dipingerai, mi disseterai quando scriverò
il faggio del pavimento sosterrà i nostri passi
colori audaci e parole tonde ci proteggeranno dal freddo

Ad ogni risveglio affonderemo le mani nella carne. Nella terra
faremo l’amore d’estate, leggeremo lo stesso libro in inverno
salteremo nel blu attraverso le pareti, oltre il soffitto
sogneremo bambini verdi da cullare sul prato fiorito

Inedito

Valentina Furlotti


Le località di mare in inverno
esistono solo qualche ora
la domenica. Le vie si riempiono
di famiglie e turisti
senza pretese. A riva
bambini innalzano capanne
con i rami della notte. Per entrare
esibire green pass, dicono –
altro che paroladordine.
Una donna inciampa e ride sguaiata
il venditore di crêpes
fa il gruzzolo settimanale. Ma alle 17
i lampioni.
Il padre grida: «Tiago, è tardi!
Io me ne vado e ti lascio qui!».
Sa che presto
l’ombra sarà troppo forte
il parco si volterà dall’altra parte
un’onda sommergerà ogni cosa
e l’ostrica chiuderà la bocca sulla perla.

 

Inedito

Piero Toto


esilio

Chiedimi dell’ombra
disertata alla radice degli ulivi
così stanchi di quest’afa
mai sospetta. Detesto
della terra i rumori impolverati
il disordine dei vivi
la tua voce sminuzzata
dalla patria-lembo
che mai brucia.
Nell’arsura dei tuoi occhi
sono goccia dissoluta
il non-ritorno.
Con quale leggerezza
ci rimarremo accanto
nella sacralità del dubbio.

Inedito

Luca Alvino


Come potrebbe non avere amore

Secondo me la Chiesa si è sbagliata
dicendo che chi si toglie la vita
compie un peccato senza via d’uscita,
che la sua anima sarà dannata.

Quell’anima si è troppo disperata,
e non potrà di nuovo esser punita
anche dopo la triste dipartita:
dovrà per forza esser perdonata.

Di certo sarà accolta dal Signore
pietoso, con le braccia spalancate,
e finalmente avrà consolazione.

Come potrebbe non avere amore
dopo le sofferenze illimitate,
le lacrime, l’angoscia, la passione.

Inedito

Bruce Hunter

BELLO AND THE RED UMBRELLA

At the Galleria dell’Accademia in Firenze,
a solitary old man with rheumy eyes
tilts toward Michelangelo’s David,
who the guide with his red umbrella tells,
is always viewed from below
and at a distance. The stretched marble limbs,
rippled sinew, tragically beautiful muscles.
Eyes the colour of storms
but each faces a different direction.
And at 17 feet, David is a Goliath.

To a bench I go, marvelling the old man
watching David. My legs tire easily now.
No longer immune to gravity.
Our bodies spool around our hips.
Some think bellezza or beauty left us long ago.
Perhaps, but not the need for allure or desire.

David, his V-ed torso, for five centuries now,
ascending always into the light above us.
His arm repaired, broken once by something
tossed from a balcony, the guide said.
Looks good for his age, someone quips
The crowd snickers. For we are at an age –

we follow red umbrellas through crowds.
We too have been mended, once or twice.
And know there is bellezza too,
in the old man’s gratitude, and ours.
I’m taken by him more than David, I’m afraid.
We may be old but not our desire or humility.

Such beauty in our awestruck little crowd,
and all that all we imagine
at David’s delicate marble feet.
Giovane bellezza in un corpo antico
– young beauty in an ancient body.

BELLO E L’OMBRELLO ROSSO

Alla Galleria dell’Accademia di Firenze,
un vecchio solitario con gli occhi arrossati
si piega verso il David di Michelangelo,
che, racconta la guida con l’ombrello rosso,
si vede sempre dal basso
e a distanza. Le membra di marmo tese,
tendini increspati, muscoli tragicamente belli.
Occhi del colore delle tempeste
ma ognuno rivolto in una direzione diversa.
E da cinque metri, David è un Golia.

Siedo su una panchina, meravigliato dal vecchio
che osserva il David. Le mie gambe si stancano facilmente ora.
Non più immune alla gravità.
I nostri corpi avvolti intorno ai fianchi.
Alcuni pensano che la bellezza o beauty
ci abbia lasciato molto tempo fa.
Può essere, ma non il bisogno di fascino o desiderio.

David, il suo busto a V, ormai da cinque secoli,
ascende sempre nella luce sopra a noi.
Il suo braccio riparato, rotto una volta da qualcosa
lanciato da un balcone, disse la guida.
Sembra in gamba per la sua età, scherza qualcuno
La folla ridacchia. Perché abbiamo un’età –

seguiamo ombrelli rossi tra la folla.
Anche noi siamo stati riparati, un paio di volte.
E sappiamo che c’è anche la bellezza,
nella gratitudine del vecchio, e nella nostra.
Sono preso più da lui che dal David, temo.
Possiamo essere vecchi ma non il nostro desiderio o umiltà.

Tale bellezza nel nostro gruppetto sbalordito,
e tutto ciò che immaginiamo
ai delicati piedi di marmo di David.
Young beauty in an ancient body
– giovane bellezza in un corpo antico.

Traduzione dell’autore con la collaborazione di Sandro Pecchiari

Manuela Giasi


Shake your feelings

Pesca, gancio,
scendi più che puoi.
Lenza, calati nel pozzo,
nell’abisso che non sai di avere.
Raccogli lo stacco netto della fine,
il taglio preciso della conclusione,
la triste nenia dell’addio.
Pescali dentro di me
con aghi ed ami aguzzi,
come pesci argentei.
Usa reti e canne e uncini
per raccattarli su,
tirarli fuori all’aria
e poi rigettarli dentro me
più aperti e sciolti, meno spaventosi,
perché dovranno farmi compagnia.
La desolazione nitida del vuoto
che si apre e andrà riempito
con pazienza, e con una mano che ripete
silenziosa gesti conosciuti e lisci
come stoffe che ti confortano la sera.
Sapere che ti abituerai,
e che non sarà poi male questo giorno.
E nonostante la rabbia e la distanza,
e la delusione che ti si è insinuata dentro
come acqua stagnante in una crepa,
producendo umido e perdendo gocce
dal soffitto,
qualcosa collassa e ti si rompe dentro
malgrado la durezza
che eri convinta fosse tua
come il fazzoletto nella borsa.
Anni, decenni ed angoli,
volti, vestiti e nomi e muri
che scompariranno nel passato
contro la tua volontà,
più forti, freddi, pietrosi e indifferenti
alla tua apparente, e finta, indifferenza.

Inedito