Carla Saracino

saracino

Riuscire a intendere nel neon
d’una vetrina di oggetti kitsch
il simulacro delle proprie idee
e costruirlo sommamente lì,
nell’astuzia d’un semi–commercio.

Sentire che in una sera tutte le altre
non è il passato che le richiama
ma il presente.

Avere come esempio la pagina
nei suoi universi per idolatri
scorrere l’indice sul tratto nero
e fiutare del segno il mantello
che piantò una mano materna
nell’orto della fine dell’infanzia.

Non saper decidere se vivere di
stenti o morire per la fame. E in tutto
questo, far passare della vita
il primo capoverso su un rigo contrario.

Finire sconsideratamente a cenare
in un paese.

 

Il chiarore (LietoColle, 2013)