Maria Grazia Calandrone

Ma il mio amore non smette

Non toccarmi, non sono questa cenere
né la salvezza
della carne viva
non la rosa
ma il canto
di una cosa.

Non toccarmi, non sento più dolore
dell’oggetto composto in tutti i sensi
da superfici: strati
di bianco
fino nel buio della profondità, steli d’aria
dal cuore che è
statue in elevazione
uno stato di cose senza sguardo.

Non toccarmi, non ho più intelligenza
dell’albero che ciecamente frutta.
Ho sentito qualcosa che sovrastava.
Ho sentito che siamo incorruttibili.
Ecco allora i bambini
monumenti alla gioia
del corpo quando è forte
più del dolore, monumenti su coppe di silenzio
e un rumore di botole su lastre bianche.

Non toccarmi, sono la pietra bianca
e l’animale sotto la sua luce senza oggetto
e la parte profonda del cielo come una tunica di rovi
e il ruotare dei rovi.
Sotto il sasso c’è un rivolo di sangue, un insetto
senza speranza
e senza dolore
ma il suo canto si spegnerà per ultimo.

Non toccarmi, ho sognato che in cielo
ruotavano i pianeti e io tra quelli
portavo il cuore
esposto, perché la terra è piccola per il dolore
ma qualcosa perdeva sangue, ancora.

 

Il bene morale (Crocetti, 2017)

© Foto di Dino Ignani

Maria Grazia Calandrone


come sono operose le creature,
con che attenzione passano i pennelli
sulle assi di legno

eppure sanno di dover morire

ma ora
fanno
e facendo
dimenticano

e sono dèi davvero, veramente immortali, in questa svolta di sole sulla prima verdissima erba di aprile
questi quattro ragazzi col pennello e l’odore di fresco e di vernice,
la birra nella tasca dei calzoni, il berretto a sghimbescio e il sorriso che dice io sono vivo, io in questo momento

sono vivo per sempre

 

Roma, 4 aprile 2016

 

© Inedito da Il bene morale (in uscita per Crocetti)

© Foto di Dino Ignani

Maria Grazia Calandrone

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Pietà! per la rigidità dell’assassino
per l’avversario in tutta la sua gloria
Pietà! per l’evidenza della sua luce
su una pala d’altare lorda di sangue
con i simboli a lato di stupro
e crocefissione: Pietà!
per la malinconia da baraccone, per quell’immaginario
sovraesposto, per la nudità
tirata alla sua estrema conseguenza: per il massacro,
per questo insopportabile e meraviglioso
male.

 

© Inedito di Maria Grazia Calandrone da Il bene morale

Maria Grazia Calandrone

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Elevazione della vittima nel suo fiore finale

Osserva la struttura di lei che sboccia
andando per una sola volta da radice a fiore
e dice io non capisco il tempo ma ora so
quanto sia duro e definitivo il fiorire
e dice: io ti porto
come si porta uno stendardo finale
e dice: io vedo
come negli spalancamenti tu non somigli
a niente, nemmeno a quello
che tornava da me
con un capo di sangue
e tornava lo spreco della sua bocca
che era stata formata
per essere sprecata
nei lamenti d’amore
e il misero splendente occhio lo diffondeva
come una partitura senza dolore
e dice: adesso
fai del mio biancore quello che vuoi,
lascia che tutto il dilapidarsi
della mia compassione sia ristretto in un’unica stanza di pietra serena
sotto la gloriosa ingiuria del sole, lascia che io mi paragoni
al tuo essere illeso
e mi trovi per ciò come una selce piatta
e scavata da un astro polare,
lascia che io contenga i filamenti
con una segretezza reale
e lascia che la consistenza del mio corpo sfumi
in un vociare di capre e di mufloni e salga
fra le alte stelle erose
con la faccia colata nel bronzo come un giacinto d’acqua, un’isola
del ferro, di carbonio e di rose
dure come proiettili,
lascia che il sasso esprima le sue voci umane,
lascia che il graffio sulla pietra torni
a urlare al predatore e alla sua ombra sulla superficie della terra: lasciami!
vivere, lascia il mio sangue
vivere, lasciami immersa
con boccioli di sangue senza dogma
nell’impassibile nudità del mare,
lasciami dove siamo cominciati
e nel nostro fine: il rumore di acqua sull’acciaio
che sono stata, niente
di più leggero,
fai che i miei resti siano i tuoi strumenti di salvezza.

 

© Inedito di Maria Grazia Calandrone da Il bene morale