Eugenio Montale


Il primo gennaio

So che si può vivere
non esistendo,
emersi da una quinta, da un fondale,
da un fuori che non c’è se mai nessuno
l’ha veduto.
So che si può esistere
non vivendo,
con radici strappate da ogni vento
se anche non muove foglia e non un soffio increspa
l’acqua su cui s’affaccia il tuo salone.
So che non c’è magia
di filtro o d’infusione
che possano spiegare come di te s’azzufino
dita e capelli, come il tuo riso esploda
nel suo ringraziamento
al minuscolo dio a cui ti affidi,
d’ora in ora diverso, e ne diffidi.
So che mai ti sei posta
il come – il dove – il perché,
pigramente rassegnata al non importa,
al non so quando o quanto, assorta in un oscuro
germinale di larve e arborescenze.
So che quello che afferri,
oggetto o mano, penna o portacenere,
brucia e non se n’accorge,
né te n’avvedi tu animale innocente
inconsapevole
di essere un perno e uno sfacelo, un’ombra
e una sostanza, un raggio che si oscura.
So che si può vivere
nel fuochetto di paglia dell’emulazione
senza che dalla tua fronte dispaia il segno timbrato
da Chi volle tu fossi…e se ne pentì.
Ora,
uscita sul terrazzo, annaffi i fiori, scuoti
lo scheletro dell’albero di Natale,
ti accompagna in sordina il mangianastri,
torni indietro, allo specchio ti dispiaci,
ti getti a terra, con lo straccio scrosti
dal pavimento le orme degli intrusi.
Erano tanti e il più impresentabile
di tutti perché gli altri almeno parlano,
io, a bocca chiusa.

 

Tutte le poesie (Mondadori, 1996)

Vittorio Sereni


Gli squali

Di noi che cosa fugge sul filo della corrente?
Oh, di noi una storia che non ebbe un seguito
stracci di luce, smorti volti, sperse
lampàre che un attimo ravviva
e lo sbrecciato cappello di paglia
che questa ultima estate ci abbandona.
Le nostre estati, lo vedi,
memoria che ancora hai desideri:
in te l’arco si tende dalla marina
ma non vola la punta più al mio cuore.
Odi nel mezzo sonno l’eguale
veglia del mare e dietro quella
certe voci di festa.

E presto delusi dalla preda
gli squali che laggiù solcano il golfo
presto tra loro si faranno a brani.

 

Tutte le poesie (Mondadori, 1995)

Seamus Heaney


Roof it again. Batten down. Dig in.
Drink out of tin. Know the scullery cold,
A latch, a door-bar, forged tongs and a grate.

Touch the crossbeam, drive iron in a wall,
Hang a line to verify the plumb
From lintel, coping-stone and chimney-breast.

Relocate the bedrock in the threshold.
Take squarings from the recessed gable pane.
Make your study the unregarded floor.

Sink every impulse like a bolt. Secure
The bastion of sensation. Do not waver
Into language. Do not waver in it.

 

*

 

Rimetti il tetto. Chiudi tutto. Trincerati.
Bevi da tazze di stagno. Sperimenta
il freddo della dispensa, saliscendi, spranga,

molle forgiate, grata. Tocca il trave,
batti ferro nel muro, tendi il filo
per controllare se architrave, cappa,

cimassa sono a piombo. Risistema
la pietra della soglia. Scruta e squadra dal finestrino
sul fianco della casa. Concentrati sul pavimento trascurato.

Affonda ogni impulso come un bullone. Fortifica
il baluardo della sensazione. Non entrare nella lingua
per incertezza. Non esitare quando ci sei dentro.

 

Poesie (Mondadori, 2016), a cura di M. Sonzogni

Giuseppe Ungaretti

ungaretti
Natale

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare.

 

Vita d’un uomo. Tutte le poesie (Mondadori, 2009)

 

Post originale del 24 dicembre 2016

Yves Bonnefoy


Désir se fit Amour par ses voies nocturnes
Dans le chagrin des siècles; et par beauté
Comprise, par limite acceptée, par mémoire
Amour, le temps, porte l’enfant, qui est le signe.

Et en nous et de nous, qui demeurons
Si obscurs l’un à l’autre, ce qui est
La faute mais fatale, la parole
Étant inachevée comme l’être encor

Que sa joie prenne forme: pour retenir
L’eau dans sa coupe fugitive; pour refléter
Le feu, qui est le rien; pour faire don
D’au moins l’idée du sens — à la lumière.

 

*

 

Desiderio divenne Amore
Lungo le sue strade notturne
Nella mestizia dei secoli; e per la bellezza
Compresa, per il limite accolto, per la memoria,
Amore, il tempo, reca l’infante, − il segno.

E in noi e di noi, che ancora siamo
Oscuri tanto l’uno all’altra, e questo,
Ma fatale, è il peccato, essendo il dire
Sempre incompiuto non meno dell’essere,

La gioia prenda forma: a trattenere
L’acqua nell’effimera sua coppa; per riflettervi
Quel niente, che è il fuoco; per offrire
L’idea, almeno, del senso − a quella luce.

 

L’opera poetica (Mondadori, 2010), a cura di F. Scotto