Maria Grazia Calandrone

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Niente come le mani
parla Rosa Della Corte, incriminata dell’uccisione del fidanzato Salvatore Pollasto

 

Vidi dalla sua macchina la sua mano come la conoscevo – ma bianca
di vita vegetale.
Vidi il suo ultimo saluto alla terra. Contemporaneamente
vidi nei voli di quel primo mattino la tortuosa pazienza di una natura che non era stata montata
osso su osso per essere leggera, eppure
ha compreso il cielo.

Dopo, lui – la sua fascia di chiarore.
Dopo, lui – mero impasto di midolla.
La radiazione nera del suo corpo – il gorgo
del suo corpo – infettava l’aria
cristallina di aprile.

Ora sono una cupa necessità di ordine.
Ho riordinato tutti gli eventi materiali allo scopo di ritornare sola.
Cado nella mia festa. E il mondo è curvo sotto la pressione.

Come lasciano in sosta le giostre
hanno lasciato te, cosa che pure sembra respirare
davanti al mare e in me
ha iniziato a formare lacune
dalla mano, la stessa – ma bianca:
un ponte vuoto tra l’apparenza del mio corpo
(perché non è più vero che io viva) e te, che sei stato anzitempo
terminato. Ma c’è un niente premuto sul tuo volto
e questo niente sono le mie mani.

 

Roma, 8 ottobre 2009

 

Gli scomparsi (LietoColle, 2016)

Maria Grazia Calandrone

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I muschi pavimentano le primavere

Era buio, quella sera – un buio
molto lento e tranquillo – dal quale apparve
la vecchia con lo scialle e la lunga gonna
nera. Disse se vuoi salvare
la tua bambina, lasciala digiuna
tutto il giorno, e la notte le devi
solamente parlare
della grande distanza del paradiso.

Di lei mi resta
il lapsus sulla lingua tra figlia e vita mia.

 

© Inedito da Gli scomparsi

© Foto di Dino Ignani

Maria Grazia Calandrone

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Lo scheletro del ponte

La rimozione delle spoglie gialle degli insetti e del grano da parte del vento (una mole
di vento) che si arrotola e scioglie lungo la scarmigliata verticale
dell’abete, corre sotto i ventricoli dell’albero – contro
la resistenza metallica del cielo in panne nel sole
che si carica (con sfacciata irruenza) di argini e miele di questo mondo dove la bragia dell’oriente ha un rigonfiamento atomico
andando verso il quartiere di ferro degli sfasciacarrozze.

Cose che fanno respirare. La magnitudine. Lontana
dalla serrata riservatezza della cosa – cose
per metà vere che rincrescono.
La fermata improvvisa del cuore nell’opera ciclopica (nell’astratto ricalco) dell’amplesso.

Le conseguenze e i mezzi della scomparsa: polvere
ossea nel materiale di risulta edile. L’occhio
numerico [mimetico e malinconico di K.] si volta e viene a galla
un’erba
smidollata e oleosa: i lineamenti spaziotemporali della gazzella in fiore, l’uomo che ieri
avanzava disarmato e immemorabile – trovava posto
nel contagioso zelo del cantiere
e tutto ciò che aveva nelle mani era bufera
di baci, era perduto.

 

© Inedito da Gli scomparsi, storie da “Chi l’ha visto”
Foto di Dino Ignani

Maria Grazia Calandrone

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Dato che neppure in sogno ho avuto il coraggio di dichiararmi a lei

Fare e disfare insieme. Sono
una foglia caduta ai tuoi piedi, gelsomini
e armenti, sono il tuo antefatto contadino, il tuo risplendere pomeridiano – etica
senza curve, l’angolatura del mare nello sguardo.

Fosse stato per me, restavo
zitta. O avrei parlato per travestimenti. Invece quasi credo
che dietro quella porta ci sia lei
– suscitata da un vento senza pace.

Verso l’alba mi viene così realisticamente vicina
con le sue mani appena posate
sulle ciglia. Seguo il cortometraggio dei suoi passi amati
per millecinquecento notti (c’è sempre una luce accesa
nel cantiere) sul moto radicale della terra (due cavalle
cercano il fischio dell’allevatore
in una zona della mia vita). Lastre
di fienagione, la calma scura all’orlo dei frantoi. Adesso
ha di nuovo bisogno di nominarmi come una dolce proliferazione di muschi.

 

© Inedito di Maria Grazia Calandrone da Gli scomparsi (storie da “Chi l’ha visto”)