Autoscatto
I papiri curvano la luce del pomeriggio,
fanno come un muro all’orizzonte.
Un albero pare buchi l’acqua
salendo dalle profondità sommerse.
A lato una rana è colta nell’atto
di saltare in uno spazio ignoto – più in là
una biscia si confonde nel giuncheto.
Non si vedono ma riempiono l’aria
le cicale, i grilli – questa generazione
invisibile spuntata dalla corteccia.
Poco a destra, un lembo di terra nera
trasuda ancora un fumo vegetale.
E poi riflessi moltiplicati, nuvole cresciute
dentro l’acqua – un silenzio sparpagliato
sull’erba come dopo una fuga.
Eppure la fotografia non rende
giustizia. Nulla dice di me in quel momento
sprofondata nello stagno, smarrita
dentro la prospettiva – per essere
andata in cerca di una me scivolata
nel fondale – una me attonita, conchiglia.
Io già anfibia, frammista
alle rocce, ai verdognoli girini,
alla sera minerale addensata sulla nuca.
Io così incastrata nel paesaggio
da apparire indistinguibile – annidata
nel respiro delle creature marine,
nel gesto di una gioia incompiuta
– io afferrata dalle caviglie, io di nuovo umana
quel giorno a me stessa
a me solo sopravvissuta.
Inedito