
Snapshot of Hippo with Bananas
for Dennis Linder
He said often he always loved teaching,
loved, in fact, young things (nothing untoward
you understand), their bare tanned arms,
the social gradations of their pens and sneakers . . .
And he thought, rightly, that they loved him back.
“When I was at the asclepeion,” he would say,
“in Kos, a student like yourselves…” and before long
the whole class, seeing it coming, would chant as one:
“in Kos, a student like ourselves”, and he was chuffed
at the warmth behind the mockery. Which of us
is not, in old age, a parody of himself?
And who does not believe the hippo a benign
creature? His best draughtswoman, a decade ago,
made a picture of the ‘potamus astride a tor
of banana crates (such as you might find
discarded behind the market at noon),
which was pinned ever after over the door.
“Do pachyderms eat plantains?” He was always
trying to push back the limits of knowledge.
His one fear was, paradoxically, that
he had done too well, not for himself – fame
in fickle times is a passport of sorts –
but for them. They hung on his words so,
refused to query, to challenge. He imagined
his star pupil, a lifetime on, giving the same
identical lecture: “When I was at the asclepeion,
in Larissa, with Hippocrates, a student like
yourselves…”, and all the big questions
still unanswered: Where does the soul reside?
Do hippos eat bananas? Is the blood a tide?
*
Istantanea di ippopotamo con banane
per Dennis Linder
Lo diceva spesso lui che amava insegnare,
amava, infatti, i giovanotti (niente di sconveniente
intendiamoci), quelle braccia nude abbronzate,
gli indicatori sociali delle loro penne e delle sneakers…
E pensava, giustamente, che anche loro lo amassero.
“Quando ero all’asclepeion,” diceva,
“a Kos, uno studente come voi…” e poco dopo
tutta la classe, anticipando il resto, avrebbe cantilenato:
“a Kos, uno studente come noi”, e lui era arcicontento
dell’affetto dietro alla presa in giro. Chi di noi
non è, da vecchio, una parodia di sé stesso?
E chi non crede che l’ippo sia una creatura
benevola? La sua disegnatrice più brava, diec’anni fa,
aveva ritratto un ippopotamo a cavallo di una pila
di casse di banane (come quelle che trovi
abbandonate dietro al mercato a mezzogiorno),
che da allora era rimasto inchiodato sopra la porta.
“I pachidermi mangiano banane?” Cercava sempre
di estendere i limiti della conoscenza, lui.
La sua unica paura era, paradossalmente, di
esser stato fin troppo bravo, non per sé – la fama
in tempi incerti è una forma di passaporto –
ma per loro. Pendevano troppo dalle sue labbra,
si rifiutavano di metterlo in discussione, di contestarlo.
Immaginava il suo alunno migliore, decenni dopo, fare
la stessa identica lezione: “Quando ero all’asclepeion,
a Larissa, con Ippocrate, uno studente come
voi…”, e tutte quelle belle domande
ancora senza risposta: Dove risiede l’anima?
Gli ippopotami mangiano banane?
Il sangue è una marea?
Istantanea di ippopotamo con banane (Interno Poesia, 2019), cura e traduzione di Giorgia Sensi