
Ph. G. Leone
Ecco declina già l’anno di nuovo,
ma l’ombra dietro i vetri che si spia
ancora sazi, ancora ingordi ci ritrova
del suo cibo di mala follia.
Diluvi corrono come coltelli
per ogni viottolo del sangue triste:
ah brama buia, perduti duelli,
tentazione di non esistere!
Possederti mi è dunque terrore,
e quando madida e dolce sul fianco
piangendo mi manchi, nel cuore
un vento ascolto battere stanco.
Coi capelli avvinti e le bocche funeste
come non serve contro la sorte
ogni sera cercare questa celeste
catastrofe che simula la morte.
Come non serve affondare la faccia
sul tuo petto di diafana pietra,
ora che già il predone fiutò la nostra traccia
e i suoi cani ci latrano dietro.
L’amaro miele (Einaudi, 1989)