Franco Marcoaldi


Le cicale e il grido del cielo

Sei la colonna sonora dell’estate
però non ti ho mai vista in faccia.
Pratichi il mimetismo e se qualcuno
si avvicina al tuo ricovero
taci di colpo, per sottrargli traccia.
Il tuo rumore è rauco, lento,
cadenzato; quasi raspassi il sole
in un giorno ideale da bucato.
Ché appena arriva l’ombra
il tuo tamburo ammutolisce,
le lamine vibranti giacciono inerti:
il paesaggio non respira più,
grido del cielo che svanisce.

Quella sgradita sinfonia
che sgorgava dalla terra screpolata
martellando il cervello
nell’ora più accaldata,
ora mi manca. Il tuo silenzio
pare un avvertimento:
l’ombra ha trionfato sulla luce
e si riaffaccia lo sgomento.

Animali in versi (Einaudi, 2016)

Ph. Dino Ignani

Franco Marcoaldi


VII

Voglio l’oceano che non ha memoria,
non voglio più la storia, visto
che tutto il tempo è eterno
tempo del presente, mentre
il vuoto, sempre più vuoto,
si riversa dove tutto è vuoto.

E scavo e scavo e scavo
e il vuoto si fa più vuoto ancora,
s’ingrossa il buco, di secondo
in secondo, di minuto
in minuto, di ora in ora.

Così, cosa ci resta? Ci restano
le piccole ossessioni. Sono
quelle a puntellare tante giornate
amare, mentre nelle grandi arcate
di ferro cedono le viti
si arrugginiscono le travi,
non tengono i bulloni.

Il mio tormento del momento?
Le condizioni del mio cuore.
Come sta? Va meglio?
Batte ancora? È scompensato?
E se sì, quanto? Dimmi la verità.

Tu parli sempre di ultime
questioni, ma qui a tenere banco
sono i tic, sono le fissazioni.
Che vanno e vengono. Occupano
tutto il campo e poi scompaiono.

Per un corpo da curare, c’è una pancia
da riempire. Certo, fa bene camminare,
ma diciamola tutta: com’è bello poltrire.

Notizie per informarsi,
notizie per stordirsi.

Fumare o non fumare?
Smettere, ricominciare.

È sufficiente distrarsi (ancora)
col crudo verso di cornacchia
(cra cra cra) e dai tarli
fisici e mentali si passa
al magro conto in banca,
al cinghiale (è il turno suo
stavolta) nascosto nella macchia.

È una tortura persistente,
sottile, che si spera di spegnere
in una quiete termale:
massaggi, docce, inalazioni,
fanghi – salutistico
ritorno nei ranghi.

…Meaning and moaning – oltre a tutto
il resto, tu mi hai insegnato
pure questo terribile gioco di parole,
senso e lamento, un’endiadi
involontaria che apre allo sgomento:
cerchiamo un varco, una ragione,
per l’appunto un senso,
ma sprofondiamo poi in un malessere
insidioso che procura il pianto.

E proprio non c’è da menar vanto
a vivere in un mondo
che non conosce vie d’uscita –
cominciare a giocare sapendo
che hai già perso la partita.

Per questo voglio l’oceano
che non ha memoria
e non voglio più la storia.

Se storia poi è questa
mediocrissima vicenda
in cui siamo impigliati.
Una frivola bufera incapace
perfino di dare sepoltura
agli annegati.

 

Quinta stagione. Monologo drammatico (Giulio Einaudi editore, 2020)

Franco Marcoaldi

Il peggior veleno

In sogno ho incontrato un vecchio
saggio al quale ho domandato:
“Sapresti dirmi, tra tanti
sentimenti, quello che più di ogni
altro avvelena l’esistenza?”
“Ahimé, lo spettro è ampio. Però
dovendo scegliere, per quanto
ti riguarda, direi l’ambivalenza”.

 

Il tempo ormai breve (Einaudi, 2008)

Foto di Dino Ignani

Franco Marcoaldi


Combattere è virile
dispiega la potenza
e fa sentire vivi.
Ritrarsi porta pace, e bene,
sgombrando il campo
da inutili tossine.
Combattere scatena mille
e mille desideri – ritrarsi,
invece, quei desideri
elude, smorza, cancella.
Combattere stimola, agita,
smuove e rimuove, sporca.
Ritrarsi ama l’immunitas,
perciò chiude finestre e porta.

Combattere o ritirarsi?
Combattere o scomparire?
Inutile cercare un’univoca risposta:
da bravi pendolari,
su treni traballanti,
andiamo avanti e indietro – senza sosta.

 

Tutto qui (Einaudi, 2017)