Francesco Vasarri


Le case crolleranno, si è dimezzato
nel bianco l’Oltrarno e in sovrapposte
immagini trascorre per la brina
la figura. Non avendo mercato
da comprarvi o da spendervi lo stipendio di grazia
me la tengo per me, mi ci trastullo in cadavere:

fioccano i tuoi bei dentini da tutte le parti,
lo scrigno di Ligeia si è aperto e non posso
con l’icona di quella martoriata
bocca sdarmi nel sangue della neve.

[E quanto dura la neve, quanto dura Pistoia,
quanto ancora sul tasto ribattendo Sokolov
porterà la memoria di te a sognarsi ancora non nata.
Dentro la vita morbida ci si gettava il seme
del futuro, ma nulla funzionava. Nell’atteso
meccanismo inceppavano gli umori finali.
Quando hanno detto nevica ho guardato la neve
e con la mano affondavi nel linimento del bianco, ti ho
gettato una corda di parolette sottili, ma l’ho
mancata di poco la tua mano vermiglia, la
tensione cresceva, ti si spaccavano i pori.

Ma le città quanto durano, quanto
dura il nevaio, dalla finestra lo vedo
e mi ripete che è morto, che non si
sveglia la crepa, che qui
nessuno ti sgela.]

 

Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90. Vol. 1 (Interno Poesia Editore, 2019)

Francesco Vasarri


Erano quindi (ormai è chiaro) larve,
erano quelle. Bianche, indisponibile
lavorìo delle zanne, di mandibole.

Ora nel bolo pallido sarebbe
sangue e inchiostro e il momento
per qualche aggiornamento intorno al teschio,

per una deviazione attorno al teschio.
Perché, pur troppo avide di carne
queste larve, le pavide,
non sono brave a masticarlo
il tempo.

 

Don Giovanni all’ossario (Anterem, 2016)