Billy Collins

Ph. Gregg Matthews for The New York Times

Winter Syntax

A sentence starts out like a lone traveler
heading into a blizzard at midnight,
tilting into the wind, one arm shielding his face,
the tails of his thin coat flapping behind him.

There are easier ways of making sense,
the connoisseurship of gesture, for example.
You hold a girl’s face in your hands like a vase.
You lift a gun from the glove compartment
and toss it out the window into the desert heat.
These cool moments are blazing with silence.

The full moon makes sense. When a cloud crosses it
it becomes as eloquent as a bicycle leaning
outside a drugstore or a dog who sleeps all afternoon
in a corner of the couch.

Bare branches in winter are a form of writing.
The unclothed body is autobiography.
Every lake is a vowel, every island a noun.

But the traveler persists in his misery,
struggling all night through the deepening snow,
leaving a faint alphabet of bootprints
on the white hills and the white floors of valleys,
a message for field mice and passing crows.

At dawn he will spot the vine of smoke
rising from your chimney, and when he stands
before you shivering, draped in sparkling frost,
a smile will appear in the beard of icicles,
and the man will express a complete thought.

 

Sintassi d’inverno

Una frase parte come un viaggiatore solitario
che va verso una tormenta di neve a mezzanotte,
e lotta contro il vento, un braccio a schermare il volto
e i lembi del cappotto leggero che sbattono dietro di lui.

Ci sono modi più semplici per costruire senso,
la conoscenza dei gesti, per esempio.
Si tiene il volto di una ragazza fra le mani come un vaso.
Si prende una pistola dal cruscotto dell’auto
e la si getta dal finestrino nella calura del deserto.
Questi freddi momenti risplendono di silenzio.

La luna piena ha senso. Quando una nuvola le passa davanti
diventa eloquente quanto una bicicletta appoggiata
a una farmacia o un cane che dorme tutto il pomeriggio
in un angolo del divano.

I rami spogli d’inverno sono una forma di scrittura.
Il corpo svestito è un’autobiografia.
Ogni lago è una vocale, ogni isola un nome.

Ma il viaggiatore insiste nella sua fatica,
lotta per tutta la notte nella neve sempre più alta,
lascia un tenue alfabeto di orme
sulle bianche colline sui piani bianchi delle valli,
un messaggio ai topi di campagna e ai corvi di passaggio.

All’alba vedrà il rampicante di fumo
alzarsi dal tuo camino, e quando tremante
sarà davanti a te, rivestito di gelo che brilla,
fra la sua barba di ghiaccioli comparirà un sorriso,
e l’uomo esprimerà un pensiero compiuto.

 

A vela in solitaria intorno alla stanza (Fazi, 2013), trad. it. F. Nasi

Claudio Damiani


L’essere è, e tu sei con lui.
Sei tutt’uno con il cielo, con la terra, le piante,
sei tutt’uno con le macchine anche
e coi neutrini spersi nell’etere,
sei tutt’uno con gli altri uomini anche,
anche con i peggiori nemici,
sei tutt’uno con quelli che odi,
in verità li ami, e non lo sai.
Guarda il cielo come si china sopra di te
e ti accarezza. Guarda l’aria
come ti bacia le guance
e le donne più belle, guarda come ti desiderano
senza saperlo, ognuna di loro
ti vorrebbe sposare e baciare per tutto il tempo
della sua vita e stare sempre con te.

Prima di nascere (Fazi, 2022)

Valentino Zeichen


Come dirti ancora amore mio,
mia, mio, adesso
che gli aggettivi possessivi
sono istruiti di dubbi, svogliati
e disaffezionati alla proprietà
abbandonano la guardia e disertano
lasciando sguarniti i beni privati,
concedendosi solo al plurale.

Le poesie più belle (Fazi, 2017)

Foto di Dino Ignani

Billy Collins

Aubade

Se vivessi nella casa di fronte a me
e fossi seduto al buio
sul bordo del letto
alle cinque del mattino,

mi potrei chiedere che cosa ci fa
la luce accesa nel mio studio a quest’ora,
eppure eccomi alla mia scrivania
nel mio studio a chiedermi la stessa identica cosa.

So che non dovevo alzarmi così presto
per aprire con un coltellino
i pacchi di giornali all’edicola
come potrebbe pensare l’uomo della casa di fronte.

È ovvio che non sono un agricoltore o un lattaio.
E non sono l’uomo della casa di fronte
che siede al buio perché sonno
è sua madre e lui uno dei suoi tanti orfani.

Forse sono sveglio solo per ascoltare
il tenue stridulo tintinnio,
del tungsteno nell’unica lampadina
che ha lo stesso suono del fruscio degli alberi.

O il mio compito è solo quello di stare seduto immobile
come il bicchiere d’acqua sul comodino
dell’uomo della casa di fronte,
immobile con la fotografia di mia moglie in cornice?

Ma ecco il primo uccello che consegna il suo canto,
ed ecco il motivo del mio essere in piedi:
per catturare la canzone di tre note di quell’uccello
e aspettare ora assieme a lui una risposta.

 

Balistica (Fazi, 2011)

Valentino Zeichen


Giovedì 24 febbraio

Chi sarei?
Un estraneo a me stesso
che è diventato poeta
senza avere basi letterarie.
Questo io mi costringe
a scrivere versi
pur essendo senza arte né parte.
Io volevo diventare altro;
stabilirmi in un territorio
di modeste ambizioni.
A cosa serve, adesso,
ribellarsi a un destino
che ha divorato gran parte
della mia vita?

 

Diario 2000 . Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio (Fazi, 2019)

Foto di Dino Ignani

Valentino Zeichen


Lunedì 1° novembre

Se non fossi un fottuto moralista
scriverei da ebbro
invece scrivo da sobrio
e la spia ne è l’esito noioso.
Pranzo in solitudine
e mi soffermo su
un dolore ignoto.
Bevo vino rosso
sulla carne rossa
come un macellaio.
Siccome m’ubriaco
ci metto tanto
anche a scrivere
una mediocre poesia.

 

Diario 1999 (Fazi, 2018)

Foto di Dino Ignani

Claudio Damiani


E questo canto, amore mio, di cicale
sotto il sole di luglio, in una campagna italiana,
cielo azzurro e poche nuvole, piccole,
odore forte di rosmarino e ginestre
e questo canto pazzo che non si ferma
nell’aria bianca bruciata
e noi, io e te, sotto questi pini
alziamo i calici e brindiamo, silenziosi,
tu vestita come una dea, con lunghe ciocche annodate
e perle tra i capelli,
là sulla collina il nostro capanno di legno
e giù lo scoglio dove passo tutte le notti
a piangere guardando il mare.

 

Cieli celesti (Fazi, 2016)

© Foto di Dino Ignani

Cesarina Vighy


Per Alice che si sposa

Mia scontrosa, mia feroce colomba
qualche parola in questo giorno strano
di lacrime, di baci, di allegria,
questo giorno di nervi, di rimorsi.
La tua teatrale madre che ti teme,
che sbaglia le misure dell’amore
come ha sbagliato il suo vestito nuovo,
vuole, vorrebbe, avrebbe voluto
per una volta almeno non mancare
l’appuntamento con te, con il tuo cuore.
Ma è sempre (luogo comune, luogo di
verità) troppo presto o troppo tardi.
Accetta allora un dono di speranza:
mia selvatica rosa, sii felice.

(1994)

 

L’ultima estate e altri scritti (Fazi, 2017)

 

Valentino Zeichen


Il nome rimosso

Ho volutamente confuso le tue iniziali
nell’impasto di molti nomi
ma il lievito della memoria
le evidenzia in una sigla
che ancora mi abbaglia.

Dell’infanzia sopravvive uno scenario di guerra,
in un suo rifugio ho sotterrato
il mio amore per te
temendo che venisse distrutto
ma stento a riconoscerne il mascheramento.

Quando altri ti nominano in mia presenza
mostro un’indifferenza minerale
e mi fingo altrove
simile a un vaso dalla crepa girata
verso il vuoto oltre la finestra.

Al poligono d’addestramento
non miro più alla sagoma romantica
che di spalle mi ti ricorda.
Non mi è concesso di rivelare a chi appartengo
pur avendo sempre il tuo nome
sulla punta della lingua
come un colpo in canna
puntato all’altezza del cuore e
non comprendo perché mi manchi sempre
nonostante il ripetuto segnale di: “fuoco!”

 

Le poesie più belle (Fazi, 2017)

© foto di Dino Ignani

Claudio Damiani

claudio-damiani
Ci dica, come fa a fare queste scarpe così belle?

– Ci dica, come fa a fare queste scarpe così belle?
– Mah, io sono un artigiano, lavoro. Vede io lavoro, non faccio altro che lavorare. La mattina mi alzo, e giù a lavorare. Vado avanti come un treno. Se mi fermassi, sarei come un treno fermo nella campagna. Potrei stare fermo un poco, ma ogni momento che passa è sempre più imbarazzante…
– Ma lei, per fare queste scarpe così belle, ha sicuramente capito qualcosa del mondo, e chi siamo noi, e perché siamo qui. Ce lo dica, la prego, ce lo dica.
– Mah vede, io non ho capito un bel niente. Io semplicemente lavoro. Gliel’ho già detto: mi alzo la mattina, e lavoro. Se mi fermassi, gliel’ho detto, sarebbe imbarazzante…

 

Cieli celesti (Fazi, 2016)