Era come avere dieci anni
scoprire il gioco delle forme
sotto le pieghe del maglione,
il gonfiore nitido dei seni
doloranti il lunedì mattina
e chiedersi il perché.
E forse si tornava bambini
nell’immaginare allo specchio
le traiettorie di vite future,
le tracce sul corpo adolescente
di un sotterraneo divenire.
Così all’età di vent’anni
il mio corpo ne mostrava dieci:
dieci i piccoli seni,
dieci i fianchi sottili,
dieci le mani mai quiete
in puerile agitazione,
dieci i sessi atrofizzati
incapaci a un tratto
di evocare desiderio.
Era un rimettersi in gioco
di subdola perfidia
sconvolgere tutti quanti i piani.
Cambiare all’improvviso guardaroba.
Imparare a truccarsi a vent’anni.
Avere dei tacchi a ventuno.
Dubitare di sé a ventidue.
Tornare poi allo specchio
e scoprire che qui, proprio qui,
sotto questi seni e questi fianchi,
dietro la maschera di trucco
e dentro i tacchi alti
qualcuno qui c’era,
per un po’ c’è stato
e poi all’improvviso
non è stato più.
Desiderare infine
di avere dieci anni
per ricominciare da capo.
Dolore minimo (Interlinea, 2018)