Borís Pasternàk

Definizione della poesia

È un fischio che si estende acuto d’improvviso,
è lo scricchiolio di ghiacci soffocati,
è la notte che fa intirizzire la foglia,
il duello di due usignoli.
È il tonfo soave del pisello,
è l’universo in lacrime in un guscio,
è Figaro – dal podio e dai flauti –
che si frange come grandine sull’aiuola.
È quel che la notte deve ricercare
Sul fondo oscuro delle vasche,
e la stella porgere al vivaio
coi palmi umidi e tremanti.
Più piatta di una tavola è l’afa.
Il firmamento è travolto dall’ontano,
toccherebbe alle stelle esplodere in risate.
Ma l’universo è un luogo spento.

Poesie (Einaudi, 1971)

Boris Pasternak

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Primavera

Primavera, io vengo dalla via, dove il pioppo è stupito,
dove la lontananza sbigottisce, dove la casa teme di crollare,
dove l’aria è azzurra come il fagottino della biancheria
di colui che è dimesso dall’ospedale!

Dove la sera è vuota come un racconto interrotto,
lasciato da una stella senza continuazione
per rendere perplessi mille occhi tumultuosi,
insondabili e privi di espressione.

 

Poesie (Einaudi, 2009), a cura di A. M. Ripellino

Boris Pasternak


Essere rinomati non è bello

Essere rinomati non è bello,
non è così che ci si leva in alto.
Non c’è bisogno di tenere archivi,
di trepidare per i manoscritti.

Scopo della creazione è il restituirsi,
non il clamore, non il gran successo.
È vergognoso, non contando nulla,
essere favola in bocca di tutti.

Ma occorre vivere senza impostura,
vivere così da accattivarsi in fine
l’amore dello spazio, da sentire
il lontano richiamo del futuro.

Ed occorre lasciare le lacune
nel destino, non già fra le carte,
annotando sul margine i capitoli
e i luoghi di tutta una vita.

Ed occorre tuffarsi nell’ignoto
e nascondere in esso i propri passi,
come si nasconde nella nebbia
un luogo, quando vi discende il buio.

Altri, seguendo le tue vive tracce,
faranno la tua strada a palmo a palmo,
ma non sei tu che devi sceverare
dalla vittoria tutte le sconfitte.

E non devi recedere d’un solo
briciolo dalla tua persona umana,
ma essere vivo, nient’altro che vivo,
vivo e nient’altro sino alla fine.

 

Poesie (Einaudi, 2009), trad. it. A. M. Ripellino

Boris Pasternak

L’alba

Tu eri tutto nel mio destino,
poi vennero la guerra e lo sfacelo,
e a lungo, a lungo di te
non si seppè più nulla.

E dopo molti, molti anni
la tua voce di nuovo mi ha turbato.
Tutta la notte ho letto i tuoi precetti,
rianimandomi come da un deliquio.

Voglio andar tra la gente, nella folla,
nell’animazione mattutina.
Sono pronto a ridurre tutto in schegge
e a mettere tutti in ginocchio.

Scendo di corsa le scale,
come se uscissi per la prima volta
su queste strade coperte di neve
e sul selciato deserto.

Spuntano ovunque fiammelle accoglienti,
la gente beve il tè, s’affretta il tram,
nel giro di alcuni minuti
l’aspetto della città è irriconoscibile.

Nei portoni la bufera intreccia
una densa rete di fiocchi,
e per giungere in tempo tutti corrono,
senz’aver finito di mangiare.

 

Poesie (Einaudi, 2009), trad. it. A. M. Ripellino

Boris Pasternak

pasternak

 

 

 

 

 

 

 

 

In ogni cosa ho voglia di arrivare

In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.

Sino all’essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.

Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini, degli avvenimenti,
sentire, amare, vivere, pensare,
effettuare scoperte.

Oh, se mi fosse dato, se potessi
almeno in parte,
mi piacerebbe scrivere otto versi
sulle proprietà della passione.

Sulle trasgressioni, sui peccati,
sulle fughe, sugli inseguimenti,
sulle inavvertenze frettolose,
sui gomiti, sui palmi.

Dedurrei la sua legge,
il suo cominciamento,
dei suoi nomi verrei ripetendo
le lettere iniziali.

I miei versi sarebbero un giardino.
Con tutto il brivido delle nervature
vi fiorirebbero i tigli a spalliera,
in fila indiana, l’uno dietro l’altro.

Introdurrei nei versi la fragranza
delle rose, un àlito di menta,
ed il fieno tagliato, i prati, i biodi,
gli schianti della tempesta.

Così Chopin immise in altri tempi
un vivente prodigio
di ville, di avelli, di parchi, di selve
nei propri studi.

Giuoco e martirio
del trionfo raggiunto,
corda incoccata di un arco teso.