Gabriela Mistral


Canto que amabas

Yo canto lo que tú amabas, vida mía,
por si te acercas y escuchas, vida mía,
por si te acuerdas del mundo que viviste,
al atardecer yo canto, sombra mía.

Yo no quiero enmudecer, vida mía.
¿Cómo sin mi grito fi el me hallarías?
¿Cuál señal, cuál me declara, vida mía?

Soy la misma que fue tuya, vida mía.
Ni lenta ni trascordada ni perdida.
Acude al anochecer, vida mía;
ven recordando un canto, vida mía,
si la canción reconoces de aprendida
y si mi nombre recuerdas todavía.

Te espero sin plazo y sin tiempo.
No temas noche. neblina ni aguacero.
Acude con sendero o sin sendero.
Llámame adonde tú eres, alma mía,
y marcha recto hacia mí, compañero.

 

*

 

Canto che amavi

Io canto ciò che tu amavi, vita mia,
nel caso ti avvicini e ascolti, vita mia,
nel caso ti ricordi del mondo che hai vissuto,
nel rosso del tramonto io canto te, ombra mia.

lo non voglio restare più muta, vita mia.
Come senza il mio grido fedele puoi trovarmi?
Quale segnale, quale mi svela, vita mia?

Sono la stessa che fu già tua, vita mia.
Né infiacchita né smemorata né spersa.
Raggiungimi sul fare del buio, vita mia;
vieni qui a ricordare un canto, vita mia;
se tu questa canzone riconosci a memoria
e se il mio nome infine ancora ti ricordi.

Ti aspetto senza limiti né tempo.
Tu non temere notte, nebbia o pioggia.
Vieni per strade conosciute o ignote.
Chiamami dove sei, anima mia,
e avanza dritto fino a me, compagno.

Sillabe di fuoco (Bompiani, 2020), a cura di Matteo Lefèvre

Yves Bonnefoy


Qui, sempre qui

Qui, è il luogo chiaro. Non è più l’alba,
È già la giornata dei desideri esprimibili.
Dei miraggi di un canto nel tuo sogno non resta
Che questo scintillio di pietre future.

Qui, e fino a sera. La rosa di ombre
Si girerà sopra i muri. La rosa di ore
Sfiorirà senza rumore. Le chiare lastre di pietra
Condurranno a lor grado questi passi invaghiti del giorno.

Qui, sempre qui. Pietra su pietra
Hanno costruito il paese dettato dal ricordo.
A malapena se il rumore dei semplici frutti che cadono
In te ancora infebbra il tempo che sta guarendo.

Poesia francese del novecento (Bompiani, 1985), a cura di P. Bigongiari

Gerardo Masuccio


Laura, ascolta, Milano non mente
e da oggi ha parole per noi.

Le panchine di parco Ravizza
suggeriscono agli olmi due nomi
e dal pulpito di San Fedele
il Manzoni sorride con noi.
Non lo sai, ma ha nitrito di gioia
il ronzino di piazza Missori
quando al suono delle nostre voci
la Velasca ha chinato la fronte.

Laura, ascolta, Milano ha i tuoi occhi,
ha i miei occhi. Non vede che noi.

Fin qui visse un uomo (Interno Poesia Editore, 2020)

Nicanor Parra


Il premio nobel

Il Premio Nobel per la Lettura
lo dovrebbero dare a me
che sono il lettore ideale
e leggo tutto ciò che trovo:

leggo i nomi delle strade
e le insegne luminose
e le pareti dei bagni
e i nuovi elenchi dei prezzi

e la cronaca nera
e i pronostici del Derby

e le targhe delle auto

per un tipo come me
la parola è una cosa sacra

signori membri della giuria
che ci guadagno a mentirvi
sono un lettore incallito
leggo tutto – non salto
neppure gli annunci economici

certo che ora leggo poco
non dispongo di molto tempo
ma cavolo se ho letto
per questo chiedo che mi diate
il Premio Nobel per la Lettura
al più presto impossibile

 

L’ultimo spegne la luce (Bompiani, 2019), a cura di Matteo Lefèvre

John Ashbery


City afternoon

A veil of haze protects this
Long- ago afternoon forgotten by everybody
In this photograph, most of them now
Sucked screaming through old age and death.

If one could seize America
Or at least a fi ne forgetfulness
That seeps into our outline
Defining our volumes with a stain
That is fleeting too

But commemorates
Because it does define, after all:
Gray garlands, that threesome
Waiting for the light to change,
Air lifting the hair of one
Upside down in the reflecting pool.

 

*

 

Pomeriggio in città

Un velo di foschia protegge questo
pomeriggio d’antan dimenticato da tutti i presenti
in questa foto, i più ormai
risucchiati urlanti da vecchiaia e morte.

Se ci si potesse impossessare dell’America
o almeno di una gradevole smemoratezza
che s’infiltra nella nostra silhouette
e delinea i nostri volumi con una macchia
anch’essa fuggevole

ma che commemora
perché davvero delinea, dopotutto:
ghirlande grigie, quei tre
al semaforo che aspettano il verde,
l’aria che solleva i capelli a uno di loro
capovolto nel riflesso di una pozza.

 

Autoritratto entro uno specchio convesso (Bompiani, 2019), a cura di Damiano Abeni

Vladislav Chodasevič


Per la strada già imbrunisce.
Sbatte in alto una finestra.

Balena una luce, una tenda si gonfia,
veloce un’ombra si stacca dal muro –

beato chi cade a testa in giù:
almeno per un instante – un altro è il mondo.

23 dicembre 1922
Saarow

 

Non è il tempo di essere (Bompiani, 2019), a cura di Caterina Graziadei

Chiara Carminati

Perché odio la poesia

Odio la poesia
perché è un insieme
di rime sceme

La odio quando spreme
il succo alle stagioni
il sangue agli ideali
i nomi alle emozioni

La poesia del genere
che spegne le parole
in cuori posacenere

Odio la poesia
che mi indica col dito
perché sono lo stupido
che non ha capito

 

Viaggia verso. Poesie nelle tasche dei jeans (Bompiani, 2018)

William Shakespeare


How can I then return in happy plight,
That am debarred the benefit of rest?
When day’s oppression is not eas’d by night,
But day by night and night by day oppressed,
And each, though enemies to either’s reign,
Do in consent shake hands to torture me,
The one by toil, the other to complain
How far I toil, still farther off from thee.
I tell the day, to please him thou art bright,
And dost him grace when clouds do blot the heaven:
So flatter I the swart-complexion’d night,
When sparkling stars twire not thou gild’st the even.
But day doth daily draw my sorrows longer,
And night doth nightly make grief’s length seem stronger.

 

*

 

Come posso riavere la mia pace
se al riposo non faccio mai ritorno,
la diurna oppressione non si tace,
il giorno opprime notte, e notte il giorno,
e, pur se sono regni concorrenti,
per torturarmi i due si danno mano,
l’uno mi affanna, l’altra dà i lamenti,
perché mi affanno e tu sei più lontano?
Tu sei una luce spazzanubi, dico
al giorno pur di farmelo mio amico;
dico alla notte senza stelle e nera
che arrivi tu a far brillar la sera.
Ma il giorno invece allunga il mio dolore,
e ogni notte più forte ho male al cuore.

 

Tutte le opere. Volume 4 (Bompiani, 2019), traduzione di Massimiliano Palmese

7ª poesia più letta del 2018

di Franco Arminio

 

Passo le mie mani
sul tuo corpo
come un archeologo.
L’amore è leggere il sacro
seppellito nei corpi,
è quella cosa che si sgretola,
fa cadere le vernici,
rivela il fondo d’oro,
l’archivio di luce
da cui veniamo.

 

Resteranno i canti (Bompiani, 2018)

© Foto di Mario Dondero

 

Poesia pubblicata il 25 maggio 2018.

Silvia Salvagnini


adesso non ti piace
come lavo i piatti
né come asciugo il lavandino.
una sera di festa
è un motivo sensazionale
per non starmi vicino a parlare
non mi vieni a cercare
proponi di fare un film
alla mia amica più normale.
non posso più stare
con i piedi rannicchiata
con la testa fuori dal finestrino
a digiuno
a mangiare biscotti in giardino
non posso per te più stare
se non immobile
senza respirare.

 

Il seme dell’abbraccio. Poesie per una rinascita (Bompiani, 2018)